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Il mockumentary, per una definizione tra generi e nazionalità

Gruppi, cantanti e industria musicale

Il genere mockumentary, come si è detto, si presta bene a mostrare i retroscena dei mondi dello spettacolo. Tra questi l'ambito musicale non fa eccezione, anzi questa tipologia di film è riuscita in alcuni casi a compiere un passo successivo. Le storie, finte, che vengono narrate di singoli cantanti o band e del loro successo, in alcuni casi si sono trasformate in un vero successo. Gli album contenenti le colonne sonore di film come The Rutles o This Is Spinal Tap sono andati a ruba e nel secondo caso, come vedremo, la band si è riunita ed esibita in un vero concerto, cosa che ha reso gli Spinal Tap reali.

La rappresentazione del mondo dell'industria musicale è onnipresente in tutti i film del genere; se a volte viene preso di mira un determinato genere, altre volte la parodia centra un gruppo esistente, come nel caso di The Rutles - All You Need is Cash, film del 1978 di Eric Idle e Gary Weis. Come intuibile, la band alla quale fa riferimento questa coproduzione britannico-statunitense sono The Beatles; avere presente questo aspetto è fondamentale per una piena fruizione del significato ironico del film. Come ci fa notare Liliana Carneriro Albuquerque nella sua Tesi di Dottorato, «in the case of The Rutles, for example, to fully appreciate the film the viewer must know something about The Beatles. If they did not have some knowledge of the Fab Four they could perhaps still enjoy it, but not with the same level of understanding». Il gruppo messo assieme da Neil Innes (che fa la parodia di John Lennon), Eric Idle (Paul McCartney), Ricky Fataar (George Harrison) e John Halsey (Ringo Starr) ripropone l'ascesa dei Beatles in chiave ironica, ma questo non è l'unica tematica del film. Come fa notare Prevosti, «viene messa alla berlina l’aura da mitologia rock che circondava il gruppo dei Beatles in quel periodo, ma appare evidente la sfrontata ironia sulla serietà dei documentari prodotti nello stile BBC attraverso l’assurdo e il non sense». Esemplare, in questo senso, la scena con la quale di apre il film, in cui il reporter intento a realizzare il servizio televisivo sulla band si reca nel posto – “Beh, non esattamente qui” – dove ha avuto origine la storia dei Rutles. Mentre cammina, il cameraman inizia a muoversi più velocemente di lui, mentre questi cerca di rincorrerlo e continuare il servizio, fino ad allontanarsi e lasciarlo sullo sfondo. In questo modo, fa notare Franco:

la telecamera si rivela, in altre parole la sua presenza si sente; oltre a ciò questa sequenza costituisce una metafora, anche se in senso grottesco, della natura stessa dei media, ovvero il fatto stesso che, se qualcuno vuole comunicare con noi e rendere autorevole una notizia o un fatto, per prima cosa deve avere la possibilità di stare davanti ad una telecamera. […] Il significato della corsa disperata sta forse proprio proprio lì, nel non perdere la propria audience.

Il film riporta molti riferimenti simili, basti pensare al finale in cui avviene il contrario e la camera si avvicina sempre di più al reporter fino a travolgerlo, così «disvela i meccanismi narrativi del documentario portandoli all’eccesso». Come anticipato in precedenza, riuscire a collocare il film e la colonna sonora edita in seguito, in un contesto parodistico è indispensabile, ma non scontato; tanto che «chi non ha capito la natura del prodotto, lo ha inserito a forza fra i gruppi e i dischi “veri”». Come affermano Letizia Muratori e Cristina Piccino, «l’accoglienza che la critica musicale italiana riservò all'uscita dell’album parodia dei Rutles, plagio reoconfesso delle hit dei ragazzi di Liverpool [...] indignate stroncature fioccarono sui giornali, gli addetti ai lavori non si capacitavano di come si potesse così smaccatamente copiare i Beatles, senza conseguenze».

Bisognerà aspettare fino al 1984 con This Is Spinal Tap perché venga coniata l'espressione rockumentary. «Il personaggio del documentarista», secondo Franco, «assume un’importanza particolare; è infatti colui che ci guida nella scoperta del gruppo. A questo proposito è di grande interesse la sequenza iniziale, dove Rob Reiner si presenta e, al pari di molti documentari e mockdocumentary, ci espone le ragioni per cui ha voluto fare il documentario». Anche in questo caso la contestualizzazione del film all'interno della tipologia del falso documentario è importante. Come afferma Nichols, «se prendiamo sul serio la descrizione che il film dà di sé, crederemo che gli Spinal Tap siano un gruppo rock realmente esistente. Poiché il gruppo è stato creato apposta per il film […] Quello che rischieremo di non capire è che né il gruppo rock né la strega esistevano prima della realizzazione di queste pellicole». Proprio per questo motivo, il registro comico del film è estremamente marcato. Le situazioni che i membri della band raccontano all'intervistatore, una per tutte l'elenco dei decessi dei batteristi della band, sono al limite del paradossale.

Molto del suo impatto ironico dipende dalla sua abilità di convincerci almeno in minima parte, poiché ci viene detto così, di stare guardando un documentario vero. Ironizzare significa anche non dire quello che si vuole, o dire il contrario. Allo stesso modo con cui l’uso ironico delle convenzioni giornalistiche è un indizio del fatto che “This is Spinal Tap” è un finto documentario, l’uso ironico del commento autorevole in questi film è un segno molto importante per capire che, più che persuaderci della validità del loro modo di vedere il mondo, vogliono farci sospettare delle stesse convenzioni del genere documentaristico. La credibilità sussulta quando quello che dicono inizia a contraddire come lo dicono.

Mostrare il backstage dei concerti e le diatribe causate da una copertina per l'album troppo osé fornisce lo spunto per dare una visione caricaturale dei retroscena del business musicale. «Nel documentario ci si imbatte in tutti gli stereotipi, sia del rock, sia del documentario sul rock. […] Rivela quanto sia importante nel “caotico mondo dell’heavy rock” la confezione piuttosto che il contenuto; spesso artisti di talento non hanno nessun controllo sulla loro immagine». Quello di Rob Reiner «è un testo molto “denso” proprio perché i vari tipi di stereotipi e parodie si intrecciano indissolubilmente coadiuvati, come già detto da una straordinaria recitazione e messa in scena».
Questa messa in scena parodistica si accompagna ad una serie di accorgimenti che cercano di rendere la vicenda il più realistica possibile. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il mockumentary, per una definizione tra generi e nazionalità

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Marxia Porcaro
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze dell'educazione
  Corso: Discipline cinematografiche
  Relatore: Franco Prono
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 115

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