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La Resistenza Etiope. Dalla caduta alla riconquista di Addis Abeba (1935-41)

La grande insurrezione dell’estate ’37

I primi focolai della rivolta si manifestano nell’Amhara dove hanno trovato rifugio i pochi intellettuali e notabili scampati alla strage di Addis Abeba, ma ben presto dilagano su tutto il territorio spingendo anche le popolazioni contadine, che si sentono minacciate di sterminio, a raggiungere le file degli insorti: le sostiene anche il clero cristiano-copto che osserva preoccupato la crescente politica filo-musulmana degli italiani1 mentre i partigiani etiopici si stanno finalmente organizzando per lanciare una nuova offensiva.

Abebè Aregai ha raccolto un esercito di almeno 4.000 uomini e dispone di armi adeguate. I generali italiani, convinti di tenere in pugno la situazione, allentano i controlli e frazionano le truppe a loro disposizione; anzi, il generale Pirzio Biroli governatore dell’Amhara chiede un periodo di congedo da trascorrere in Italia da maggio a metà luglio. L’unico più attento, che mette in guardia Graziani è il generale Gallina, che comanda il settore di Makallé e avverte Graziani che qualcosa cova sotto le ceneri.

All’improvviso, al termine delle piogge, scoppia la rivolta che si accende dapprima nel Lasta per iniziativa del dejacc Hailù Chebbede, si estende al Beghemder e divampa nel Goggiam.: non si tratta più di attività isolate in regioni ormai pacificate, ma di un grande movimento organizzato, che si estende anche all’Eritrea, la regione notoriamente fedele.

Il dejacc Hailù Chebbede, figlio del governatore dell’Uag, apre le ostilità nel Lasta assaltando, il 22 agosto 1937, il presidio di Amba Uork e catturando con i suoi uomini una pattuglia della banda residenziale costringendo il comandante della fortezza a rinchiudervisi in attesa dei rinforzi. Questo dejacc si era già distinto durante l’invasione italiana e alla morte di Uonduossen Kassa si era rititrato nella sua regione d’origine rifiutando la sottomissione, riuscendo a tenere in scacco persino la colonna, due compagnie ed una banda, mandata dal governatore dell’Amhara Pirzio Biroli in soccorso al comandante dell’Amba Uork. L’afflusso di nuovi battaglioni anche dal limitrofo governatorato di Eritrea non spaventò l’intraprendente dejacc che riusciva a impedire l’arrivo a Socotà con i suoi arbegnoch sia alla colonna del colonnello Mannazzu partita da Lalibelà, sia alle camicie nere del generale Cubeddu, comandante delle forze armate del governo dell’Amhara fino a metà settembre ’37. Questa insostenibile situazione precipitò quando il vicerè Graziani con un atto di autorità esautorava il governatore Biroli e prendeva il controllo delle operazioni nel Lasta.

Il generale si decide allora a chiedere aiuti al generale Nasi, al generale Santini dalla Somalia e a Cubeddu dall’Eritrea, prende soldati dagli addetti ai servizi e soprattutto manda a combattere nel Lasta e nello Uag le bande irregolari degli Azebò Galla. Mussolini, allarmato, manda d’urgenza da Roma sei battaglioni metropolitani e raccomanda di agire con la massima energia impiegando anche i gas. Ma gli aiuti giungono a destinazione con grande difficoltà a causa delle piogge.

Il 19 settembre, organizzati in una colonna sei battaglioni coloniali, una banda irregolare di Toclu Mescescià e una del comandante De Rege e posti reggimenti di camicie nere e truppe del Goggiam intorno alla regione, cominciarono le operazioni che, dopo una serie di sanguinosi scontri e la distruzione di tutti i villaggi incontrati, giunge a Socotà il 23 Settembre. Lo stesso giorno i galla della banda del colonnello Raugei catturano Hailù Chebbede. Questi viene ucciso, decapitato e la sua testa viene esposta a Socotà e sulla piazza di Quoram, suo ex feudo, per ordine dello stesso vicerè. Le operazioni non si concludono nemmeno allora e la colonna prosegue distruggendo tutti i villaggi che incontra e sequestrando tutto il bestiame fino all’arrivo il 28 settembre dinanzi ad Amba Uork, dove dopo le distruzioni di rito arriva per via telegrafica il bando di Graziani che intima alla popolazione del Tigrai Uoggerat di “rimanere tranquilli” per non incorrere nella stessa fine di Hailu Chebbede e della regione del Lasta messa “a ferro e fuoco”.

