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Sovranità condivisa: limiti e possibilità dei privati come attori politici globali

Lo stakeholder come soggetto politico senza rappresentanza

Alla luce dei passaggi precedenti è possibile argomentare che la cittadinanza classica va ripensata. Anche essendo scettici sulla predominanza intrinseca dei rapporti economici su quelli politici già nel capitalismo moderno e non solo in quello post-moderno, cionondimeno è evidente che:

The disappearance of the proletariat, [..] combined with the postmodern dissolution of the citizenry into multicultural groups, meant that under the conditions of contemporary capitalist societies there seemed to be no obvious vehicle of the political. (Wolin, 2004, p. 568)

Questa dimensione politica ha raggiunto orizzonti e capacità di pervadere la quotidianità tali che alcune corporations, specialmente se attive nel settore informatico, non possono più essere poste in secondo piano rispetto agli Stati. Si è giunti a parlare esplicitamente di un potenziale “country of Facebook” (Kuchler, 2014), non solo per la sua ‘massa’ in termini di ‘popolazione’ (a metà 2014 contava 1,3 miliardi di iscritti, idem), ma per l’esplicita volontà di erogare beni e servizi storicamente costruiti come dominio dello Stato, siano essi le cure mediche o l’educazione.

Wolin ci conferisce due elementi chiave per questo fenomeno: il tramonto del concetto di cittadinanza così come era stato costruito storicamente, ovvero sotto la premessa del monopolio della sovranità da parte dello Stato, e la creazione di narrative da parte dei privati attraverso transazioni economiche (di beni o servizi) globali o addirittura totalmente deterritorializzate:

In contemporary America] corporate power and its culture are no longer external forces that occasionally influence policies and legislation. As these have become integral, so the citizenry has become marginal and democracy more manageable. [..] Superpower62 has only customers[,] clients [and] globalizing corporation[s]. It brings to foreign countries economic goods and services as well as the softening power of cultural influences and products. (Wolin, 2008, p. 131-132)

A livello macro, vi sono almeno due filoni di indagine che la letteratura ha seguito: l’attività di lobby e la connessione tra cittadinanza e diritti umani. Nel primo caso ci si riferisce ad una visione internazionalista della modernità, e il fulcro dell’analisi sta nel comprendere come la rappresentanza si sbilanci in via crescente a favore delle corporations in grado di fare pressione presso gli organi decisionali in maniera asimmetrica (Sklair, 2002). L’Unione europea ovviamente è uno dei casi di studio più interessanti in merito, per la natura ibrida dell’istituzione stessa (Coen, 1997).

Il secondo caso è più interessante perché abbraccia una prospettiva trascendente il concetto classico di Stato ed ha vocazione universale. Se si adotta l’idea che non esiste più un ‘fuori’ in quanto ogni individuo è titolare di diritti e di un potenziale produttivo dalla nascita (Luhmann, 1999), i diritti umani si configurano naturalmente come la variabile principe. L’idea che l’umanità tutta abbia diritto ad essere protetta in alcuni suoi elementi vitali (Ferrajoli, 1997) pone il quesito della possibilità dell’esistenza di diritti senza doveri. Come garantire che uno Stato terzo proteggerà un singolo che non ha legami in loco? Ovviamente la discussione tende ad essere allargata al welfare, poiché si pone il dubbio politico se un individuo senza cittadinanza e che non contribuisce alla ‘ricchezza nazionale’ debba essere titolato a ricevere benefici pubblici, essendo la condizione di essere vivente appartenente al genere umano necessaria e sufficiente ai fini della decisione su sanità, istruzione etc.:

The defining economic principles of Keynesian citizenship - high personal taxation, adequate pensions for retirement and a welfare safety net - are being eroded. The institutional framework of a common experience of membership of a political community - taxation, military service, a common framework of national education, and a vibrant civil society - is declining, and this development is the real basis of the erosion of social citizenship in modern democratic states. This decline is in fact the privatization of public identities following the privatization of public utilities. We would suggest, however, at least in Europe and the United States, social citizenship is eroded as a consequence of changing government strategies rather than as an outcome of the social changes. (Isin & Turner, 2007, p. 10)

La risposta più diffusa in occidente pare essere la privatizzazione di ampie parti del pubblico: sarà l’attore privato a trovare un modo profittevole per garantire questo servizio, e se nessuno vi provvede significa che non è abbastanza rilevante.

Più in generale, il problema di come mantenere vive le basi della rappresentanza, e nello specifico della democrazia, si è posto da tempo. Gli studi sulla cittadinanza sono vasti, ma è possibile evidenziare il punto in comune con l’analisi qui presentata. La proliferazione nel Novecento di istituzioni internazionali che hanno accresciuto costantemente il loro peso in merito ad alcuni ambiti di natura politica, ha eroso il principio di rappresentanza attraverso un sempre maggiore coinvolgimento del potere esecutivo (Sassen, 2006). A questa privatizzazione, la letteratura politica ha cercato di rispondere con lo sviluppo del concetto di governance globale volto a fondere i principi del liberalismo internazionalista con l’universalità dei diritti umani (Dryzek, 1999). Questo approccio considera solo in maniera tangenziale l’idea che lo stakeholder non sia semplicemente un cittadino la cui capacità di voice (Hirschmann, 1970) è diluita, ma un cittadino privato tout court della propria dimensione politica ogni qual volta si relazioni con dimensioni totalmente privatizzate (e quindi con la sovranità dei privati) poiché orientate all’economia.

