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L'accoglienza critica italiana a "The Village" di Manoj Nelliyattu Shyamalan

The Village - La trama

Dopo la rapidissima ascesa grazie a Il sesto senso e l'andamento altalenante degli altri film successivi, Shyamalan comprende che « […] è necessario iniziare un nuovo percorso creativo, capace di stupire critica e pubblico.»
The Village (cfr. foto 1, locandina), quindi, diventa la pellicola in cui il regista mette maggiormente tutto sé stesso, dalle tematiche alla poetica, cercando ossessivamente, nei lunghi tempi di lavorazione, di raggiungere una perfezione stilistica e narrativa e curando in maniera maniacale ogni dettaglio. L'intero cast, la troupe e Shyamalan stesso hanno vissuto per alcuni mesi in una comunità agricola, svolgendo mansioni come l'allevamento di piccoli capi di bestiame, l'orticoltura e il lavoro nei campi, così da poter poi entrare meglio nella mentalità del villaggio al momento delle riprese.

The Village, infatti, è la storia di una comunità americana di fine Ottocento che vive di allevamento e orticoltura in una vallata della Pennsylvania. In apparenza questo microcosmo sembra un'oasi di felicità molto vicina a comunità come quelle di Utopia di Moro: governato da un consiglio di anziani, il villaggio di Covington si basa economicamente sulla condivisione dei beni (per lo più prodotti agricoli, frutta,carne e latticini derivati dall'allevamento di piccoli capi di bestiame) e l'economia è praticamente assente poiché è stato vietato il denaro. Tutto è vissuto in modo comunitario: si pranza tutti assieme con uguali porzioni per ognuno (cfr. foto 2) , si fanno spesso feste con musica e danze e ci si aiuta sempre a vicenda e alternandosi al lavoro nei campi, a custodire i figli o nelle faccende domestiche. La felicità, però, ha un prezzo da pagare e in questo caso è quello della libertà: il villaggio, infatti, è nato in una vallata all'interno di un bosco molto fitto e abitato da esseri mostruosi che non si possono nemmeno nominare.

Con loro, il direttivo degli anziani, che sono anche i fondatori della comunità, ha stretto un patto: l'uomo non varcherà i confini del bosco e le creature non attaccheranno il villaggio. Così, a causa di questo compromesso, è assolutamente vietato superare anche solo di pochi passi il confine, segnalato da una serie di pali allineati, illuminati da torce e con grosse bandiere gialle appese. Gli abitanti temono le creature, non ne parlano e da tempo sono in pace con esse, ma alcuni avvenimenti recenti fanno tornare a galla antichi timori: alcuni capretti sono trovati scuoiati e dissanguati vicino alla scuola, rumori inquietanti si odono sempre più forti dall'intrico di rami della selva e Noah, il matto del villaggio (Adrien Brody) ha regalato a Ivy (Brice Howard Dallas) un rametto di bacche rosse confessando di averle prese oltre il confine (cfr. foto 3). Questa violazione del patto e gli avvertimenti fanno pensare che a breve le creature possano attaccare e presto la comunità diventa una fragile e timorosa preda accerchiata da predatori contro cui non può far nulla se non pregare e sperare.

L'attacco avverrà una sera, ma sarà più minatorio che realmente offensivo: da una torretta dove a turno i ragazzi stanno a far da guardia viene lanciato il segnale di allarme (viene suonata una campana) e tutti corrono in rifugi appositamente costruiti sotto i pavimenti delle case. Shyamalan ci delizia con una fase del film ricca di tensione e supportata magistralmente dall'incalzante musica di Howard e dai rintocchi martellanti della campana. Siamo, naturalmente, nel climax emotivo del film, che dopo averci raccontato com'è la vita nel villaggio e avercene mostrato i protagonisti sterza bruscamente e in modo deciso verso il thriller di suspense, genere di cui Shyamalan è senz'altro uno dei maestri contemporanei. Tutto si complica ancora di più quando Noah (Adrien Brody), il matto del villaggio, si innamora della giovane Ivy (Brice Howard Dallas), che però è a sua volta innamorata e ricambiata dal taciturno Lucius Hunt (Joaquin Phoenix). La gelosia porterà Noah a ferire Lucius con un coltello (cfr. foto 9) e per questi, in fin di vita e con un'infezione, l'unica speranza è che qualcuno varchi il confine per prendere le medicine in città, col rischio, però, di essere ucciso dalle creature e di scatenare la loro ira anche contro l'intero villaggio.

