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Cittadine contro. Storie di donne e di politica nell'Italia degli Anni Settanta

Il doppio rifiuto: la politica non ha voluto le donne, le donne non hanno voluto la politica

La prima parola della politica è, naturalmente, politica. Viene dal greco polis, che significa città. Politica sono le cose della città, della società organizzata e le donne sono state tradizionalmente escluse dall'agorà ove si decidono le cose della città, relegate nel recinto del privato e della famiglia: hanno fatto parte, seppur non senza limiti, della società civile ma non di quella politica. La politica è stata dominio degli uomini (i soli responsabili della gestione della cosa pubblica). Da circa un secolo le cose sono cambiate: le donne non hanno dato semplicemente un contributo alla Resistenza, l'hanno letteralmente resa possibile (a questo proposito Francesca Rolla sostiene che «non siamo state eroine. Siamo state spinte dalla necessità di sentirci liberi. E noi donne con qualche motivo in più: si doveva pensare ai nostri diritti, alla nostra dignità»), sono entrate nel mondo del lavoro e poi, prima pochissime, poi poche, hanno cominciato ad entrare in politica. In Italia la discussione sui loro diritti di cittadine è durata decenni e si è risolta positivamente soltanto dopo la liberazione ed è con la liberazione che si conclude la prima stagione dell'emancipazione femminile. Il dopoguerra, nel clima conservatore creato dal dominio della DC, tende a ridurre la condizione femminile relegando le donne al loro ruolo di tutrici della famiglia e dei suoi valori, mentre anche nei partiti della sinistra il problema femminile non sembra meritare alcuna specifica trattazione ma viene piuttosto fatto rientrare nella più generale questione di rinnovamento e sviluppo democratico.
La Costituzione sancisce, all'art.3, il principio d'uguaglianza giuridica tra uomini e donne oltre che in modo formale, nel senso che non sono ammissibili discriminazioni tra uomini e donne, anche in modo sostanziale, nel senso che le istituzioni dello Stato hanno il potere ed il dovere di rimuovere gli ostacoli per favorire l'effettiva equiparazione. Al momento dell'entrata in vigore della Costituzione, i codici e le leggi vigenti sono ancora quelli del periodo precedente: a tale proposito è significativo fare riferimento al «delitto d'onore» introdotto dal Codice Rocco del 1930 che vuole ribadire la subalternità della donna nei confronti dell'uomo e verrà cassato dal sistema giuridico italiano soltanto nel 1981. Le associazioni femminili e le donne parlamentari si impegnarono tenacemente in un nuovo periodo di lotte rivolte all'affermazione dell'uguaglianza dei diritti ma «ci vollero però anni, decenni, per rinnovare l'ordinamento giuridico italiano e permettere alla donna il godimento dei propri diritti». I primi interventi legislativi degli anni '50 e '60 tendono a proteggere la condizione della donna lavoratrice: nel 1950 viene promulgata la legge n. 860 sulla tutela fisica ed economica della lavoratrice madre ed ancora una volta il tema della tutela della donna si sostituisce all'affermazione di un diritto. Nel 1960 viene firmato un accordo industriale che riguarda l'eliminazione dai contratti collettivi nazionali delle differenze salariali tra uomini e donne, anche se di fatto la discriminazione permane trovandosi le donne inquadrate generalmente nei livelli occupazionali più bassi. Nel 1963 la legge n. 7 vieta il licenziamento delle donne per causa di matrimonio. Ma sarà la legge n. 66 del 1963 a porre «praticamente termine alle millenarie discriminazioni subite dalla donna italiana» rendendo operante il diritto delle donne di accedere a tutti gli uffici pubblici, compresa la Magistratura, tranne le eccezioni previste da apposite leggi. L'inserimento nel lavoro produttivo favorisce lo sviluppo nelle donne di una nuova consapevolezza composta da inedite contraddizioni e nuove esigenze; la conquista dell'indipendenza economica viene pagata con il pesante prezzo del «doppio lavoro», nel lavoro produttivo retribuito e nella famiglia, che lascia poco spazio per le personali occupazioni. La contraddizione diventa ancora più marcata quando si tratta di conciliare un impegno totalizzante come la politica e la famiglia. «La rivendicazione sia del diritto al lavoro che di efficienti servizi sociali che alleggerissero il peso del doppio lavoro femminile avrebbero effettivamente potuto rappresentare una prospettiva rinnovatrice di interesse generale». I nuovi strumenti per il lavoro domestico che il progresso tecnologico offre, non bastano ad alleggerire il peso del lavoro di casa: «occorre che la società riconosca il valore sociale della funzione materna e che si assuma servizi oggi esclusivamente affidati alla famiglia, alla donna». Ancora oggi la questione è aperta. […]

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Cittadine contro. Storie di donne e di politica nell'Italia degli Anni Settanta

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Informazioni tesi

  Autore: Stefania Chiappuella
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze sociologiche
  Relatore: Marcella  Aglietti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 53

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