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Indagine preliminare sulle proprietà meccaniche di contenitori polimerici per uso cosmetico: il caso di polietileni e polietileni tereftalati

Impatto ambientale delle plastiche

Al giorno d'oggi i materiali da imballaggio più utilizzati appartengono a quattro grandi categorie: plastiche, metalli (alluminio e acciaio), vetro e carta. Dalle statistiche emerge che nel solo 2005, in Europa, i rifiuti derivati da imballaggi ammontavano a ben 56,3 milioni di tonnellate e rappresentavano più del 25% dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU) (Pira, 2006; Kale G., 2007). Questi dati preoccupanti hanno indotto industriali, ricercatori e governi a lavorare a nuovi metodi di smaltimento dei rifiuti. Valide e ben note alternative allo smaltimento in discarica e all'incenerimento sono il riutilizzo e il riciclaggio, che risulta però impraticabile qualora il materiale dopo l'uso presenti residui di cibo o di altro residuo biologico. In particolare, la maggior parte dei materiali da imballaggio impiegati per il packaging alimentare e medicale è smaltita in discarica perché i contaminanti sono difficili da separare e potrebbero creare complicazioni in fase di riciclaggio.
Secondo la norma CR 13688-2000 sviluppata dal Comitato Europeo di Normazione (CEN) nel caso, ad esempio, del riciclaggio di imballaggi in carta, componenti non cartarie, come adesivi, chiusure e graffette, devono essere separate nella fase iniziale del processo così da non frammentarsi successivamente in particelle piccole e non più separabili. Anche la compatibilità con materiali trattati o accoppiati, quali cere o bitume per l'impregnazione, particolari plastiche accoppiate e trattamenti per la resistenza all'umido, può influenzare negativamente il riciclaggio.

D'altro canto lo smaltimento in discarica comporta anche importanti effetti negativi. È infatti scientificamente provato dall'Organizzazione Internazionale sui Cambiamenti Climatici (IPCC) che i rifiuti in discarica causano emissioni ad alto contenuto di metano e di anidride carbonica, due gas serra molto attivi; una moderna discarica dovrebbe pertanto prevedere sistemi di captazione di tali gas (in particolare il metano, che può essere usato anziché disperso in atmosfera). Fortunatamente negli ultimi anni si è affacciata sulla scena mondiale una nuova e affascinante alternativa: la possibilità di recuperare anche questi materiali contaminati grazie al compostaggio. Con il termine di compostaggio si intende quel processo biologico aerobio attraverso il quale i microrganismi trasformano il materiale organico, quale letame, fango, foglie, carta e rifiuti alimentari in compost, ovvero una sostanza dalla composizione evidentemente simile a quella del terreno. L'idea del compostaggio si inserisce però in un progetto ben più ampio e ambizioso. Il polilattide (PLA) e il poliidrossibutirrato (PHB), due tra i polimeri più utilizzati negli imballaggi alimentari, medicali e per beni di consumo, si possono ottenere da fonti rinnovabili e perciò per questa ragione possono essere definiti biopolimeri. Tuttavia in una ottica futura, i suddetti biopolimeri potrebbero essere recuperati grazie al processo di compostaggio che ne permetterebbe il degrado in ambienti biologici come il suolo o il compost, rendendoli pertanto molto utili a promuovere il benessere dell'ambiente. Tuttavia finora non esiste alcun accordo tra imprese, governi e consumatori sui metodi di compostaggio dei materiali da imballaggio.

Secondo la Società Americana di Prove e Materiali (ASTM) si definisce plastica biodegradabile una plastica che degrada per azione di microrganismi normalmente presenti in natura, come batteri, funghi e alghe. Diversa è invece la definizione di plastica compostabile che risulta essere invece una plastica che subisce degradazione grazie a processi biologici durante il compostaggio per produrre anidride carbonica, acqua, composti inorganici e biomassa ad una velocità paragonabile a quella di altri materiali compostabili e senza lasciare residui tossici o visibilmente distinguibili. È vero quindi che tutte le plastiche compostabili sono biodegradabili, ma non è sempre vero il contrario. Da ASTM e da ISO (Organizzazione delle Norme Internazionali) sono stati sviluppati standard per valutare la biodegradabilità dei polimeri in diversi ambienti, durante il trattamento di compostaggio, di digestione anaerobica e di permanenza nelle acque reflue. Secondo la norma ASTM D6400 (ASTM, 2004a) infatti un prodotto è compostabile se supera i test di disintegrazione, biodegradazione, sicurezza ambientale e acquatica nei test controllati sul compostaggio in scala di laboratorio. In questo test (descritto nella guida D6002, fase 2, (ASTM, 2002a) e nel metodo di prova D5338 (ASTM, 1998)) i materiali sono esposti alla miscela di compost in recipienti chiusi. Devono essere utilizzati almeno 12 recipienti: 3 bianchi, 3 controlli negativi come ad esempio LDPE, 3 positivi come ad esempio cellulosa e 3 per il materiale da testare. Viene fornita aria umidificata priva di CO2 per un periodo di prova non inferiore a 45 o non superiore a 180 giorni, a una temperatura costante di 58°C (fase termofila), o utilizzando un profilo desiderato di temperatura (ad esempio, 35°C per 1 giorno, 58°C per 4 giorni, 50°C per 23 giorni, 35°C per 2 giorni). La quantità di CO2 sviluppatasi viene misurata utilizzando un metodo cumulativo (titolazione) oppure attraverso una misurazione diretta dell'aria di scarico utilizzando un rivelatore a infrarossi (IR) o mediante gas cromatografia (GC). Alla fine del periodo di prova se non più del 10% del peso secco iniziale rimane dopo setacciatura del compost finale con setaccio 2 mm, allora il materiale mostra una disintegrazione soddisfacente. Per raggiungere invece una biodegradazione soddisfacente, la percentuale cumulativa di carbonio organico convertito in CO2, anche detta mineralizzazione, rispetto al valore teorico deve essere almeno del 60% per un materiale contenente un solo polimero (omopolimero o polimero casuale) e del 90% per un materiale contenente un copolimero a blocchi, un copolimero segmentato, una miscela o additivi a basso peso molecolare. Per la determinazione della sicurezza ambientale e acquatica, invece, la concentrazione di metalli pesanti nella plastica deve essere inferiore al 50% della quantità elencata nella ISO 11226 (ISO, 1994) e il compost finale deve superare i test di tossicità, inclusi i test di tossicità acquatica con Rotifer Brachionus (ISO, 1999a), la germinazione con test dei semi di crescione, il test sulla crescita delle piante (ISO, 2005a) e il test del lombrico (ISO, 2005b). Per superare i test di tossicità, i risultati ottenuti dal compost che contiene il materiale da testare non devono mostrare significative differenze paragonate al compost bianco. Prima del test finale di tossicità il compost finale dai test di compostaggio in scala di laboratorio deve essere ulteriormente preparato, secondo il metodo di test D5951 (ASTM, 2002b). Analogamente, la norma sviluppata da ISO (ECS, 2000) si riferisce specificatamente agli imballaggi, e valuta la compostabilità sulla base della loro caratterizzazione, biodegradazione, disintegrazione e qualità o eco tossicità del compost. [...]

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Indagine preliminare sulle proprietà meccaniche di contenitori polimerici per uso cosmetico: il caso di polietileni e polietileni tereftalati

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Informazioni tesi

  Autore: Greta Raimondi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Pavia
  Facoltà: Farmacia
  Corso: Farmacia
  Relatore: Franca Pavanetto
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 108

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