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La Città Santa di Gerusalemme. Gli aspetti ecclesiasticistici e internazionalistici

La nascita dello Stato di Israele e l'atteggiamento della Santa Sede

La risoluzione approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947 introdusse un fatto nuovo nel complesso scenario medio-orientale: la creazione di uno Stato ebraico indipendente, una volta che fosse stato completato il ritiro delle truppe britanniche dalla Palestina.
Anche se, con la sola eccezione di Nazareth, i principali Luoghi Santi cristiani non erano compresi nel territorio di Israele, la prospettiva della costituzione di uno Stato ebraico in Palestina ebbe un'eco profonda in tutto il mondo cristiano.
Gli avversari del movimento sionista si erano avvalsi frequentemente dell'argomento che il popolo ebraico, ritenuto collettivamente responsabile della crocifissione di Cristo, non avesse diritto ad una esistenza in forma di nazione indipendente; la sua dispersione era infatti intesa come il segno della punizione divina seguita al rifiuto di riconoscere la missione salvifica di Cristo. La Chiesa cristiana -verus Israel- aveva sostituito nel piano della salvezza il popolo ebraico, ereditando le promesse che Dio aveva originariamente fatto a quest'ultimo: da ciò conseguiva che il sionismo, aspirando a creare uno Stato ebraico in Palestina, si poneva oggettivamente in contrasto con il disegno divino e andava pertanto condannato.
Nel 1947 il governo inglese aveva annunciato che avrebbe ritirato le sue truppe dalla Palestina alla mezzanotte del 15 maggio 1948. Alle ore 16 del 15 maggio (otto ore prima che scadesse il mandato inglese), Ben Gurion proclamò la fondazione dello Stato di Israele in Palestina, davanti ai delegati del Consiglio Nazionale Ebraico.

Esiliato dalla Palestina il popolo giudaico rimase ad essa fedele non cessando mai di pregare e di sperare per il ritorno. Nell'anno 1897 il primo Congresso Sionista, ispirato dall'intuizione di Theodor Herzl , proclamò il diritto del popolo ebraico alla rinascita nella sua terra. Il diritto fu riconosciuto dalla Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato dal Mandato della Società delle Nazioni che dette esplicito riconoscimento internazionale allo storico legame del popolo ebraico con la Palestina ed al diritto di mantenere la sua home. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una decisione a favore della fondazione di uno Stato ebreo indipendente. È evidente diritto del popolo ebraico quello di essere una nazione come tutte le altre nazioni, nel suo proprio Stato sovrano. Di conseguenza, noi membri del Consiglio Nazionale, rappresentando il popolo ebraico in Palestina e il movimento sionista mondiale con questo mezzo proclamiamo la fondazione dello Stato Ebraico in Palestina con il nome di Medinati Ysrael.

Per capire gli orientamenti che dominarono la politica vaticana nei confronti dell'ebraismo e successivamente nei suoi rapporti con lo Stato di Israele consideriamo due periodi:
a) il primo, iniziato con l'approvazione del mandato britannico sulla Palestina nel luglio del 1922 e conclusosi intorno alla metà degli Anni Quaranta in concomitanza con la fine della Seconda guerra mondiale;
b) il secondo periodo è quello successivo al Concilio Vaticano II.

Nel primo periodo l'attenzione della Santa Sede continuò ad essere rivolta al movimento sionista, i cui progressi vennero seguiti con attenzione e preoccupazione.
L' "Osservatore Romano" dedicò ampio spazio ai problemi della Terra Santa; nel 1924 il suo corrispondente da Gerusalemme scriveva: "In Europa, con un superficialismo che irrita si guarda al nuovo fenomeno semitico con aria scettica di compatimento. Ma la realtà è una sola: gli ebrei lavorano con eroica serietà di propositi".
La "Civiltà Cattolica" così si esprimeva: "I sionisti invadono arrogantemente il paese, che è la casa degli arabi, per impiantarvi la loro home espellendone gli antichi e pacifici abitatori."
Questi due interventi confermano l'esattezza di un giudizio formulato alcuni anni più tardi da Mons. Tardini: "La Santa Sede non ha mai approvato il progetto di fare della Palestina una home
ebraica."
Le motivazioni sottese a questo orientamento – che dominò la politica vaticana per tutto il periodo considerato – esigono una attenta considerazione.

