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Giornalismo e Lettere - Dal giornalista letterato alla terza pagina

La terza pagina

Indro Montanelli disse a Enrico Falqui: "Io per me sono grato alla terza pagina: le sono grato di esistere. Senza di essa avrei dovuto fare l'informatore e sarei fallito; oppure lo scrittore di libri, e sarei morto di fame. Con essa debbo rinunziare all'ambizione più cara ed usuale: l'immortalità. Ma ci campo e posso considerarmi più o meno riuscito. Perciò non mi sento di parlarne male. Al più potrei dire che a mezza strada com'è fra letteratura e giornalismo è un po' bastarda. Ma siccome sono bastardo anch'io io mi ci trovo a mio agio". Ma andiamo con ordine.

Ad unificazione avvenuta, all'interno delle redazioni, va registrata la scomparsa, di quei patrioti, prestati al giornalismo, diventati protagonisti, dell'epopea risorgimentale. Nella seconda meta del diciannovesimo secolo, all'interno delle redazioni si contano in maggioranza avvocati o altri professionisti, intenti per lo più a far politica. Giornalisti che s'esprimono attraverso il linguaggio dei comizi ed intellettuali e letterati di bassa levatura, i quali ormai privi degli appassionati slanci risorgimentale, riempiono le colonne dei giornali di vuote forme retoriche. È evidente come i giornali e soprattutto come la cultura nei giornali si trovi ad una svolta. Arriva "Il Secolo".
Il quotidiano, edito Sonzogno, compare per la prima volta nelle edicole il cinque maggio del 1866. Il primo direttore è il premio nobel per la pace Ernesto Teodoro Moneta, ma sarà sotto il "regno" di Carlo Romussi che il giornale raggiungerà il suo massimo splendore. Con lui la figura del giornalista andrà a modificarsi in maniera pressoché irreversibile. Il foglio milanese punta ad essere espressione della borghesia laica, ed il suo editore, Sonzogno, lo vuole capace di: "combinarsi con lo spirito pubblico." A mettere nero su bianco le aspettative dell'editore ci penserà proprio il Romussi, il quale non solo correrà dietro fatti e fatterelli del giorno, ma per primo darà voce alla gente, mandando i suoi giornalisti per: strade, commissariati, ospedali e tribunali. Nel quotidiano avranno inoltre notevole spazio gli articoli e le rubriche di varietà oltre ai romanzi d'appendice (grazie all'immenso serbatoio di opere dal quale l'editore Sonzogno poteva attingere). Il giornalista non è più l'uomo di lettere dai nobili intenti di fine settecento; è ora, e definitivamente, il professionista che consuma le suole camminando per la città con il taccuino aperto.
Asserire però che la figura del letterato scompaia dalle redazioni dei giornali italiani, sarebbe un errore, o meglio un falso. Data infatti la difficoltà nel differenziarsi l'un con l'altro, la concorrenza fra quotidiani è costretta a vivere sulle grandi firme, il cui richiamo nei confronti del grande pubblico resta, e resterà, sempre notevole. Ciò a cui si assiste è più correttamente una ridefinizione degli spazi. La fisionomia del quotidiano cambia. È il "Corriere della Sera", quotidiano nato a Milano nel 1876 da un idea di Eugenio Torelli Veullier, la prima testata a separare per argomento le proprie pagine. Esisterà una pagina per la cronaca, una per le opinioni ed una per lo sport. La pagina della cultura sarà la terza.
Luogo privilegiato d'incontro fra giornalismo e letteratura, la terza pagina può definirsi un invenzione tipica del giornalismo italiano.
Modello singolare e privo di analogie nella stampa occidentale, progettato e realizzato all'interno di un paese dove il tasso d'analfabetismo sfiorava ancora il sessanta per cento. Proprio questo motivo, il modello della terza pagina, ripreso poi in tutta Europa con fedeltà assoluta, sia dai giornali proletari come da quelli d'opposizione, ha portato diversi critici, primo fra tutti Franco Nasi, a guardare alla terza come ad un fenomeno di povertà. Scrive Nasi: "i lettori italiani erano così poveri da non poter acquistare libri e riviste culturali; e gli scrittori italiani erano poveri perché non vendevano libri; e le riviste culturali pagavano male le collaborazioni…intervenne quindi il nuovo ricco: il giornalismo." Per quanto non priva di fondamento l'opinione del Nasi resta comunque troppo personale per essere accolta come significato all'innovazione introdotta. Risulta infatti difficile credere che, nella concezione in cui fu pensata da Bergamini, la terza dovesse essere l'innovazione utile a rimediare agli inconvenienti di una certa povertà.
Sarebbe un errore inquadrare la questione in questi termini, come lo sarebbe identificare la terza con l'elzeviro (l'articolo di risvolto che prendeva il nome dal carattere con il quale veniva stampato), come sarebbe un errore pensare alla terza al pari di un qualsiasi supplemento artistico letterario, o identificare come intrusa qualsiasi informazione di cronaca al suo interno. Meglio guardare alla terza come si guarderebbe ad uno iato, un intervallo, il luogo del rallentamento all'interno della corsa del quotidiano, un luogo in cui sia possibile sottrarsi all'ordine del giorno dell'attualità. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Giornalismo e Lettere - Dal giornalista letterato alla terza pagina

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Informazioni tesi

  Autore: Matteo Defendi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Ada Carla Gigli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 56

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Parole chiave

giornalismo
letteratura
storia del giornalismo
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terza pagina
romanzo d'appendice
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