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L’inizio della Guerra Fredda: l’opinione pubblica italiana di fronte al blocco di Berlino (1948-1949)

Il blocco di Berlino - Le prime avvisaglie

Gli storici concordano nel ritenere che il principale motivo dell'attuazione del blocco sovietico alla città di Berlino sia dovuto in risposta agli accordi raggiunti dagli occidentali durante la Conferenza di Londra del febbraio del 1948 .
In un contesto di crescenti tensioni tra Oriente e Occidente, Stati Uniti e Gran Bretagna decisero di convocare nella città londinese una Conferenza tra sei nazioni per discutere in merito all'evoluzione della situazione europea e per decidere del futuro della Germania. Oltre ad americani, inglesi e francesi erano presenti anche i rappresentanti di Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.

Frustrati per il fallimento del Consiglio di controllo interalleato, le forze alleate occidentali, d'intesa con i Paesi del Benelux, raggiunsero, al termine dei lavori, un accordo per l'attuazione della riforma monetaria tedesca e la creazione di uno Stato Tedesco occidentale indipendente.
Fu proprio in questa conferenza che si decise la sostituzione del vecchio e svalutato ReichsMark con il nuovo DeutschMark; e, come abbiamo visto in precedenza, fu proprio a seguito di tale decisione che i sovietici decisero di sciogliere il Consiglio di controllo il 20 marzo 1948 e, nei giorni successivi, di dare inizio ad azioni intimidatorie e di sabotaggio nei confronti dei mezzi occidentali diretti a Berlino.
Le prime avvisaglie del tentativo di blocco si ebbero a partire dal 26 marzo 1948, quando i sovietici accusarono le potenze occidentali di facilitare e tollerare i traffici illeciti a Berlino; il 30 marzo, il vice di Sokolovskij, generale Mikhail Dratvin, informò i suoi omologhi occidentali che i nuovi regolamenti per il traffico “da e per” Berlino sarebbero entrati in vigore il 1° aprile successivo. A partire da quella data, gli occidentali intenzionati ad attraversare la zona sovietica erano obbligati a mostrare i documenti ufficiali comprovanti la loro identità e la loro affiliazione con il governo militare.

La settimana seguente allo scioglimento del Consiglio di controllo alleato, dunque, i sovietici imposero, a tutti gli occidentali che si recavano a Berlino tramite autostrada o ferrovia, il controllo dei documenti di identità e l'ispezione forzata dei bagagli nei nuovi posti di controllo. Restrinsero anche i trasporti militari, gli spostamenti per vie fluviali oltre a limitare la libera circolazione postale.
Tali imposizioni violavano palesemente gli accordi verbali presi da Zukov con il generale Clay il 29 giugno 1945, poco tempo dopo la conclusione del conflitto in Europa.

Inizialmente gli alleati occidentali minimizzarono il pericolo del blocco, evidenziando che quello dei sovietici era semplicemente un bluff ed un tentativo di dimostrare la propria autorità nella città di Berlino. Lo stesso Ministro degli Esteri britannico, Bevin, sottolineò come il vero obiettivo dei sovietici era quello di minare la credibilità occidentale agli occhi della popolazione tedesca e, per questo, avrebbero creato il maggior disagio possibile nei confronti delle forze di occupazione occidentali nella speranza che queste ultime abbandonassero al più presto la città. Per questa ragione gli ufficiali inglesi ed americani giunsero alla medesima conclusione: la vulnerabilità di Berlino era più apparente che reale.
Tuttavia nessuno considerò inizialmente come gli occidentali potessero mantenere l'amministrazione della loro zona berlinese se i russi detenevano il controllo economico e l'esclusiva facoltà di rifornire la città.

Solamente il generale statunitense Clay si convinse che solo una “forte risposta” avrebbe potuto contrastare la pressione sovietica. Autorizzato dal suo governo a rispondere con delle adeguate contromisure, Clay fece presidiare i treni da militari armati di tutto punto. Ma i sovietici, anziché affrontare i soldati americani, deviarono i treni su binari morti e li trattennero fino a quando non invertirono la rotta facendoli tornare nel settore statunitense. Dopo che tre convogli americani e due inglesi subirono quest'umiliante trattamento, Clay decise di inviare convogli di automezzi con scorte armate, convinto che i sovietici non avrebbero rischiato la guerra.

