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Le Strategie Statunitensi di Sicurezza Energetica - Da Carter a Obama

Il ruolo del petrolio e dei militari

Come si è visto, uno degli obiettivi dei programmi di addestramento portati avanti dagli Stati Uniti nei confronti delle forze armate della Georgia è stato ed è quello della protezione degli oleodotti e dei gasdotti che passano attraverso il territorio del paese sud caucasico.

Ebbene, la letteratura sul cosiddetto «oil curse» (il flusso del petrolio) indica che i paesi che fanno un eccessivo affidamento sui proventi derivanti dallo sfruttamento del greggio si trasformano in quelli che vengono definiti «rentier states» (ossia stati che basano eccessivamente il proprio sviluppo economico sulle rendite assicurate grazie alla messa a disposizione del commercio internazionale delle risorse naturali dell’intero territorio o di vaste porzioni di esso). Anziché produrre beni e creare istituzioni che producano un cambiamento nella struttura della società, i rentier states sviluppano governi che man mano diventano sempre più distanti dalla società e, quindi, più autoritari.

É una dinamica simile a quanto avviene in Medio Oriente, dove le monarchie assolute che basano la propria stabilità sulla ricchezza petrolifera, non avendo bisogno – proprio per questo – di esercitare alcuna pressione fiscale sui propri cittadini, pretendono in cambio da questi ultimi una assoluta fedeltà al regime, responsabile della concessione gratuita di alcuni servizi essenziali ma, allo stesso tempo, reo di limitare in misura eccessiva lo spazio politico e la libertà di espressione.
Da questo punto di vista, tutti e tre i paesi del Caucaso meridionale possono essere definiti rentier states: l’Azerbaigian fa un eccessivo affidamento sui propri idrocarburi; l’Armenia sulle rimesse che arrivano dalla diaspora; la Georgia sul transito delle risorse energetiche (in particolare azere) attraverso il proprio territorio.

Il realizzarsi di queste dinamiche ha impedito che si realizzasse il processo che un filone di studio ritiene essere il vero collegamento tra la crescita economica di un paese e il suo miglioramento anche sotto il profilo democratico: a fronte di un «mainstream» che continua a considerare la relazione tra benessere economico e democrazia un rapporto di causa-effetto, infatti, è quasi altrettanto diffusa la visione secondo la quale la crescita economica fa in modo che si formi un’opinione pubblica più istruita e che si verifichi un allargamento della classe media, favorendo di conseguenza lo sviluppo di una cultura civica che premia i valori della fiducia e della competenza; questi fattori, a loro volta, incrementerebbero il supporto per la democrazia.
I regimi dei paesi del Caucaso meridionale, anziché fare in modo che questo processo si svolgesse e che producesse le conseguenze appena analizzate, lo hanno interrotto bruscamente, attuando violente repressioni nei confronti dei movimenti di protesta popolare, delle manifestazioni di piazza, delle opposizioni: in sostanza è stata respinta con violenza la richiesta di una maggiore partecipazione politica da parte dei cittadini.

A partire dall’aprile del 2009, in Georgia ci furono tre mesi di disordini portati avanti con lo scopo di ottenere le dimissioni di Saakashvili. Nel primo giorno di proteste più di 250.000 persone scesero in piazza a Tbilisi. In occasione del giorno dell’indipendenza georgiana, il 26 maggio, presero parte alle celebrazioni anche 100.000 manifestanti. Precedentemente, nel novembre del 2007, il governo aveva soppresso violentemente le manifestazioni dell’opposizione, utilizzando, in seguito, la scusante di un presunto tentativo di colpo di stato per dichiarare lo stato d’emergenza e proibire le trasmissioni televisive per quindici giorni, ad eccezione di quelle realizzate dalle emittenti controllate dal governo.

