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Fotografia e Ciclo della vita. Un'indagine ad Altamura

L'atelier del fotografo

Atelier, bottega, studio, laboratorio, i nomi più appropriati per identificare il luogo dove il fotografo metteva in pratica il proprio mestiere, una professione che rifletteva un certo senso di modernità e progresso. Lo studio fotografico metteva in evidenza l'esistenza di un mondo tecnologico, quasi nuovo e da scoprire, agli occhi della gente. La presenza dell'atelier fotografico, infatti, influì notevolmente sul costume locale, non soltanto per la modernità dell'arte che in esso praticava, sia pure spesso nella modestia dell'artigianato, ma anche per la natura a volte quasi ambigua di quei luoghi di lavoro, a metà strada tra lo studio d'artista e il salotto mondano, una specie di teatro con orario continuato nelle ore luminose del giorno, dove il cliente si trasformava in attore e il fotografo in regista. «Altre volte l'atelier era più simile al salone di un caffè o alla bottega chiacchierona del barbiere, il tutto e sempre sotto il segno di un'arte-magica o di una scienza-artistica».

La bottega nel tempo divenne una vera e propria scuola dove apprendere l'arte della fotografia. Il mestiere di fotografo era appreso sempre più frequentemente nella bottega, dopo un apprendistato che non pretendeva particolari qualifiche culturali, ma soprattutto buona volontà, meticolosità, e un po' di senso commerciale. Il tempo ha maturato anche un certo progredire della tecnologia fotografica, un po' in tutti i settori del mondo fotografico. Questa modernità riscontrava un successo che andava oltre i soli strumenti di lavoro, i metodi e i loro continui perfezionamenti tecnici; anche gli atelier contavano sull'arredo dei loro spazi, sul lusso che li doveva contraddistinguere, per qualificarsi tra i concorrenti. Certamente Altamura non ha conosciuto situazioni concorrenziali tra fotografi: il fatto di essere stati davvero pochi, almeno sino agli anni Sessanta del '900, è stato sia un vantaggio per i cittadini che avevano bisogno di farsi fotografare, conoscendo bene chi fosse il loro fotografo, sia un beneficio per quei fotografi che si erano avventurati in questo nuovo lavoro, aprendo lo studio fotografico senza molte garanzie economiche, vista la committenza, cresciuta pian piano soprattutto negli anni del secondo dopoguerra.

Il laboratorio fotografico cambia aspetto nel tempo. In passato l'atelier fotografico conteneva tendaggi, vetrate per la luce, un'ampia congerie di arredi, mobili, divanetti, poltroncine, sedie, tavolinetti, angoliere, balaustre, tutto arricchito da un altrettanto variegato corredo di suppellettili, vasi, statuette, orologi, piante, cornici e quadri, e prevedeva inoltre dei fondali pittorici. Tutti questi oggetti servivano per la messa in scena in studio, per ritrarre i soggetti in eventi a loro cari o in momenti da ricordare. L'atelier quindi, non era solo il locale in cui le foto erano riprodotte, stampate su carta, ma era anche il luogo in cui la foto veniva realizzata, con l'aiuto di tutti quegli oggetti sopra elencati.
Il fotografo professionista, commerciante, non poteva fare a meno del suo studio: senza di esso sarebbe rimasto un semplice fotografo ambulante, con una probabile reputazione di dilettante, per di più senza elevati profitti economici e privo di riconoscimenti per professionalità fotografica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Fotografia e Ciclo della vita. Un'indagine ad Altamura

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Informazioni tesi

  Autore: Salvatore Cannito
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi della Basilicata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Beni Culturali
  Relatore: Ferdinando Mirizzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 88

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