In un primo momento le restrizioni furono immediatamente allentate, tanto che gli Alleati occidentali sperarono che il peggio fosse ormai alle spalle: ma si sbagliarono. Il blocco vero e proprio doveva ancora iniziare.
I sovietici tornarono a colpire il 2 aprile 1948. Questa volta le automobili che percorrevano le strade secondarie provenienti da Amburgo e Francoforte trovarono la strada sbarrata. Poi toccò ai treni, che vennero all'improvviso costretti a deviare verso Helmstedt, una città sul confine nella Bassa Sassonia. Gli occidentali protestarono, sostenendo che i sovietici negavano ogni possibilità di accesso a Berlino: i russi replicarono a loro volta che non esisteva nessun accordo in tal senso. Dal punto di vista formale avevano ragione: gli occidentali non avevano nessuna garanzia scritta. Lo stesso Ministro degli Esteri Bevin, di fronte alla Camera dei Comuni britannica, ammise che: «le norme sui viaggi da e per Berlino non sono specificate con molta chiarezza... Al tempo degli accordi tra gli Alleati molte decisioni furono prese sulla fiducia».

Il 5 aprile la situazione si fece ancora più tesa; un aereo da trasporto britannico della “British European Airways Viking”, che si stava avvicinando all'aeroporto berlinese di Gatow, si scontrò a bassa quota con un caccia sovietico Yak-3. Il movimento aereo dello Yak sovietico fu simile a quello utilizzato in tempo di guerra dai caccia contro i bombardieri nemici: tuttavia il pilota russo sbagliò la virata e al secondo passaggio si schiantò contro il velivolo inglese. L'errore costò la vita al pilota russo, a dieci passeggeri presenti sul “Viking” ed ai quattro membri dell'equipaggio della RAF.

Fu chiaramente un incidente, ma le potenze occidentali temettero che i sovietici potessero attuare un'ulteriore politica di “molestie aeree” oltre a quelle di terra. Gli anglo-americani presentarono pubbliche proteste presso il quartier generale sovietico, situato nel quartiere berlinese di Karlshorst, richiedendo l'istituzione di una commissione di inchiesta per determinare le responsabilità dell'accaduto.
Sokolovskij, seppur dimostrandosi dispiaciuto ed assicurando la delegazione occidentale che l'incidente non era stato assolutamente intenzionale, sostenne che era stato il velivolo britannico a speronare il caccia sovietico, non avendo rispettato le misure di sicurezza previste. L'incontro non portò ad un chiarimento definitivo delle circostanze, ma il comportamento autoritario dell'autorità sovietica contribuì in maniera determinante a rafforzare la determinazione del blocco occidentale ad opporsi al regime di Stalin.
Il 17 aprile seguente, tre caccia d'artiglieria sovietici affiancarono un C-47 americano nel corridoio meridionale berlinese senza conseguenze; nello stesso periodo misero in atto esercitazioni antiaeree nelle zone preposte al passaggio dei velivoli alleati. Il 24, le truppe sovietiche sospesero il servizio ferroviario occidentale per Berlino carico di passeggeri, mettendo in atto il già citato “mini-blocco”.

Alla fine di aprile, dunque, la situazione a Berlino era già in pieno fermento; i civili ricominciarono a costruire rifugi bellici e ad immagazzinare i viveri; lo stesso generale Clay prese in considerazione l'idea di evacuare le famiglie statunitensi presenti nella città. La guerra sembrava imminente.
Gli occidentali erano vulnerabili e ne erano consapevoli. Il generale Clay poteva contare solamente su 6.500 uomini e le truppe americane in Europa erano composte da solo 60.000 unità. Di contro i sovietici potevano contare su 300 divisioni ed oltre 400.000 soldati stanziati nell'Europa orientale; inoltre potevano schierare intorno alla città circa 10.000 agenti delle unità speciali di frontiera.