Bene comune o bene privato, dunque? Ivy non ci pensa due volte e convince il padre, che è tra l'altro il capovillaggio Edward Walker (William Hurt), a lasciarla partire nonostante sia cieca e nonostante possa mettere in pericolo l'intera comunità e l'intero progetto creato dagli anziani. La fase finale del film, dunque, è la traversata del bosco di Ivy, ricca di suspense e tensione, verso la città e anche verso l'ennesimo colpo di scena di Shyamalan: oltre il bosco abbiamo una città contemporanea, scopriamo che la comunità vive in un tempo che per il resto del mondo è passato e che le creature sono un'invenzione dei capi villaggio, che hanno realizzato travestimenti, rumori e avvertimenti per tenere viva la paura negli abitanti della comunità e non far lasciare loro la vallata. Perché tutto questo? Il colpo di scena finale è meno riuscito dei precedenti a livello narrativo, il fatto che le creature siano invenzione è intuibile, ma è pienamente riuscito a livello tematico, perché la risposta alla domanda non può che essere una riflessione sul mondo moderno che non lascia indifferenti: la città e la contemporaneità sono ambienti e tempi storici dove l'uomo vive nella brama del denaro e del potere e dove il dolore che occupa le nostre vite riempie più spazio della felicità. I fondatori hanno tutti parenti uccisi dal crimine urbano e hanno deciso di ritirarsi da quel mondo e da quella vita in cerca dell'innocenza umana pre-modernizzazione.

L'oggi è un'epoca in cui l'uomo diventa malvagio e questo soprattutto nella città e a causa del denaro, dunque l'unico modo per preservare la bontà delle persone è fuggire da tutto ciò, chiudersi rispetto al mondo e arretrare nel tempo. Il nonno di Ivy, ricchissimo industriale, fu ucciso e con i suoi soldi Edward pagò il governo perché creasse una riserva (che infatti ha il suo nome) naturale invalicabile e i cui cieli sovrastanti fossero chiusi al traffico aereo per poter costruire il suo villaggio. Grazie all'aiuto delle istituzioni, quindi, così cominciò l'avventura del villaggio, un sogno che alla lunga, però, ha mostrato i suoi difetti. Il film ha una trama senz'altro particolare e originale e si colloca benissimo dopo Signs poiché ricorre di nuovo il tema della chiusura rispetto a un nemico esterno, ma stavolta il tutto in un film più riuscito e completo che altro non è che una geniale metafora della condizione degli Stati Uniti dopo l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre: anche il paese ha deciso di chiudersi a riccio su se stesso e soprattutto lo ha fatto creando una forte dicotomia tra il bene e il male, identificati geograficamente con ciò che sta entro il confine e ciò che c'è fuori.

Shyamalan, però, ci induce a pensare che questo nemico che viene creato serve senz'altro a far da collante per chi vi combatte, ma d'altra parte illude e fa da fondamento a una comunità che è felice solo in apparenza, perché alla base di tutto c'è la paura. Impossibile dunque non analizzare il film proprio per quanto riguarda il suo essere metafora della situazione politica americana e per quanto riguarda il tema stesso della paura, ma non ci si deve far distrarre troppo da questo aspetto, poiché senz'altro The Village è questo, ma non è solo questo: altri temi toccati sono quello del rapporto bene comune contro bene privato, vecchio tanto quanto l' Antigone di Sofocle, ma ancora più che mai attuale, quindi abbiamo il tema del dolore, dell'amore, della follia e altri che analizzeremo.

Questa pellicola davvero carica di elementi riflessivi è stata la prova con cui Shyamalan ha messo sul tavolo tutte le sue grandi capacità di narratore raffinato e perfetto per dibattiti da cineforum, ma Night ha voluto dare il massimo anche per quanto riguarda la regia e nemmeno stavolta ha fallito, realizzando un film che è una vetta stilistica che mai l'indiano aveva raggiunto e che sinora non ha più ripetuto. Infine, per chi non amasse riflettere troppo sui film o non sia interessato a badare alla regia, The Village è un film particolare anche per la storia, che si rifà al genere del film d'amore e vi mescola thriller e fantasy in un'alchimia di grande effetto, facendone una pellicola ancora una volta impossibile da inquadrare in un preciso filone. Non mancano, va detto, i soliti difetti di Shyamalan, anch'essi quasi un marchio di fabbrica della sua filmografia: un velo di maniera e di presunzione che permeano questo film, che davvero vuole toccare e analizzare molti, troppi temi insieme, col risultato poi che si è badato molto alla metafora e ai contenuti e meno a rendere sempre vivace e interessante la vicenda, col risultato che in certi momenti torna la consueta lentezza che abbiamo, a tratti, in ogni pellicola dell'indiano.

Un capolavoro o un film non riuscito, dunque? Per alcuni è corretta la prima ipotesi, per molti altri no, la critica ancora una volta si divide (e lo vedremo) e così il pubblico, colpa, forse, anche di un trailer fuorviante che faceva credere a chi andava in sala di aver sullo schermo un horror e il film ovviamente non lo è. Cos'è allora The Village? Credo sia inutile, alla fine, cercare di inquadrare questo film, come sempre nel caso di questo regista non c'è risposta se non che, semplicemente, The Village è un film di Shyamalan.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'accoglienza critica italiana a "The Village" di Manoj Nelliyattu Shyamalan

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Informazioni tesi

  Autore: Mattia Gelosa
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Raffaele De Berti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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