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La prigione romantica tra memoria e immaginazione. Silvio Pellico e Carlo Bini

La religione e la cella: Pellico da eroe della Patria a martire cristiano

«Suscitava solo pianto e sdegno il libro di Pellico?». La domanda del Mauri è di certo pertinente. In effetti, una rilettura attenta del libro di memorie dello scrittore-patriota, non può non rivelare come l'intento del saluzzese fosse principalmente educativo. Non polemica, non invito all'Unità nazionale, quindi, ma soltanto suggerimento, a forza di esempi, di un comportamento da tenere: quello del martire.
Non a caso, il corollario de Le mie prigioni sarà il libro di massime I doveri degli uomini, un'operetta pubblicata nel 1834 e destinata soprattutto ai giovani, senza gran valore letterario o originalità di pensiero, ma comunque investita di grande fortuna ai suoi tempi – e non solo nella penisola italiana – per la semplicità e lo zelo educativo che la animano.
Se il castigo patito dal Pellico lo relegava senza dubbio tra gli eroi del Risorgimento, il modo con cui lo aveva sopportato e i nobili pensieri che durante la lunga condanna aveva coltivato lo rendevano un martire religioso, un'immagine di Cristo, capace di rispondere alle sventure con la pazienza, alle durezze con la pietà, allo sconforto con la fede.
Proprio questo tentativo di imitatio christi permetteva il trionfo di Pellico come modello popolare ed esempio morale, sebbene la sua opera non mancò né di irritare i reazionari, che lessero la stesura del resoconto della sua prigionia come un atto di sfida, né di deludere i patrioti più attivi, per il suo fare remissivo, conciliante e apolitico, in virtù del quale l'opera non incontrò in Piemonte noie con la censura.
Ma si trattava di critiche e delusioni minoritarie rispetto alle voci di lodi e di apprezzamento, e a prevalere fu la posizione di chi, come Francesco D'Ovidio arrivò a affermare:

Quanto egli scrisse lo scrisse col sangue: col sangue del suo cuore. Non istiamo con pedanteria a cercare se gli avanzò forza pur dopo la prova: certo è che nei dì della prova seppe fortemente patire. E non basta per la sua gloria? Polve d'eroe non è polve sua?

Certo, quella di Pellico è polvere d'eroe, ma si tratta di un eroe che indossa le vesti del martire cristiano. Il legame tra la religione cristiana e l'opera del patriota è evidentissimo e continuo. Il primo accenno alla religione si ha già nel terzo capitolo, quando il novello prigioniero, preso dallo sconforto e dalla vergogna per ciò che i genitori proveranno, una volta venuti a conoscenza del suo arresto, si convince che grazie a «Colui che tutti gli afflitti invocano ed amano e sentono […] ! L'amico degl'infelici, l'amico dei mortali!» essi troveranno la forza di sostenere la cattiva notizia:

Quello fu il primo momento, che la religione trionfò del mio cuore, ed all'amor filiale debbo questo benefizio.
Per l'addietro, senza essere avverso alla religione, io poco e male la seguiva. Le volgari obbiezioni, con cui suole essere combattuta, non mi parevano un gran che, e tuttavia mille sofistici dubbi infievolivano la mia fede.


L'atteggiamento del Pellico libero cittadino, ancora lontano dalle privazioni e dalle costrizioni della cella, era quello di un devoto irresoluto, che non dubitava dell'esistenza di Dio, che stimava quale somma ragionevolezza l'aspirare ai beni della seconda vita, tuttavia «sfuggiva di conchiudere», non riusciva a acquietarsi interamente nella fede, era incapace di vincere i dubbi su alcune osticità della dottrina della Chiesa. Un cristiano, quindi, sulla buona strada per portare a compimento il proprio processo di completa adesione alla dottrina, ma ancora non giunto alla meta: il totale abbandono nelle braccia del cristianesimo.

Conseguenza, paradossale solo ad uno sguardo superficiale, della prigionia è proprio l'approdo al traguardo dell'itinerario religioso: ancora una volta, come per tanti reclusi prima di lui, negli appena «cinque passi della stanza» della prigione è possibile compiere un percorso lungo e tortuoso al termine del quale si raggiunge una maggiore consapevolezza e maturazione.[…]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La prigione romantica tra memoria e immaginazione. Silvio Pellico e Carlo Bini

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Informazioni tesi

  Autore: Carmine De Cicco
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filologia Moderna
  Relatore: Antonio Saccone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 113

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Parole chiave

comunicazione
letteratura
memoria
prigione
romanticismo
immaginazione
cella
silvio pellico
carlo bini
lettaratura carceraria

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