Per esempio, se il management di una corporation decide di attuare una politica di CSR volta alla difesa di un dato valore, ed un singolo è in un’area ove questa corporation è attiva, egli dovrà confrontarsi con una narrativa che non è stata decisa a maggioranza (quindi legittimata in maniera classica). Il caso qui mostrato è ancora più forte rispetto alla mancanza totale di CSR: nel caso in cui una corporation abbia un comportamento altamente dannoso per l’ambiente in cui lo stakeholder vive, sotto l’ipotesi che ciò non comporti reato, il singolo sarà nei fatti maggiormente danneggiato, ma sarà almeno in grado di contestare la non legittimità della decisione e di utilizzare il suo diritto di rappresentanza attraverso lo Stato affinché esso attivi una dialettica politica sull’argomento (da un intervento ministeriale, ad una interrogazione parlamentare, al semplice intervento di una agenzia per l’ambiente nel caso presentato).

In ultima istanza non resta che definire lo stakeholder da una prospettiva interna all’economia. Come detto in apertura, il termine nasce negli anni Ottanta per definire l’insieme di individui e persone giuridiche coinvolte dalle attività economiche dell’azienda, direttamente o indirettamente (Freeman, 1984). Nella sua formulazione originale, il problema di includere i ‘portatori di interessi’ istituzionali nel processo decisionale (e strategico) dell’azienda si è posto poiché il modello fordista di produzione ha smesso di essere sufficiente al fine di definire le attività di buona parte degli attori privati:

Il tema della gestione degli stakeholders si viene [..] a porre in termini di urgenza pratica di fronte alle turbolenze che accompagnano la crisi della società fordista63, cioè di fronte a quei radicali cambiamenti che sono fonte di incertezza perdurante per l’impresa e rispecchiano la complessità sociale contemporanea[.] E questi cambiamenti non riguardano solo l’interno e l’intorno dell’azienda[..], ma soprattutto [..] l’esterno, da cui provengono pressioni sempre più numerose[.] (Morri, 2009, p. 91)

Questo tipo di approccio toglie alle categorie interne dell’azienda (lavoratori, manager e proprietari) l’esclusiva titolarità delle scelte prese, affiancando i soggetti esterni (fornitori, istituzioni governative, creditori, consumatori, società civile) nel grado di importanza che questi dovrebbero avere ogni volta che le conseguenze delle azioni li riguardino.

Crane et al., si interrogano apertamente sul rapporto tra cittadinanza e stakeholders. La prospettiva qui adottata è manageriale (interna), ma l’elemento innovativo è l’analisi multilivello delle implicazioni politiche che questa figura ha (Crane, Matten, & Moon, 2004). Gli autori smontano gli stakeholders in più sotto-figure, e per ognuna di esse presentano le implicazioni delle attività della corporation. Essi distinguono tra attività che influenzano i portatori di interessi istituzionali:

* interni, come gli stockholders (la finanziarizzazione dell’economia come causa a monte della diluizione del potere decisionale e della diminuita sicurezza degli investimenti in capitale) ed i lavoratori (il ruolo della sindacalizzazione e della partecipazione alla proprietà aziendale)

* esterni, come i consumatori (al diminuire della rappresentanza politica, gli individui occidentali ricercano vieppiù rappresentanza politica attraverso le decisioni di acquisto o facendo pressione sulle agenzie di regolamentazione del commecio, come la Food and Drug Amministration americana o la Commissione europea - vedi Hertz, 2001), i fornitori (decisioni di approvvigionamento etico o secondo linee politiche -come la salvaguardia dell’ambiente o il rifiuto di usare lavoro minorile- da parte di una corporation possono cambiare tutta la linea produttiva in più paesi), istituzioni governative e non (il peso di una corporation può portare all’adozione o meno di una certa legislazione, e specularmente una posizione di minoranza delle istante private può condurre ad una rinnovata espansone del pubblico).

Cionondimeno, la decisione ultima, legittima, spetta solo a coloro che sono interni all’azienda, poiché o sono direttamente i proprietari, oppure sono legati da un contratto (formale o informale) che li renda responsabili per il risultato economico dell’azienda. Politicamente, quindi, la CSR non è sufficiente a dare rappresentanza agli stakeholders esterni. Il prossimo, ed ultimo, capitolo si pone come obiettivo di affrontare proprio questi dilemmi politici.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Sovranità condivisa: limiti e possibilità dei privati come attori politici globali

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandro Niccolò Tirapani
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Maurizio Ricciardi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 133

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