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Il buddhismo: diffusione dall'India alla Cina

Il buddhismo antico

La storia del buddhismo indiano è poco conosciuta, e ad eccezione della scuola Theravāda di Ceylon, sono a noi pervenuti solo racconti e iscrizioni dei pellegrini cinesi.
Gli avversari chiameranno il buddhismo antico Hīnayāna «Piccolo Veicolo» o «Piccolo mezzo di avanzamento», in senso dispregiativo, poiché il progresso morale da essa perseguito sarebbe egoistico, dal momento che l'obbligo di confidare solo nelle proprie forze escluderebbe ogni forma di altruismo.
Come già accennato sopra (vedi 1.1.3.), secondo la tradizione, la Comunità avrebbe indetto tre concili più due quarti concili non ufficialmente riconosciuti: il primo a Rājagṛha subito dopo il parinirvāṇa del Buddha ed avrebbe proceduto alla raccolta di tutti gli insegnamenti di cui i discepoli conservassero ricordo. Il Canone delle sacre Scritture, il Tripiṭaka, si sarebbe conservato attraverso la recitazione orale.
Nel secondo, quello di Vaiśālī, avvenuto cent'anni dopo, sarebbe avvenuto il primo scisma fra gli antichi (sthavira) e i seguaci della grande Comunità (Mahāsāṃghika). Il concilio fu riunito per sanzionare alcune mancanze disciplinari dei monaci di quella città.
Sotto l'imperatore Aśoka si sarebbe tenuto il terzo concilio di Pāṭaliputra (Patnā), allora capitale dell'impero indiano, per regolare gravi controversie tra scuole rivali.
Un altro concilio si sarebbe riunito nel Kashmīr nei primi secoli della nostra era, e vi sarebbero stati redatti alcuni importanti elementi della letteratura canonica della scuola dei sarvāstivadīn. Infine il quarto concilio della tradizione Theravāda, tenutosi fuori dall'India nello Sri Lanka, in cui il Canone palī sarebbe divenuto la linea guida del monastero Mahāvihāra , il più importante dell'Isola.
Il primo dato certo della storia del buddhismo indiano è la sua espansione sotto il regno di Aśoka (metà del III secolo a.C.). Il grande sovrano regnava su tutta l'India indogangetica
e la sua influenza si esercitava persino sull'altopiano del Deccan. Egli si convertì al buddhismo e, volendo governare secondo la Legge del Dharma, favorì un grande movimento di predicazione buddhista che inviava missionari in tutto il territorio indiano e nelle zone limitrofe.
Dalla metà del IV secolo a.C. la Comunità cominciò a dividersi in scuole a causa della mancanza di un'autorità suprema in grado di sopprimere i tentativi di scisma.
Le divergenze di opinione sull'interpretazione degli insegnamenti dottrinali e disciplinari del Buddha, sull'autenticità dell'opera canonica ed alcune rivalità economiche tra monasteri vicini contribuirono all'insorgere di ostilità tra conservatori e modernisti, tra lassisti e rigoristi. All'inizio della nostra era le scuole e sette sparse per l'India erano già circa trenta. Ne ricordiamo sei particolarmente importanti:

I. Theravāda (scr. Sthaviravāda) «dottrina degli anziani», unica scuola che sopravvive ancora oggi. Le opinioni dottrinali di tale scuola sono molteplici. Spicca tra tutte la concezione dell'arhant come santo al centro di questa spiritualità, il quale sarebbe puro e avrebbe perfettamente acquisito le quattro Nobili Verità. Egli non viene tentato dal desiderio nemmeno nelle visioni oniriche, non conosce né dubbio né ignoranza; è un essere perfetto, nonostante rimanga un essere umano.

II. Sarvāstivāda «dottrina che afferma che tutto è», dove il riferimento è ai dharma concepiti come realtà non momentanee: caratteristica di questa scuola è la dottrina della contemporaneità delle tre suddivisioni del tempo, che così dava fondamento al senso di continuità della responsabilità morale, tutelandola dalle possibili conseguenze negative della teoria dell'impermanenza.

III. Pudgalavāda «dottrina dei pudgala» (pāli: puggala), noti anche come vātsīputrīya (seguaci del maestro Vastīputra) o sammatīya. Essi affrontano il problema della rinascita proponendo una forma di continuità del pudgala («persona, essere») tra la vita che si spegne e la vita che comincia. Il pudgala è differente e insieme non differente dagli skandha. Così concepito, rappresenta un forte avvicinamento alla concezione indiana comune di ātman. Questa scuola ebbe grande successo, ma non sopravvisse alla crisi generale del buddhismo indiano.

IV. Mahīśāsaka «quelli che governano la terra» o «[i seguaci di] colui che governa la terra», derivata da una divisione della scuola Sthaviravāda, darà poi origine ai Theravādin di Ceylon e ai Dharmaguptaka, loro contrapposti. Essi sostenevano che la piena acquisizione delle quattro Nobili Verità si ottiene in una sola volta, nel momento in cui si realizza la consapevolezza della «vacuità» e dell'«impersonalità».

V. Mahāsāṃghika «quelli che costruiscono un grande gruppo», si sarebbero staccati dagli altri seguaci della tradizione antica durante il concilio di Vaiśālī, dando il proprio sostegno alla tesi di Mahādeva. Probabilmente questo concilio portò a un concreto scisma tra coloro che avevano antichi contrasti. Differivano notevolmente dalle altre scuole su diversi punti e preannunciavano le concezioni tipiche del Mahāyāna. Essi affermano l'esistenza di molti buddha in tutti i tempi e luoghi diversi ‒ mentre in genere altre scuole antiche, pur non disconoscendo l'esistenza di molti buddha, li ritenevano quanto meno molto rari. Essi vedevano i buddha come realtà non umane, e la loro manifestazione terrena come apparenza. Separavano i buddha dagli uomini, anche daI più perfetti, ovvero gli arhant, dei quali ne denunciavano la corruttibilità e impurità. Tutto ciò testimonia un orientamento di tipo religioso nel modo di intendere la natura dei buddha, orientamento fortemente sviluppato nel Mahāyāna.

VI. Lokottaravāda «gli assertori della dottrina dell'ultramondanità» dei buddha, avrebbero insistito sulla natura del tutto spirituale, non-umana, dei buddha, privi di limitazioni terrene. Come si evince dal Mahāvatsu (l'opera che ce ne ha trasmesse le concezioni) i buddha sono esseri soprannaturali capaci di suscitare una fede pura e assoluta negli esseri. Essi distinguevano il complesso delle cose appartenenti a questo mondo (laukika) dal complesso delle cose trascendenti (lokottara): il primo è irreale, il secondo è reale. Le affinità con il Mahāyāna si fanno più evidenti.
A dispetto degli scismi, non esistevano rotture insanabili nei rapporti tra le diverse scuole, e non si hanno notizie di conflitti violenti, salvo nei casi di discussione dovuti a diversi fattori, quali gelosie, rivalità economiche, intrighi politici che portavano il rapporto a incrinarsi periodicamente.
Si mantenevano le linee fondamentali d'insegnamento, che fungevano da capi saldi comuni, così come comune era il progresso nella maturazione ideologica, segno di un costante scambio di esperienze intellettuali tra le diverse scuole. [...]

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Informazioni tesi

  Autore: Alessia Fadda
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Mediazione Linguistica e Culturale
  Corso: Scuola di Mediazione Linguistica e Culturale
  Relatore: Maria Del Carmelo Angelillo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 86

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