La rivolta si estende nel Beghemder con l’assedio a Debra Tabor, nel Semien e nel Nonno. Nel Goggiam la rivolta è totale anche a causa della brutalità dell’amministrazione del capitano Corvo, che nel febbraio ’37 elimina il notabiliato locale precedentemente legato a ras Immiru facendolo affogare nel lago Tana. L’insurrezione popolare seguita a questi eventi chiama alla propria guida personaggi intelligenti e capaci, quali i dejacc Mangascià Giamberié, Negasc Bezabé e Belai Zellechè e il ligg Hailù Belau, i primi due balabats ereditari legati alla famiglia Tekle-Haimanot di ras Hailù mentre Belai Zellechè ha umili origini contadine e si afferma solo grazie alle sue capacità militari. Da subito si combatte aspramente a Bahar Dar, a Danghila e a Mata, dove la colonna Farello con le bande Uollo e Amba Sel distrugge tutti i villaggi; a Danghila la colonna Monelli viene attaccata dagli uomini del dejacc Negasc. Nel Goggiam orientale la rivolta è totale, facilitata anche dal terreno impervio; in quello occidentale i partigiani si spostano in continuazione inseguiti dagli italiani facilitati in ciò da un terreno più agevole. Ai primi di ottobre, mentre la ribellione nel Goggiam settentrionale è al massimo della violenza, l’aviazione rifornisce di viveri e munizioni i presidi assediati e intensifica la sua attività per tutto il mese. A novembre si rivolge invece al settore meridionale dove si era intensificata la rivolta. Ai bombardamenti si aggiungono “spezzoni incendiari per appiccare il fuoco ai raccolti” o lanciati nel mezzo di una riunione, bombe gettate su villaggi, bestiame e raccolti.

Ma la popolazione è esasperata e giura di combattere fino alla morte. Allarmato, Graziani tenta la strada delle trattative di pace mediate da ras Hailù, facendogli scrivere lettere ai dejacc Negasc Bezabè e Mangascià Giamberiè, ma la risposta sprezzante e ironica di Negasc invita piuttosto gli italiani a ritirarsi dal Goggiam promettendo loro salva la vita.

Nonostante il grande dispiegamento di forze, gli attacchi si susseguono e ciò provoca durissime rampogne al vicerè da parte del ministro. A fine novembre si tenta anche di ottenere aiuti dalla chiesa, facendo eleggere vescovo della regione l’anziano abuna Abraham, ma i ribelli rifiutano ogni accordo. Ormai Graziani è in disgrazia e sa già che sarà sostituito, quando ai primi di dicembre raccoglie un altro grave insuccesso nei pressi di Bahar Dar, dove la colonna Barbacini viene quasi distrutta dai partigiani del dejacc Mangascià. Anche a Roma, nonostante l’invio di nuove truppe, si teme per la sorte dell’impero. La resistenza etiopica non sarà più domata perché, come scrive Del Boca, “ha profonde radici, una tecnica apprezzabile, motivazioni a non finire”. Essa ora è attiva non solo nel Goggiam, ma anche nel Beghemder, nel Semien, nell’Uolcait, nell’Ermacciò, nel Limmù Ennarià, nel Guraghè, nel Mens, nell’Ancoberino e nel Gofà ai confini del Kenia. Gli italiani hanno perduto dal 5 maggio 1936 circa 13.000 uomini e 250 ufficiali. “All’Italia rimangono soltanto i centri abitati e le linee di comunicazione, mentre la campagna, nonostante i continui rastrellamenti, passa in effetti sotto il controllo dei patrioti etiopici”.

La strategia italiana allora si rivolge alla costruzione di strade e fortini assegnando le CCNN alla protezione dei lavoratori, ma comunque i lavori avanzano lentamente e solo nel giugno ’39 il generale Frusci potrà completare la linea di fortini che va da Debra Markos a Bahr Dahr. Nonostante ciò il controllo della regione una volta perduto non sarà mai ripreso efficacemente ed in seguito sarà possibile alle prime forze inglesi di muoversi per lunghi tratti di territorio nel Goggiam senza dover temere di essere intercettati dall’esercito italiano, addirittura “Wingate on his mule with the Ethiopian colours on his topi and totally unarmed (...) went a distance of 25 miles through enemy territory

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Resistenza Etiope. Dalla caduta alla riconquista di Addis Abeba (1935-41)

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Angelucci
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Alessandro Volterra
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 73

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