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La paratragodia del Telefo di Euripide in Aristofane

Le Tesmoforiazuse, una commedia contro Euripide?

A differenza delle sue commedie precedenti, Aristofane nelle Tesmoforiazuse non attacca nessun personaggio politico in particolare, non muove accuse forti al sistema politico, ma crea una commedia d’intreccio che si potrebbe definire di “satira antieuripidea” che, come le Rane del 405, ha al centro della sua polemica il nuovo modo di fare teatro di Euripide.

Sicuramente poco convenzionale, Euripide non era molto amato dagli Ateniesi, tanto che ottenne soltanto cinque vittorie; a parte il favore che gli riservavano i più giovani, come si può arguire dal dialogo tra Strepsiade e Fidippide (Nuvole, vv. 1353 sg.), i cittadini più tradizionalisti di certo non apprezzavano il suo modo di fare teatro. La sua visione della società non era omologabile ai modelli etici tradizionali della civiltà ateniese: nelle sue tragedie, che possiamo definire antropocentriche, il punto focale è costituito dalla psicologia umana, con i suoi sentimenti e le sue pulsioni. Le trame sono ancora quelle del mito, i personaggi sono quelli tradizionali (Oreste, Medea, Elena, Elettra, Agamennone), ma nel loro intimo essi sono specchio del modo di pensare e di agire degli uomini dell’epoca di Euripide, vittime di amore, odio, brama di vendetta, vanagloria.

Proprio per questo suo approccio moderno e insolito, l’opera di Euripide è stata definita da più parti causa della morte della tragedia, almeno di quella classica. Se i personaggi mitici non agiscono più secondo norme di valore paradigmatico, ma spinti da sentimenti umani e comuni, si arriva a un risultato profondamente diverso dalle tragedie di Sofocle o di Eschilo. Nietzsche fu uno dei primi a sostenere che Euripide aveva ucciso lo spirito dionisiaco, così decretando la morte della tragedia.

Tornando alle Tesmoforiazuse, ben si comprende perché Aristofane avesse gioco facile nel parodiare Euripide in tante sue commedie, parodie (o meglio paratragodie) che trovavano l’approvazione di gran parte del pubblico presente a teatro. In questa commedia il coro è formato dalle Tesmoforianti, le donne che celebravano le feste Tesmoforie (siamo nel secondo giorno di festa, quello del digiuno) in onore di Demetra e Kore. Le donne, indispettite dal ritratto poco lusinghiero che Euripide fa di loro nelle sue tragedie (un esempio su tutti: la Fedra dell’Ippolito), decidono di processare il drammaturgo.

Non tutte le donne erano ammesse alle celebrazioni: si pensa che fossero presenti soltanto quelle sposate e di buona nascita, cittadine di pieno diritto, con esclusione di vergini, schiave, straniere e prostitute. E sono proprio le donne sposate a lamentarsi maggiormente riguardo a Euripide, il quale ha smascherato i loro sotterfugi e le loro meschinità. Esse non negano di avere una natura poco morigerata, ma rimpiangono di aver perso la loro libertà d’azione nei confronti dei mariti. Paradossalmente si rimprovera al poeta non di dire falsità, ma di aver divulgato i segreti delle donne. Anche le accuse di ateismo rivolte al poeta hanno in definitiva un risvolto pratico: la donna che parla in questo caso è una fioraia, che non trova più clienti dopo che Euripide ha dimostrato che gli dei non esistono.

Sono tutte d’accordo, eppure una donna inaspettatamente viene in soccorso di Euripide, evidenziando come le colpe femminili siano in realtà ben più gravi di quelle descritte dal drammaturgo; si tratta invero di Mnesiloco, un parente di Euripide, a cui il tragediografo stesso ha chiesto aiuto. Come un novello Telefo, il Parente ha indossato costumi da donna e si è recato sul Tesmoforo con le altre donne (ricordiamo che durante la festa era severamente vietata la presenza degli uomini), con lo scopo di scoprire cosa stanno macchinando e di difendere, se possibile, Euripide. L’intruso però viene ben presto smascherato, con scene molto comiche ed esilaranti.

Arrestato e tenuto sotto sorveglianza, il Parente interpreterà diverse eroine tragiche, da Elena ad Andromeda, per cercare di muovere a pietà Euripide, affinché venga a salvarlo. Euripide in effetti, da uomo di parola, le tenta tutte pur di salvare il Parente, ma le sue parodie tragiche non hanno successo: riesce invece nel suo intento grazie a un sotterfugio piccante, nello stesso tempo promettendo alle donne di non offenderle più nei suoi drammi. O, perlomeno, oltre a Fedra, di rappresentare anche Penelope, ovvero un modello femminile che metta in una buona luce le donne di fronte ai loro mariti.

Nella nostra commedia Aristofane satireggia anche Agatone, sebbene in modo marginale, come poeta effeminato. Euripide è tuttavia il vero protagonista, forse anche più del Parente; proprio l’anno precedente, nel 412, erano andate in scena Andromeda ed Elena. Quest’ultima in particolare è oggetto di una larga parodia nelle Tesmoforiazuse, probabilmente anche per l’inconsueta raffigurazione della moglie di Menelao, che nella tragedia euripidea è per la prima volta rappresentata come innocente rispetto alle cause che avevano portato allo scoppio della guerra di Troia: un’altra “rottura” della tradizione tragica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La paratragodia del Telefo di Euripide in Aristofane

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Informazioni tesi

  Autore: Valeria Martalò
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filologia e letteratura dell'antichità
  Relatore: Giuseppe Mastromarco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 159

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