A trovare una via d'uscita fu lo stesso generale statunitense che, superando le resistenze ancora forti all'interno dell'amministrazione americana, decise di costringere Stalin a mettere le carte in tavola.
Il 10 aprile 1948, Clay espose il suo punto di vista sull'importanza di “tenere” Berlino: «Perchè siamo in Europa? Abbiamo perso la Cecoslovacchia. Abbiamo perso la Finlandia. La Norvegia è minacciata... Dopo Berlino, toccherà alla Germania occidentale e la nostra forza qui non è, in termini relativi, maggiore di quella di Berlino, né la nostra posizione più tenibile. Se intendiamo tener duro in Europa contro il comunismo, non dobbiamo cedere di un millimetro. A Berlino possiamo sopportare le umiliazioni e le pressioni, esclusa la guerra, senza perdere la faccia. Se ce ne andremo, la nostra posizione in Europa sarà compromessa. Se l'America non capisce questo, se non crede che la sorte si decide adesso, allora non lo farà mai e il comunismo dilagherà. Io credo che il futuro della democrazia richieda che noi restiamo qui finché non saremo cacciati con la forza».

Il 28 aprile, in una conversazione privata con un rappresentante del governo britannico, Clay ammise di essere convinto che un nuovo conflitto per la difesa di Berlino fosse inevitabile e che i sovietici avrebbero di sicuro fatto ricadere la responsabilità agli occidentali; per il generale statunitense divenne quindi fondamentale assicurarsi la possibilità di “sfondare il blocco” sovietico con la forza, tramite l'invio di convogli armati alleati , e di far sì che tale spiegamento di unità risultasse messo in atto solo per una strategia “difensiva” e non come mero atto di forza.

Tuttavia il rischio di scatenare una guerra tra i due blocchi, a pochi anni dalla conclusione del secondo conflitto mondiale, spinse l'establishment occidentale a non compiere azioni avventate. Gli stessi britannici, tramite il Ministro Bevin, evidenziarono il rischio di mettere in atto azioni sconsiderate, sottolineando la necessità di utilizzare politiche moderate e pazienti senza però rinunciare alla messa in atto del programma stabilito nella Conferenza di Londra. Anche il Segretario di Stato statunitense Marshall era più cauto rispetto alle iniziali proposte di Clay; Marshall, sebbene concorde sulla necessità di rimanere a tutti i costi a Berlino, anche attraverso l'uso della forza, sostenne che “la prima mossa” non sarebbe dovuta toccare agli occidentali. I francesi, d'altro canto, erano ancor più titubanti di fronte all'idea di provocare i sovietici, tanto più che nutrivano ancora una profonda avversione verso una “rinascita tedesca”.

Le forze occidentali, in particolare inglesi e statunitensi, convergevano però su un punto fondamentale: ritardare l'attuazione del programma londinese, che poneva le basi verso la creazione di uno stato tedesco occidentale, avrebbe mandato in frantumi la credibilità ed il prestigio dell'Alleanza ed avrebbe eliminato il contributo tedesco – che risulterà negli anni a venire decisivo – alla ripresa dell'Europa post-bellica.
Tale ritardo avrebbe assunto anche un chiaro segnale di debolezza ed avrebbe incoraggiato i sovietici a nuove politiche aggressive.

Per questa ragione divenne fondamentale assicurare “l'impegno occidentale” sul territorio tedesco ed in particolare su Berlino, la quale oltre a divenire il simbolo della presenza e della “tenuta” americana in Europa, assunse la dimensione chiave per testare sul campo la cosiddetta teoria del containment.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’inizio della Guerra Fredda: l’opinione pubblica italiana di fronte al blocco di Berlino (1948-1949)

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Informazioni tesi

  Autore: Marcello Bugada
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Bergamo
  Facoltà: Diritti dell'uomo ed etica della cooperazione internazionale
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Roberto Pertici
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 236

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