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''Comandare ubbidendo'': la lotta del popolo di mais. Donne zapatiste in resistenza.

Una rivoluzione nella rivoluzione

Quella del primo gennaio 1994, però, non fu la prima rivoluzione all'interno delle comunità indigene. Un'altra le percorse a partire ufficialmente dal 1993 e fu combattuta e vinta dalle donne indigene, che fecero della parola la loro arma vincente. Non ci furono né feriti né morti. "Solo" un cambiamento radicale.
Quelle delle donne indigene fu sempre una situazione difficile. Considerate le ultime tra gli ultimi, non avevano la possibilità neanche di scegliere se sposarsi e con chi. Spesso venivano date in sposa molto piccole e in cambio di cibo e animali, secondo la tradizione del "valore della sposa", erano comprate in base a quanto il padre dichiarava di aver speso per mantenere la figlia fino a quel momento. La donna diventava un oggetto di appartenenza del marito. Come dicono I choles, «c'era un tempo in cui nel mondo maya regnava una dualità composta da padre-madre che in una oscurità liquida avevano dato la luce al mondo» (Rovira, Donne di mais, pag14). Con l'arrivo degli spagnoli questa dualità si trasformò a livello religioso, ma non solo: l'entità divenne una, il Dio, rendendo marginale e "inferiore" tutto ciò che si allontanava dall'essenza di questa nuova divinità, a partire dal sesso. L'unica protagonista femminile rimase la Vergine di Guadalupe, la quale aveva come triste scopo quello di rendere la cristanizzazione una pillola più facile da ingerire. La figura del Cristo e la sua crocifissione, infatti, era troppo "violenta". La Vergine venne quindi usata come vessillo per una più "dolce" conversione cristiana. Ma questo non aiutò a migliorare la figura della donna. La società che nacque fu basata sul maschilismo che portò ad una rapida decadenza della figura femminile (che tra i maya, invece, godeva di una consolidata importanza). E durante la larga noche de los 500 años la situazione non fece altro che peggiorare. Furono molte le donne indigene venditrici di oggetti artigianali che a San Cristobal de las Casas vennero violentate, picchiate e derubate. Ma le condizioni più disumane le vivevano le donne che stavano al servizio nelle tenute di meticci o bianchi ricchi. In un suo romanzo Rosario Castellanos, poetessa e giornalista messicana, ci dà un esempio di questi cinquecento anni di colonizzazione scrivendo di un fatto accaduto tra una padrona bianca e una donna india:
«Quando Idolina nacque io non avevo latte […]. Vivevamo nella tenuta del mio primo marito. Un posto sperdutissimo. Fummo bloccati lì dalle piogge e per me arrivò il momento critico. Era la prima volta che partorivo […]. Tra gli indios ci sono delle levatrici con molta esperienza e una di loro mi diede assistenza. Risolsi le mie preoccupazioni senza altri impicci. Le difficoltà iniziarono dopo. Idolina piangeva dalla fame… Venni a sapere che lì vicino c'era una donna che aveva appena partorito come me, Teresa. Ordinai che me la portassero. Le offrii le perle della Vergine perché facesse da balia a Idolina. Disse di no. Era magra, tremante. Sosteneva che il suo latte non sarebbe bastato per due bocche. Addirittura fuggì dalla tenuta. Ma io ordinai ai vaccari di andarla a cercare. Sul monte fecero una vera e propria battuta di caccia. Trovarono Teresa rintanata in una grotta, abbracciata alla sua creatura. Non ci fu altro modo che trascinarla di peso per portarla alla casa grande. […]. Per farsi liberare finse di accettare quel che si comandava. Poi scoprii che dava meno latte a Idolina per darlo a sua figlia. Dovetti separarle. »
«E l'altra creatura?»
«Morì. Perché non doveva morire? Aveva qualche santo in paradiso lei? Teresa non è altro che una india. E anche sua figlia era una india.» (Rovira, Donne di mais, pp. 13).
Una donna indigena si sveglia, di solito, alle tre di notte per preparare la colazione a suo marito che, verso le cinque, si sveglia per andare a lavorare nei campi. La loro dieta si basa quasi esclusivamente sul mais: le donne ne macinano i grani, ne fanno delle palline, le appiattiscono in focacce sottili (tortillas) e poi le cuociono sulla piastra, attività che porta via loro, durante l'intera giornata, dalle tre alle cinque ore. Molte si svegliano addirittura all'una di notte, vanno a fare la legna, accendono il fuoco, prendono l'acqua, fanno le tortillas e, se necessario, all'alba vanno alla milpa a prendere quello che serve. E questo è ciò che fanno dal lunedì alla domenica. Gli uomini almeno hanno la domenica per riposarsi, per divertirsi e avere un po' di tempo per loro. Le donne spesso finiscono i loro lavori tardissimo, perché dopo cena molte volte vanno a lavare i panni al fiume, poiché durante il giorno non ne hanno avuto il tempo. Le bambine vengono cresciute in questo ambiente, e già da molto piccole si prendono cura dei fratellini e aiutano sempre la mamma nelle faccende di casa. Ma tutte queste attività non permettono loro di andare a scuola; per questo, di solito è molto raro trovare nel Chiapas delle donne indigene che parlano anche spagnolo (ibid).
Il movimento zapatista si propone di attuare dei cambiamenti per la popolazione indigena intesa nella sua totalità, nella quale sono quindi comprese anche le donne. Quest'ultime iniziarono a prendere coscienza della loro situazione di sfruttamento quando entrarono in contatto con l'EZLN, e si organizzarono in modo tale da ottenere dei miglioramenti. Nell' esercito zapatista di liberazione nazionale, infatti, sono presenti anche le donne, con fucili e passamontagna. Attraverso i contatti con la società civile, presto molte donne dei villaggi capirono che per loro poteva esserci un'alternativa: potevano arruolarsi e combattere, fino a rivestire ruoli importanti all'interno dell'esercito. Non più sofferenze e sacrifici, ma libertà e presa di coscienza. Ma anche chi non si voleva arruolare ora possedeva gli strumenti per poter attuare un cambiamento. Lo sforzo delle donne dell'EZLN fu notevole: andando tra le varie comunità facevano capire alle mujeres indigenes che potevano esigere rispetto dai mariti appartenenti ad una società maschilista ereditata da cinquecento anni di conquista. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

''Comandare ubbidendo'': la lotta del popolo di mais. Donne zapatiste in resistenza.

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Informazioni tesi

  Autore: Veronica Leccese
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: comunicazione interculturale
  Relatore: Alberto Guaraldo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 55

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Parole chiave

antropologia
donne
resistenza
messico
chiapas
zapatisti
osservatore dei diritti umani

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