A peggiorare ulteriormente il quadro interviene la forte commistione tra l’elemento militare e quello civile che caratterizza sì la Georgia, ma anche Armenia ed Azerbaigian: Tbilisi deve ancora risolvere i problemi legati alle regioni indipendentiste; Erevan e Baku portano avanti da vent’anni la lotta per il Nagorno Karabakh. Questo territorio, definito «a status conteso», si è dichiarato indipendente dall’Azerbaigian nel 1992 e oggi rappresenta un’enclave armena in territorio azero, il cui possesso è rivendicato da entrambi i paesi confinanti. I regimi che si sono susseguiti nell’arco dei vent’anni di indipendenza in questi paesi hanno risentito delle dinamiche di questi conflitti: in Azerbaigian, per esempio, in soli sei anni dall’acquisizione dell’indipendenza (dal 1992 al 1998), tre presidenti caddero proprio per le lotte interne al paese in merito alla gestione della questione del Nagorno Karabakh.

All’indomani del crollo dell’Unione Sovietica – e quindi dell’indipendenza azera – uno degli ostacoli principali allo sfruttamento del potenziale di petrolio e gas naturale dell’Azerbaigian era costituito proprio dall’ininterrotto conflitto con l’Armenia.
L’Azerbaigian è il classico esempio di rentier state: le riserve petrolifere di questo paese sono nell’ordine dei 7 miliardi di barili, mentre quelle di gas naturale si attestano a circa 849 miliardi di m3.
Il presidente Aliyev ha investito una grande parte dei propri enormi proventi petroliferi per modernizzare e potenziare le proprie forze armate. Così facendo, egli è riuscito a mantenere il controllo del paese dopo che – come si è detto – i suoi predecessori avevano fallito proprio nel medesimo obiettivo.

Un rapporto datato 2004 elenca una serie di gruppi paramilitari presenti in tutto il territorio georgiano, che si sono sviluppati a partire dai primi anni ’90. Alcuni di questi hanno avuto legami di tipo occasionale con il governo. Altri si sono venuti a creare in seguito alla guerra civile o alle guerre combattute per l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Altri ancora hanno legami con la Russia.
Nel 2004, il fatto che i ministri della difesa e degli interni nonché i capi dei servizi di sicurezza fossero tutti generali dell’esercito, sollevò profondi dubbi a proposito del livello di controllo civile sull’apparato militare georgiano. Più precisamente, «non è possibile parlare di un controllo civile efficace sull’apparato militare quando sul territorio georgiano esistono così tanti gruppi paramilitari.»

Alcune unità dell’esercito si ammutinarono nel 2001 e nel 2004, per la maggior parte dietro lauti pagamenti. I proclami del governo riguardanti un presunto colpo di stato portarono ad affrettare le operazioni per anticipare le elezioni. Le manifestazioni antigovernative furono brutalmente soppresse il 7 novembre 2007 e il governo dichiarò lo stato d’emergenza (che durò fino al 16 novembre). Il governo sostenne, nell’occasione, che la Russia stava supportando l’organizzazione di un colpo di stato: ci fu così l’espulsione di tre diplomatici russi. Il governo, inoltre, sosteneva che l’opposizione fosse in combutta con i russi, il che rendeva necessario lo stato d’emergenza.

L’ultimo episodio, in ordine di tempo, che testimonia la tensione del rapporto tra civili e militari in Georgia è quello dell’ammutinamento nella base di Mukhrovani nel maggio 2009. Le circostanze che stanno alla base di un ammutinamento di un battaglione di artiglieria mobile sono poco chiare. Il 5 maggio circa settanta membri del personale disertarono dalla base. Il governo afferma che dietro tutto ciò ci fosse la Russia: si sostiene che l’obiettivo di Mosca fosse quello di interrompere o rovinare le esercitazioni in ambito NATO e, più in generale, provocare un colpo di stato. Mosca negò tutto. L’opposizione georgiana e alcuni militari affermarono che l’ammutinamento era avvenuto contestualmente al rifiuto, da parte dei soldati, dell’ordine di reprimere le manifestazioni in atto. Qualunque sia il motivo dell’ammutinamento, questo episodio di certo non depone a favore dello stato di salute dell’apparato georgiano delle forze armate.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le Strategie Statunitensi di Sicurezza Energetica - Da Carter a Obama

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Informazioni tesi

  Autore: Roberto Cui
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Liliana Saiu
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 155

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