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L’educazione domiciliare, la singolarità delle esperienze e le plusvalenze della condivisione. Dalla frammentazione di una categoria ad alcune strategie per la sua ricomposizione

Tra servizi e famiglie una collocazione ancora incerta e precaria

Immaginare le vite degli altri senza sperimentarle in prima persona è estremamente difficile. La condivisione anche di frammenti di vita quotidiana, può consentire di conoscere meglio alcuni segreti e miti familiari. Comunque la sensazione che la relazione possa non avere più una connotazione professionale è una illusione, di cui infanzie, adolescenze e i loro familiari possono essere vittime, come gli stessi educatori. Chiederci il numero di telefono personale, di restare a cena, di vederci la domenica e alle feste di famiglia, sottoporci precise richieste da inoltrare all’assistente sociale o al contrario raccomandato di non riferirle qualche particolare ritenuto scomodo, tutti quanti “abbordaggi” per ridurre quella distanza, che altrimenti potrebbe anche ingessare la stessa relazione.

L’eccessiva vicinanza, tuttavia, potrebbe anche fungere da inesauribile valvola di sfogo, o da partner ideale per la riproposizione di funzioni assistenziali, oppure, come in qualsiasi altro rapporto interpersonale, suscitare irritazioni e mugugni, fino a vere e proprie antipatie e lacerazioni. La mancata chiarezza e riconoscibilità dei rispettivi ruoli, pungolare il senso di inadeguatezza sia dei genitori, che di noi educatori e educatrici, può suscitare processi di rivalsa e competizione del tutto inappropriati, oltre che reciprocamente svalutanti.

Dal momento esplorativo-conoscitivo nei confronti di una persona nuova, esterna alla famiglia, alla costruzione di una relazione significativa e una profonda accettazione della nuova situazione, dribblando richieste più o meno dirette, di maggiore coinvolgimento o l’esecuzione di mansioni prestabilite, non è come si suol dire un itinerario spensierato. Tuttavia proprio “il contatto ravvicinato e continuo, nei naturali luoghi di vita…, dà l’opportunità di porsi come fattore di cambiamento… “il bello e il brutto nello stesso tempo”, ciò che da un lato motiva e dall’altro può mettere in difficoltà”.

La nostra riuscita difatti, è fortemente intrecciata con la nostra “capacità di entrare in relazione anche con il contesto più ampio (territoriale)… di instaurare più o meno facilmente collegamenti tra il dentro e il fuori della famiglia”. La composizione di un gruppo di lavoro potrebbe essere la nostra ancora, ma al di là delle presenze e assenze, più o meno giustificate, un’ equipe funziona, se riesce a esprimere ambiti definiti di corresponsabilità e partecipazione. Sentirci parte integrante di un’equipe professionale è quindi fondamentale per poter riequilibrare il nostro rapporto all’interno della famiglia, per poterci sentire sostenuti nel nostro sostenere gli altri.

La mancanza di sicurezza altrimenti, ampliando il rischio di essere fagocitati dalle situazioni in cui operiamo, potrebbe in via del tutto precauzionale, bloccarci a una distanza tale da essere inefficaci, in un ruolo le cui prerogative sono invece altalenanti tra coinvolgimento critico e distanza partecipe. Ma se il rapporto uno a uno, tuttavia, è ancora un elemento costituente della nostra professione, vissuti di profonda solitudine sono il frutto di una ancora incerta e precaria collocazione tra servizi e famiglie. Scenari quotidiani le cui radici affondano nello stesso atto di nascita di questa professione, sebbene concepita sin dalle sue origini con una spiccata funzione integrativa verso lo stesso ruolo genitoriale, oltre che di raccordo tra le varie professionalità coinvolte.

Queste sue innate propensioni stentano ancora oggi a tradursi come parte integrante della stessa progettazione educativa. Principi tuttavia fondanti lo stesso programma P.I.P.P.I, il quale, come in parte già accennato, mira a giocare a porte aperte, a decostruire l’autoreferenzialità non solo dei vari organismi territoriali, pubblici e del Terzo Settore, ma anche dei vari ruoli e professionalità, cercando di rimuovere quelle zone d’ombra in cui tutti quanti, per convenienza, opportunismo e quieto vivere, possiamo talvolta adagiarci e/o mimetizzarci.

Attraverso il proprio specifico focus, ciascuno di noi può infatti ampliare la profondità di campo generale, necessaria a una definizione condivisa degli stessi obiettivi. La sua implementazione immagina, a seconda dei casi, la ricostruzione di nuovo tessuto connettivo, in grado di consentire una adeguata circolazione tra il feedback delle varie professionalità, delle famiglie, infanzie e adolescenze e delle stesse politiche sociali, sotto la lente multiprospettica e multidimensionale della ricerca scientifica, per poter non solo comprendere, ma anche rispondere in maniera più articolata a quella che è oggi la complessità del disagio sociale.

Salpare senza vincoli di gerarchie precostituite dalla singola prospettiva di ciascuna professionalità verso inesplorati orizzonti ecologici, consentirebbe di integrare e valorizzare la progettualità nel suo complesso. Non solo: permetterebbe anche alle nostre endemiche fragilità, così come a quelle delle altre professionalità coinvolte, di acquisire una maggiore nitidezza in merito allo stretto legame tra fattori endogeni e esogeni nelle relazioni con le infanzie, le adolescenze e i loro familiari.

Poter quindi sperimentare “una visione <> che ci consenta di comprendere con lo sguardo anche che cosa c’è a latere del nostro lavoro educativo”, è quindi fondamentale per tentare di distinguere le contingenze sfavorevoli dalle nostre corresponsabilità, ma anche per porre l’attenzione sui reciproci elementi di interconnessione e collusione, le relative cause e anche alcune ipotetiche soluzioni.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’educazione domiciliare, la singolarità delle esperienze e le plusvalenze della condivisione. Dalla frammentazione di una categoria ad alcune strategie per la sua ricomposizione

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Informazioni tesi

  Autore: Tiziano Martinelli
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Dirigente e Coordinatore Servizi Educativi e Scolastici
  Relatore: Andrea  Spini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 93

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