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La condizione dei detenuti immigrati e le loro prospettive a fine pena

La detenzione domiciliare

L’articolo 47-ter dell’Ordinamento Penitenziario, come modificato dalla Legge 27 maggio 1998, n. 165, prevede che “la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza”. Nella sua versione originaria, però, tale misura alternativa era rivolta ad una sfera limitata di destinatari: donna incinta, o madre di bambini che abbiano meno di dieci anni, con lei convivente; padre di bambini che abbiano meno di dieci anni, con lui convivente, ma solo se la madre è morta o sia impossibilitata ad assisterli; persone in condizioni di salute particolarmente gravi, tali da richiedere costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; persona ultrasessantenne, se inabile, anche parzialmente; persona minore di anni ventuno, se vi siano comprovate ragioni di salute, di studio o di famiglia.

Con le modifiche apportate dalla suddetta Legge n. 165/1998, la sfera dei possibili destinatari del beneficio è stata estesa. Il comma 1-bis dell’articolo 47-ter, prevede, infatti, la generale applicazione della detenzione domiciliare a coloro che debbano espiare una pena detentiva inflitta, o anche residua, non superiore a due anni, sempre che non ricorrano i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale, e che tale misura sia ritenuta idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. La detenzione domiciliare non è applicabile ai condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario.

Questa misura alternativa, nonostante non contenga un’esplicita finalità risocializzante, si configura in un’ottica generale di realizzazione del finalismo rieducativo previsto dall’art. 27 della Costituzione. Le modifiche apportate dalla legge del 1998, poi, hanno valorizzato la finalità di reinserimento sociale propria della detenzione domiciliare, avvicinandola alle altre misure alternative. Infatti, il fatto che non sia più limitata a soggetti particolarmente bisognosi di tutela, ma sia applicabile in tutti i casi di pena non superiore a due anni qualora non vi sia pericolo di recidiva, dimostra che è volta a preparare il soggetto al passaggio allo stato di libertà pieno, mediante una misura che favorisce la ripresa dei rapporti familiari ed sociali, riducendo al minimo la condizione di isolamento, anche lavorativo, che si presenta di frequente all’uscita dal carcere. E’ chiaro che il detenuto immigrato risulta svantaggiato anche per l’ottenimento di questa misura, in quanto non può dare garanzie al Magistrato di Sorveglianza, essendo privo di un lavoro, nonché di legami e punti di riferimento solidi.

Il Tribunale, di fronte al detenuto immigrato che, nella maggioranza dei casi, ha commesso il reato proprio per la condizione di emarginazione sociale in cui si trova, sarà molto restio a concedere questa misura se non sono venuti meno quei presupposti che hanno creato le condizioni per la caduta nella criminalità.

Inoltre, requisito indispensabile per ottenere la concessione della misura della detenzione domiciliare, è dimostrare di avere una dimora dove poter scontare il resto della pena: se il detenuto non è in grado di indicare il luogo dove potrà soggiornare durante la fruizione del beneficio, il Magistrato rigetterà la domanda per l’insussistenza della condizione fondamentale per la concessione. Anche in questo caso, possono essere di aiuto le associazioni di volontariato che, utilizzando i “Centri di prima accoglienza” come punti di appoggio abitativo, danno la possibilità anche a qualche detenuto straniero che sia in possesso dei requisiti necessari, di fruire della misura della detenzione domiciliare.

Una volta concesso il beneficio, l’amministrazione penitenziaria viene sollevata da qualsiasi obbligo di mantenimento, cura e assistenza medica del condannato. Ciò sottintende il fatto che il detenuto deve essere in grado di provvedere autonomamente al suo sostentamento, pena il diniego della richiesta di concessione. E’ essenzialmente per la mancanza di una dimora e per le scarse possibilità di trovare un lavoro regolare in quanto immigrato, per giunta detenuto, nonché per la lontananza dei familiari, i quali potrebbero fornire un utile aiuto al mantenimento, che il detenuto straniero, di regola tende a non formulare nemmeno la domanda di concessione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La condizione dei detenuti immigrati e le loro prospettive a fine pena

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Informazioni tesi

  Autore: Roberta Grinzato
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze del servizio sociale
  Relatore: Fabio Perocco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 93

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Parole chiave

immigrazione
rieducazione
immigrati
carcere
penale
detenuti
discriminazioni
reinserimento sociale
detenuti stranieri
prospettive a fine pena

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