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L'Asilo Diplomatico nel Diritto Internazionale

L'asilo nella sfera del Diritto Internazionale: ulteriori specificazioni riguardanti le categorie distintive

In aggiunta alla distinzione di fondo tra asilo territoriale e diplomatico, appaiono opportune ulteriori specificazioni.
Dal punto di vista dell'ordinamento giuridico internazionale, l'asilo territoriale, seppur riconosciuto da molti ordinamenti nazionali, rileva soltanto e nella misura in cui vi siano delle norme internazionali, generali o convenzionali che stabiliscano dei limiti alla libertà degli Stati di agire liberamente nel proprio territorio. Tali norme possono essere: l'obbligo dello Stato di consegnare talune persone rifugiatesi sul suo territorio (obbligo di estradizione) o viceversa imponendo allo Stato l'obbligo di non consegnare ad un altro Stato che ne abbia fatto richiesta ovvero quello di non
espellere dal proprio territorio gli individui ivi rifugiatisi (obbligo di non estradare o di non espellere). Non vi è ancora una norma che regolamenti in maniera univoca il diritto di asilo territoriale, ma solo dichiarazioni a carattere non vincolante, ma programmatico e direttivo (cosiddette raccomandazioni). L'unico strumento valido a livello universale in tal senso è la Dichiarazione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull'asilo territoriale del 1967. Sviluppando i principi già contenuti nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948, la Dichiarazione del 1967 specifica che: "l'asilo concesso da uno Stato, nell'esercizio della propria sovranità e nel rispetto dell'art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ("Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni"), non costituisce un atto amichevole e deve essere rispettato da tutti gli altri Stati (art.1). L'attuazione dell'asilo interessa l'intera comunità internazionale i cui membri devono, individualmente, in comune o attraverso l'opera delle Nazioni Unite, aiutare lo Stato di concessione, quando l'onere dell'asilo appaia eccessivamente gravoso (art. 2). Infine, il principio per cui alle persone che sono in condizione di fruire del diritto di asilo, non può essere negato di entrare nel territorio; qualora già vi si trovino esse non possono venire espulse o respinte verso il territorio di un altro Stato in cui potrebbero subire il rischio di persecuzioni di carattere politico. Ciò, tenendo però conto dei limiti della sicurezza nazionale e della tutela dell'ordine pubblico. Alla Dichiarazione del 1967, hanno preceduto e sono seguiti numerosi strumenti pattizi a carattere regionaletra i quali, in particolare, la Convenzione Americana sull' asilo territoriale, firmata a Caracas il 28 Marzo 1958 alla X Conferenza dell'Organizzazione degli Stati Americani, e la Convenzione di Addis Abeba sugli aspetti specifici dei rifugiati in Africa, firmata il 10 Settembre 1969, nell'ambito della VI Conferenza dell'Organizzazione dell'Unità Africana (OUA).
La prima, prodotta nelle regione latino- americana, tratta l'asilo territoriale non in senso stretto, ma correlato all'altra figura di asilo di rilievo sulla scena internazionale: l'asilo diplomatico (o extraterritoriale). In essa l'asilo è trattato sotto il profilo meramente politico: l'asilo è concesso ad individui accusati di crimini politici, restringendo l'ambito di applicazione dell'istituto preso in considerazione nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1967.
La seconda, prevede all'art. 2 paragrafo 1 che gli Stati : "si impegnano a fare tutto quanto è in loro potere, nel quadro delle legislazioni rispettive, per accogliere i rifugiati e assicurare lo stabilimento di quelli che, per seri motivi non possono o non vogliono ritornare nel paese di origine o in quello di cui hanno la cittadinanza". La concessione dell'asilo non è, come nella Convenzione di Caracas, limitata a motivi politici, ma ha una portata più generale, omnicomprensiva, seguendo la linea della Dichiarazione delle Nazioni Unite.
Ad oggi, dunque, nessun trattato o convenzione giuridicamente vincolante obbliga gli Stati a concedere l'asilo. Per quanto concerne la seconda categoria di asilo, quello diplomatico, è opportuno sottolineare che gli spazi in cui è concesso tale tipo di asilo, non sono fuori del territorio dello Stato che ospita la missione diplomatica estera, la nave da guerra straniera ecc..., ma sono e rimangono parte integrante del territorio di tale Stato. Si parla in questo senso di finzione di extraterritorialità, un concetto usato per designare gli obblighi dello Stato ospitante di non agire coercitivamente nell'ambito delle cerchie spaziali o nei confronti delle cose utilizzate da certi agenti stranieri per assolvere delle funzioni. L'asilo, allora, è da ritenersi lecito solo se previsto da un accordo internazionale, ovvero, se rilevabile dall'esistenza di norme generali che obblighino lo Stato territoriale a tollerare un'attività di tale tipo fatta da agenti statali stranieri ammessi a soggiornare nella sfera di spazio soggetta alla sua sovranità.
Questa impostazione trova autorevole fondamento nella sentenza relativa al caso Haya de la Torre, riguardante a una controversia tra Colombia e Perù del 1950, la quale per prima ha tracciato una netta linea di demarcazione tra asilo territoriale e diplomatico, lasciando tuttavia irrisolta la questione relativa alla possibile esistenza di una norma di diritto internazionale generale, validamente riconosciuta come fondamento giuridico dell'istituto. La Corte infatti si era limitata a porre in rilievo un mero dato fattuale, affermando che non esistesse una norma internazionale di carattere generale che imponesse ad uno Stato l'obbligo di rispettare l'asilo concesso da un rappresentante di uno Stato straniero nelle propria legazione diplomatica.

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L'Asilo Diplomatico nel Diritto Internazionale

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Muzi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Luigi Fumagalli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 290

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