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Le decisioni di finanziamento delle imprese italiane: confronti con l'estero e prospettive per il futuro

Particolarità delle aziende italiane

Nonostante i dati finora forniti, rimangono alcune particolarità, del tutto tipiche del sistema imprenditoriale italiano, e che non si possono esaurire nell'analisi condotta su motivazioni legali e fiscali; se è vero che è dal 1995 che l'aliquota di tassazione sul risultato operativo delle imprese è la più alta d'Europa, insieme a quella della Germania (anch'esso paese "bank based"), con percentuali che ormai superano il 50%, rimane la sensazione che ci siano altri tipi di variabili, non considerate finora, che influenzano il sistema finanziario delle imprese italiane.
Alcuni dati confermano quest'impressione: in Italia, il 40,9% del totale delle imprese impiega un numero di dipendenti variabile tra 1 e 19 elementi (piccole imprese), una percentuale enorme rispetto, per esempio, al 18,3% del Regno Unito, al 18,5% della Francia ed al 14,9% della Germania; o ancora, nella classe di imprese con numero di addetti superiore ai 250 (grandi imprese), la percentuale italiana è appena del 22,2%, contro il 44,3% della Gran Bretagna, il 47% della Francia ed il 54,1% della Germania.
Ovviamente le piccole imprese non sono quelle che si possono finanziare facilmente con capitale di rischio, in quanto è impossibile per loro l'accesso al mercato azionario, e neppure possono finanziarsi tramite obbligazioni societarie, anch'esse scambiate presso i mercati azionari; non rimane altra scelta quindi che l'affidamento agli intermediari bancari.
Eppure è anche possibile fare un ragionamento di altro tipo, ovvero: forse è proprio la volontà di "rimanere piccoli" o addirittura "familiari" a far evitare alle imprese la decisione di accettare nuovi soci, e quindi nuovo capitale di rischio, suggerendo il finanziamento con debito che, obbligando le imprese a pagamenti fissi di interessi, ne limita la crescita dimensionale.
Tuttavia, osservando le cosiddette "Medie imprese di successo", la base di quello che viene chiamato come "Quarto Capitalismo", e quindi il simbolo di imprese italiane che sono riuscite ad ottenere ottimi risultati nonostante i momenti di crisi (per esempio Zegna, Bialetti, Geox e altre), si nota come esse abbiano come caratteristica comune un alto valore di patrimonializzazione (quota di capitale netto su capitale investito), quindi una robusta base di equity, che le consentono di effettuare investimenti in Ricerca & Sviluppo e su innovazioni tecnologiche, necessari per avere successo nel mercato mondiale.
Così come analizzato precedentemente per le imprese conduttrici di attività ad alto rischio, lo stesso si può dire per imprese manifatturiere che finanzino investimenti in ricerca, ossia è meglio finanziarli con capitale proprio, in quanto solo il capitale di rischio può essere investito senza avere obbligatoriamente un ritorno economico nel breve periodo.
Non è un caso quindi, che uno dei principali problemi del sistema industriale italiano sia proprio la scarsità degli investimenti in R&D: solo 1,1% del PIL, contro il 3,2% del Giappone, il 2,8% degli USA o il 2,5% della Germania, e soltanto il 47,8% di questi investimenti viene effettuato dalle imprese, contro il 75,2% giapponese, il 70,1% statunitense ed il 69,9% tedesco; per di più, esiste una relazione statisticamente significativa tra l'aumento di dimensione dell'azienda media (in Italia 4 addetti, contro gli 11 della Gran Bretagna e i 13 della Germania) e la possibilità per la stessa di conseguire brevetti, compiendo quindi attività di ricerca.
Inoltre, un altro dato conferma quanto detto sulla particolarità dell'industria italiana, in Italia infatti circa l'86% delle imprese fa capo ad una famiglia proprietaria, dato che in sé è in linea con la media europea; ciò che è profondamente diverso è l'espressione del management societario, che nelle imprese italiane è in media per i 2/3 espressione della famiglia dominante, contro 1/3 delle imprese spagnole ed ¼ per imprese tedesche e francesi.
Qui si comprende come, in Italia, sia radicata più che in tutti gli altri paesi europei, l'idea dell'impresa come patrimonio familiare, destinato a rimanere appannaggio della famiglia nelle sue successive generazioni; è quindi ovvio l'uso del debito per finanziare qualsiasi attività, al fine di evitare eventuali ingressi di quote di soci sgraditi ai proprietari.
Ciò porta ad una sorta di circolo vizioso, in quanto l'uso del debito incoraggia le imprese allo sviluppo di progetti meno rischiosi, dal sicuro cash flow, scoraggiando invece le innovazioni radicali, dal risultato maggiormente incerto, ma che aumenterebbero la competitività delle imprese sul mercato delle esportazioni, da sempre cardine della crescita in Italia.
Emerge quindi chiaramente come la scelta di finanziamento delle imprese di un paese sia strettamente legata non solo alle performance delle imprese stesse, ma anche a quelle del paese di riferimento, influenzandone le principali caratteristiche economiche.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le decisioni di finanziamento delle imprese italiane: confronti con l'estero e prospettive per il futuro

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Informazioni tesi

  Autore: Niccolò Gastaldello
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Trento
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia aziendale
  Relatore: Luca Erzegovesi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 76

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