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Guerra e transizione politica nella Repubblica Democratica del Congo (1996-2007)

Conclusioni

Alla luce degli accadimenti più recenti, appare evidente che la pace e la stabilità nella Repubblica democratica del Congo rimangono all’orizzonte. Quando sembra che una soluzione definitiva e duratura stia per essere raggiunta, il precipitare degli eventi dimostra come l’instabilità, i conflitti e la crisi politica siano mali endemici del “ventre molle dell’Africa”. Soprattutto sul fronte Est del paese, i ribelli, sostenuti dai paesi vicini, rendono fragile l’equilibrio già precario ricercato attraverso un processo di pacificazione che vede, nel ripresentarsi dei conflitti, il suo totale fallimento.
Poco dopo le elezioni del 2006 (caratterizzate da scontri tra le fazioni in competizione), il Nord Kivu si trovò al centro di scontri tra i ribelli hutu rwandesi e le brigate tutsi congolesi. Le tensioni si fecero percettibili dal luglio 2007 con scontri tra l’esercito e i dissidenti Banyamulenge. Secondo le Nazioni Unite, la maggioranza delle violazioni sono state commesse dai ribelli rwandesi, le forze di sicurezza congolesi e i dissidenti dell’esercito. Si teme seriamente che il governo utilizzi le milizie hutu contro i ribelli tutsi, cosa che potrebbe portare all’implosione della regione con effetti destabilizzatori per tutto il paese.
Bisogna fare il punto della situazione e porsi delle domande essenziali prima di dare risposte al problema. Quando si parla della guerra che da anni sconvolge l’Est del Paese, bisogna chiedersi: chi sono i protagonisti del conflitto (i protagonisti apparenti, le marionette, le forze occulte ma reali, coloro che tirano le file nell'ombra, i beneficiari del conflitto)? Quali sono le poste in gioco? Le forze presenti si battono veramente per gli obiettivi che dichiarano? A quale logica rispondono questi obiettivi? Quali sono le ideologie sottostanti al conflitto?
[…]
L’insicurezza della regione viene spiegata, in genere, chiamando in causa la questione etnica ma, senza negare l’esistenza di tale problematica, bisogna riconoscere che dalla popolazione non sarebbe sentita come così grave se non fosse fomentata proprio dai vertici di quei gruppi e partiti che la denunciano e contemporaneamente la strumentalizzano per interessi specifici.
[…]
Sono tanti gli attori di questa nuova crisi. Da una parte il Governo congolese, che nel Kivu ha ottenuto con le elezioni del 2006 un grandissimo consenso, perché la popolazione sperava che sarebbe stato capace di portare la pace e il diritto dopo tanti anni di guerra. Dall'altra il generale Nkunda, che ha rifiutato di integrarsi con il suo gruppo armato nell'esercito regolare congolese, come prevedevano gli accordi per la Riforma del Sistema di Sicurezza. Di più, durante questi anni, l'armata di Nkunda è andata sempre più rafforzandosi.
Le elezioni del 2006 hanno confermato l’eclissi politica del RCD-Goma. Dopo essere stato una delle quattro forze politiche a governare il Paese nel periodo di transizione, il RCD-Goma si ritrovò a non avere più alcuna importanza politica. Nkunda, che aveva mantenuto un profilo basso durante le elezioni, nei mesi successivi ha iniziato a giocare un ruolo pubblico crescente, presentandosi come il portavoce e il protettore dei Tutsi congolesi. Alcuni dirigenti Tutsi, consapevoli che la loro influenza politica era diminuita in seguito alle elezioni del 2006, videro nell’esercito di Nkunda l’ultimo bastione di protezione.
I problemi e le sfide sul campo sono tante: la costruzione di uno stato di diritto, la qualificazione dell'esercito, la difficoltà di mettere insieme in un unico esercito gruppi armati che per anni si sono combattuti tra loro; la presenza nel territorio congolese di profughi hutu rwandesi e dei loro figli dopo il 1994, che non possono essere semplicemente definiti Interahamwe e quindi responsabili del genocidio rwandese; l'entrata in campo di nuovi soggetti che vogliono partecipare allo sfruttamento delle ricchezze del territorio, primo fra tutti la Cina, con la quale il Governo congolese ha da poco stipulato un accordo; la probabile ingerenza di paesi confinanti, primo fra tutti il Rwanda, che alcuni affermano aspiri ad “impadronirsi” di questo territorio anche tenendo conto della sovrappopolazione che l'affligge.
Nel frattempo occorre dare voce alla politica, cominciando da alcuni punti fermi:
• Organizzare con urgenza l’azione umanitaria per rispondere all’emergenza;
• Partire dagli accordi firmati tra le parti. Occorre che la Comunità internazionale si mobiliti perché siano attuati. Ci riferiamo in particolare agli accordi di Nairobi del novembre 2007 (disarmo dei gruppi armati dei profughi hutu ruandesi) e l'accordo firmato a Goma nello scorso mese di gennaio dando vita al “Progetto Amani” per il disarmo di tutti i gruppi armati;
• Rafforzare la presenza delle Nazioni Unite unificando le regole di ingaggio dei contingenti presenti nel Kivu, con il supporto di contingenti maggiormente qualificati provenienti dall'Europa e dagli Stati Uniti. La Monuc deve poter svolgere il compito che le è assegnato, e quindi far rispettare gli accordi e proteggere la popolazione. Anche fermando le truppe irregolari di Nkunda che stanno occupando il territorio;
• Garantire la trasparenza delle concessioni minerarie e di legname affinché siano bloccate le transazioni illegali, e anche la popolazione possa godere del frutto di queste immense ricchezze;
• Risolvere definitivamente il problema della presenza nel Kivu dei profughi hutu rwandesi, distinguendo le responsabilità e non colpevolizzando l'intera comunità.
• Rispettare la legalità internazionale attraverso l'esecuzione dei mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale e la valutazione da parte della medesima Corte se esistano gli estremi per emettere un mandato di arresto nei confronti di Nkunda e di altri combattenti: nel 2004 Nkunda occupò Bukavu creando una crisi umanitaria simile a quella che si sta consumando in questi mesi a Goma. La domanda che ci si dovrebbe porre è: alla luce degli atti deplorevoli e condannabili commessi dal generale e dalle sue truppe, è il solo in Congo ad avere le mani sporche di sangue? Non è lo stesso esercito congolese ad essere “fuorilegge”? E le truppe Mayi Mayi, non sono anch’esse imputabili degli stessi atti che fanno di Nkunda un criminale?;
• Sostenere gli sforzi della società civile organizzata affinché possa svilupparsi sempre più il processo di riconciliazione nazionale, fattore determinante perché possa realizzarsi un clima di pace e di concordia nazionale.
[…]
La nuova crisi, assurta agli onori delle cronache solo a fine ottobre, è il risultato del fallimento del processo di pace congolese in materia di formazione dell’esercito, di governabilità economica e di giustizia di transizione che dovrebbe facilitare la riconciliazione. Questa crisi potrebbe vedere nuovamente il coinvolgimento del Rwanda e dell’Uganda, rischiando di destabilizzare ancor più la regione e di vedere coinvolti anche altri paesi come l’Angola. Uno scenario che ricorda la crisi del 1998 quando il Congo divenne teatro della “prima guerra mondiale africana”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Guerra e transizione politica nella Repubblica Democratica del Congo (1996-2007)

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Informazioni tesi

  Autore: Emanuela Pugliese
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Internazionali e Diplomatiche
  Relatore: Maria Cristina Ercolessi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 219

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