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La cooperazione tra Unione Africana e Nazioni Unite: la missione ibrida in Darfur

L’Unione Africana tra attività di mediazione e missione AMIS

L'Unione Africana ha giocato un ruolo importante nella gestione del conflitto del Darfur, sia dal punto di vista politico che dal punto di vista umanitario, guidando il negoziato tra governo e ribelli e dislocando una missione di monitoraggio della pace, con l'obbiettivo di portare stabilità in una regione geopoliticamente importantissima, a metà tra mondo arabo e mondo africano.
Questo coinvolgimento evidenzia, dunque, la volontà dei Paesi africani di risolvere i problemi del continente a livello regionale.
Firmato l'accordo di N'Djamena tra le parti, nell'aprile 2004, con il quale si decise anche la creazione di una Commissione di Cessate il Fuoco per monitorare il rispetto dell'accordo stesso, attraverso l'invio sul campo di osservatori militari, il 13 aprile il Consiglio per la pace e la sicurezza dell'UA chiese al proprio Presidente l'organizzazione di una missione ricognitiva al fine di preparare lo schieramento della Commissione e valutare la necessità o meno di assicurare la protezione degli osservatori, istituendo quindi una missione di peacekeeping.
Il 28 maggio venne firmato ad Addis Abeba l'Accordo sulle Modalità di Istituzione delle Commissione di Cessate il Fuoco e dello schieramento degli osservatori militari .
Ciò diede attuazione alla Commissione e all'African Union Monitoring Mission in Sudan, cioè la missione AMIS - suo braccio operativo.
Quest'ultima comprendeva 60 osservatori militari e 200 unità di polizia e divenne operativa il 19 giugno dello stesso anno.
Il suo mandato comprendeva: il monitoraggio del cessate-il-fuoco; la promozione dell'accordo politico tra le parti in conflitto; l'assistenza agli sfollati al fine di facilitare il ritorno nei territori di appartenenza e assicurare l'aiuto umanitario; promozione della sicurezza in Darfur.
Il personale dell'AMIS non poteva, comunque, intervenire tra le parti, a prescindere dalle azioni compiute, potendo soltanto rispondere come auto difesa se direttamente minacciati.
Sebbene il mandato della missione comprendesse compiti di protezione della popolazione civile, secondo quanto indicato dall'Assemblea dell'UA, questa previsione era interpretata in modo differente dai diversi Paesi che contribuivano di fatto all'operazione e, per tale ragione, continuavano gli attacchi ai civili e i trasferimenti forzati.
L'AMIS monitorava l'assenza del cessate-il-fuoco ma non il suo rispetto.
Il 27 luglio 2004, durante la tredicesima riunione del Consiglio per la pace e la sicurezza, venne richiesto al Presidente della Commissione dell'UA di valutare le 80
possibilità di miglioramento della missione, implementandone le capacità e il mandato e chiarendone i compiti in materia di protezione dei civili.
Il 20 ottobre 2004 il Consiglio per la pace e la sicurezza approvò il piano globale per l'istituzione della missione AMIS II, con a capo il Rappresentante Speciale del Presidente della Commissione, con il compito di coordinare le attività e di mantenere i contatti con le parti.
Questa nuova missione, oltre a prevedere un aumento di personale militare affiancato, poi, da una componente di Polizia Civile, aveva anche un mandato rivisitato rispetto alla missione precedente includendo l'assistenza al processo di confidence-building, la protezione dei civili che si trovavano sotto minaccia imminente e nelle immediate vicinanze (responsabilità questa però dello Stato) e tutte le attività necessarie per contribuire alla creazione di un ambiente sicuro per gli aiuti umanitari e per permettere il ritorno degli sfollati e dei rifugiati.
Nonostante il rafforzamento della missione, la situazione migliorò solo in modo marginale e il Consiglio per la pace e la sicurezza condusse una nuova missione cognitiva, la Joint Assessment Mission, con l'ONU, l'UE e gli Stati Uniti per migliorare ulteriormente le efficacia dell'AMIS.
Dal rapporto finale emerse che i limiti della missione erano interni alla propria struttura, e cioè carenze logistiche, inesperienza, procedure operative mal definite e difficoltà nella catena di comando e di controllo.
Il Joint Assessement Mission suggerì un rafforzamento della missione da attuare in tre fasi: completamento della missione, entro maggio 2005, come stabilito nel comunicato di ottobre del 2004; rafforzamento di AMIS II a partire dal luglio 2005 (AMIS II-Enhanced); ritorno e reintegrazione degli sfollati e dei rifugiati, garantendo una sicurezza pari a quella precedente all'inizio del conflitto.
Ovviamente, l'attuazione della terza fase richiedeva il raggiungimento di una soluzione politica tra le parti in conflitto, precondizione necessaria per ristabilire la pace e la sicurezza nella regione. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La cooperazione tra Unione Africana e Nazioni Unite: la missione ibrida in Darfur

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Informazioni tesi

  Autore: Ebe Sgarbi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2012-13
  Università: Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Maria Beatrice Deli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 120

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Parole chiave

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nazioni unite
organizzazione internazionale
unione africana
darfur
conflitti internazionali
missione ibrida

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