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Marco Chiurato; arte e provocazione

Video sulle “donne giraffa”, le donne acidificate, le donne lapidate: situazioni tragiche della condizione femminile

Continuando il suo percorso di attenzione al sociale e denuncia, Chiurato ha toccato molti temi ma ha soprattutto mostrato una grande sensibilità nel cogliere problematiche legate al mondo femminile. Durante un viaggio nella Thailandia del nord l’artista ha visitato un villaggio Kayan dove vivono le Donne Giraffa. Qui la tradizione impone alle ragazze fin dall’infanzia l’uso permanente di più e più anelli metallici sul collo, fino a venticinque, per allungarlo il più possibile. Ma se questo una volta era simbolo di bellezza e seduzione femminile, ora é solo attrattiva per turisti. L’artista si é interrogato su questa barbara consuetudine e la risposta é stata la creazione di un video performance con “zucchero e carne umana”: una ragazza con tanti anelli multicolori su collo, braccia e torso, un bimbo mai nato in braccio e un naso rosso da pagliaccio. Il tutto ricorda tanto quel gioco da bambini che tutti conosciamo, il lancio dei cerchietti sui birilli. “Donna Giraffa modello circense” l’ha titolata, ma ha anche precisato che il naso non é da pagliaccio, é un pulsante d’allarme, e che questo é tutt’altro che un gioco: ogni foto che noi turisti scattiamo a queste donne é un anello che poniamo al loro collo e non fa che perpetuare la loro condizione di donne oggetto, condannando anche le future generazioni di questa etnia ad una condizione terribile che le priva di una vita normale ma soprattutto della loro libertà e dignità.

“Tempo di scattare una foto e l’hai già uccisa, - questo il pensiero dell’artista – torniamo a vedere le donne giraffa?”

E’ un chiaro invito a non favorire questo tipo di turismo che, se nell’intento é antropologico, in realtà alimenta la mercificazione del fenomeno. La metamorfosi di queste donne é irreversibile e impedisce loro anche i movimenti più semplici, le rende animali da zoo, oggetti da osservare, toccare, compatire. Eppure la consapevolezza che grazie a questa curiosità altre bambine saranno condannate a divenire donne giraffa, non impedisce lo scatto di una foto, trofeo di viaggio, atto di violenza. Il “così fan tutti”, quindi tutti colpevoli uguale nessun colpevole, é l’alibi dietro cui si nascondono egoismo, ignoranza, superficialità. Ma Marco Chiurato ha voluto approfondire anche altre problematiche legate alla condizione femminile nel sud asiatico e ne sono nate varie iniziative. Una di queste, forse la più importante, é l’evento dal titolo Sit! Concept Marco Chiurato, svoltosi a Marostica dal 22 al 25 settembre 2011, che ha goduto del patrocinio dell’Unesco e ha visto collaborare le associazioni Earth Soul di Vicenza, che si occupa di promuovere problemi sociali attraverso l’arte, Smileagain di Udine e la Fondazione Zoé di Vicenza.

Il tema era la drammatica situazione delle donne vittime dell’acidificazione, questa barbara usanza del sud est asiatico dove, per rivalsa o vendetta, viene gettato acido corrosivo su donne, a volte ancora bambine, che rifiutano un matrimonio o un approccio maschile non voluto o che non ubbidiscono ciecamente al marito o al padre. Questa pratica le condanna, quando sopravvivono, a convivere con dolori insopportabili, difficoltà o impossibilità a mangiare o solamente a deglutire, spesso rimangono cieche e comunque sempre assolutamente devastate nel volto, nel corpo ma soprattutto nell’anima, perdono ogni precedente fisionomia e ciò ne cancella l’identità e il futuro. La mostra si é aperta con un convegno presieduto dal presidente dell’associazione Smileagain F.V.G., Giuseppe Losasso durante il quale é stata raccontata e illustrata da esperti questa terribile usanza e quanto l’Associazione con i suoi medici può fare per queste povere donne. Al convegno é seguita la performance/installazione dell’artista marosticense. L’Unesco ha concesso il patrocinio alla mostra con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e «la sfida é stata raccolta da Marco Chiurato che é riuscito a trasporre nella sua opera le primordiali emozioni e gli stati d’animo di chi non vuole abbassare lo sguardo di fronte all’ingiustizia.
Egli ha preparato l’allestimento in una delle sale del castello inferiore: il visitatore veniva fatto entrare in una stanza prevalentemente buia e si sedeva ad un tavolo, quei tavoli dozzinali da bar in metallo e formica; la sedia di fronte a lui era vuota e nel silenzio si percepivano in sottofondo le parole e le urla di dolore di una ragazza realmente acidificata e che suscitavano commozione, pietà, rabbia; sul tavolo c’era una pistola fissata ad una catenella, corta, tanto da limitarne alquanto il raggio d’azione.

Il visitatore si rendeva conto che la sedia di fronte a lui, destinata al carnefice, sarebbe rimasta vuota. Capiva che il colpevole sarebbe rimasto impunito e che la giustizia non avrebbe fatto il suo corso, tanto é radicata e in parte anche tollerata dalle autorità locali questa barbara usanza. Colpevoli sono soprattutto l’ignoranza, le superstizioni, credenze di tempi immemori, le pretese di superiorità che fanno ergere a giudici insindacabili e implacabili. «Non c’é vendetta, non c’é pietà, c’é solo un profondo senso di solitudine e di incompletezza. Io desidero riempire questo vuoto con la partecipazione di tutti, ha detto l’artista. Il prendere in mano la pistola legata alla catenella ricorda tanto quel gesto così comune che si compie negli uffici pubblici, alle Poste per esempio, quando per firmare si prende la penna messa lì a disposizione di tutti, alla portata di tutti. Tutti possibili firmatari, dunque. Tutti potenziali carnefici, vien da riflettere.
Abusare del potere, ergersi a giudici e fare violenza é consuetudine che va sradicata. «L’opera é semplice ma proprio per questo geniale: l’artista vuole rappresentare le situazioni di tutte le donne acidificate, dando allo spettatore la possibilità di rappresentarsi mentalmente le diverse situazioni proprio grazie alla versatilità del senso che racchiude l’installazione.

Campeggia una scritta lapidaria di F. Turati: “La violenza é un metodo di lotta inferiore, brutale, illusorio soprattutto, figlio di debolezza, fonte di debolezza, malgrado, anzi in ragione dei suoi effimeri trionfi”.
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Questo brano è tratto dalla tesi:

Marco Chiurato; arte e provocazione

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Informazioni tesi

  Autore: Laura Landi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Beni culturali
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Nico Stringa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 76

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Parole chiave

arte contemporanea
performances
installazioni
marco chiurato
provocazione nell'arte
arte e zucchero

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