In via preliminare è opportuno distinguere tra antisemitismo e antisionismo. Nel corso del pontificato di Pio XI la Santa Sede prese più volte le distanze – sia pure non senza ambiguità e reticenze – dalle manifestazioni di antisemitismo che venivano moltiplicandosi in molti paesi. Ma la condanna dell'antisemitismo però non implicava in alcun modo l'adozione di orientamenti più favorevoli al sionismo. La condanna, infatti nasceva per il dilagare in Europa di movimenti e dottrine ispirati a principi di esasperato razzismo e nazionalismo ma non presupponeva alcuna revisione della tradizionale concessione cattolica che negava al popolo ebraico, dopo la venuta di Cristo, qualsiasi ruolo nella storia della salvezza: tutto il valore del Giudaismo era nella sua sola ragione di essere la preparazione dell'avvento del Messia. Venuto il Messia esso è il concetto di popolo "eletto" erano venuti meno. Questo era il pensiero teologico di quegli anni e senza una profonda revisione della teologia dell'ebraismo era impossibile che gli sforzi per restituire al popolo ebraico una patria (e per di più in Terra Santa) non fossero che considerati una arrogante pretesa contraria al volere di Dio.
Ma soprattutto il sionismo costituiva una mossa anticristiana e anticattolica; in un articolo apparso sulla "Civiltà Cattolica" nel 1945 a firma di Messineo egli richiamando i discorsi di Pio XI del 1922 scriveva che per comprendere le gravi parole del Pontefice, "occorre avvertire che la politica del mandatario nell'amministrazione della Palestina seguiva una doppia direttiva, allo scopo di corrodere e comprimere i diritti dei cattolici: da una parte favoriva il movimento sionista, lasciando mano libera nell'invasione della ragione; dall'altro appoggiava l'elemento "ortodosso" a discapito di quello cattolico."

Ma l'autore dell'articolo riporta anche se brevemente il parere di Mons. Barlassina che nel 1922 era il Patriarca di Gerusalemme. "Lo scopo del Sionismo, per confessione degli stessi sionisti, è il ristabilimento del popolo di Israele sulla terra degli antenati e l'espulsione delle altre nazionalità stabilitevisi nel corso dei secoli. Protetti dalle autorità britanniche i sionisti sono in realtà i padroni della Palestina, dettando legge e imponendo la propria volontà a tutta la popolazione, cattolica e musulmana". Poi il Patriarca parlò della disponibilità monetaria degli ebrei, denaro inviato dai comitati sionisti di tutti i paesi, grazie al quale acquistavano terreni e fondavano scuole. "Il proposito dei Sionisti è di espropriare a poco a poco arabi e cristiani per sostituirsi ad essi".

Complessivamente le riserve di ordine teologico con cui il Vaticano aveva considerato i tentativi di ricostruire lo Stato ebraico, hanno secondo Ferrari, giocato un ruolo significativo ad un livello inconscio: "il pragmatismo che ispirava l'azione della segreteria di Stato vaticano, infatti la spinse a dare maggior peso a considerazioni francamente politiche".
La Santa Sede temeva che Israele si orientasse verso forme di governo ispirate al comunismo o che comunque si collocasse nell'orbita politica dell'allora Unione Sovietica: questa preoccupazione va inquadrata nel contesto degli sforzi compiuti in quegli anni dal governo di Mosca per estendere la propria influenza sul Medio Oriente. [...]

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La Città Santa di Gerusalemme. Gli aspetti ecclesiasticistici e internazionalistici

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Informazioni tesi

  Autore: Anna Maria Mangia
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2004-05
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Raffaele  Coppola
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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