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Dino Campana poeta "notturno" nei Canti Orfici

Viaggio nell'aldilà e ritorno

Se Il canto della tenebra è una graduale discesa verso l'oscurità della notte e la morte, in La speranza (sul torrente notturno) siamo invece immersi nelle profonde tenebre dell'aldilà. Il sottotitolo (sul torrente notturno) è un esplicito riferimento al «fiume taciturno» del v. 23 di Il canto della tenebra, mentre l'atmosfera decadente mette in rilievo l'affinità tematica con La Chimera, di cui la lirica costituisce una ripresa nelle invocazioni come nell'aggettivazione. Di questo notturno troviamo una stesura autografa nelle Carte Bandini, dove i sei versi conclusivi vengono cassati e sostituiti con gli ultimi cinque attuali, mentre la versione di Il più lungo giorno presenta alcune piccole varianti, a partire dai due emistichi del titolo invertiti (Sul torrente notturno. La speranza).
Questo minimo cambiamento è in realtà fondamentale perché permette di focalizzare l'attenzione sul tema centrale rimarcato nel finale, cioè la speranza di Campana che almeno parte della sua poesia sopravviva in eterno. Solo in questo modo egli saprà sfuggire alle tenebre e alla morte, perciò chiede alla notte di rendergli espliciti i suoi canti e di concedergli di divenire con la propria poesia un «poeta notturno», un suo interprete («Nell'ali dei vivi pensieri ripeti ripeti / Principessa i tuoi canti» vv. 3-4). Inoltre prega la notte di sollevarlo dai suoi dolori («Soffoca gli inestinti pianti / Da tregua agli amori segreti» vv. 7-8), com'era già accaduto in Il canto della tenebra («agli spiriti inquieti è dolce la tenebra» v. 9).
Vigile custode dei «sogni segreti» (v. 2), gelosamente occultati dalle tenebre, la figura femminile acquista un titolo principesco (ripetizione di «Principessa» ai vv. 2, 4, 19), che non può non ricordare la «Regina adolescente» della Chimera (e per esteso la Chimera stessa). Invocata qui per «amor dei poeti» (vv. 1, 15, 18), quindi come Musa che sappia custodire la memoria di quel «sogno vanito» (vv. 12, 19) della Poesia, la misteriosa «Principessa» presenta tutte quelle caratteristiche peculiari che accumunano tutte le evanescenti figure femminili campaniane. Tra i pochi tratti della sua descrizione risaltano certo il pallore («Pallido amor degli erranti» v. 6), che richiama il «pallido viso» che abbiamo già incontrato in La Chimera, e la chioma («chiomata di muti canti» v. 5). Quest'ultimo elemento, che racchiude l'ossimoro «muti canti» e accosta il materiale («chiomata») all'immateriale («canti»), riprende identica la chiusa della Notte: «Fuori è la notte chiomata di muti canti, pallido amor degli erranti».
Ma oltre quella della «Principessa», che ricorda molto una Proserpina regina dell'Averno dai tratti dannunziani, il «chi» interrogativo al v. 9 suppone la presenza di una o più entità che stiano a guardia delle «taciturne porte» (v. 9) che «la Notte ha aperto sull'infinito» (vv. 9-10). È quindi introdotta una nuova realtà: la notte è il luogo e il tempo in cui si realizza più facilmente il passaggio dal nostro universo finito a un altro infinito di leopardiana memoria. Perciò sprofondare nelle tenebre non è sinonimo di oblio, bensì di una nuova consapevolezza: solo attraversando le «porte aperte de la morte» (vv. 15-16) e confrontandosi col dubbio che questa visione ignota suscita, si può avere una visione completa e veritiera della realtà che la materialità e la finitezza del nostro universo limitato non ci permette di ammirare. È inevitabile qui tornare a pensare a Novalis: approdando nell'aldilà si raggiunge un livello superiore di comprensione della vita grazie agli «infiniti occhi che in noi la notte dischiude».
Ma «l'eterno, colto in un brivido, mostra immediatamente il suo rovescio; la caducità brucia ogni speranza ed esibisce i suoi segni con il chinare inesorabile delle ore» fino all'inevitabile volgere del destino e allo svanire del sogno di Poesia insieme alla notte («col sogno vanito china la pallida Sorte» vv. 12-13). Così nella seconda parte, graficamente divisa da una serie di puntini, l'invocazione iniziale diventa una preghiera: Campana spera di raggiungere con la morte l'infinito che la notte gli aveva fugacemente mostrato e che, facendo eco al non omnis moriar oraziano, almeno una parte della sua poesia (l'«io» poetico emerge ora in «mio sogno») si salvi dai «gorghi de la Sorte» (v. 20). [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Dino Campana poeta "notturno" nei Canti Orfici

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Informazioni tesi

  Autore: Elisa Sicuri
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Paolo Briganti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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Parole chiave

novecento
poesia
dino campana
notte
notturno
letteratura italiana contemporanea
canti orfici

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