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Le scuole giuridiche dell'Islam

La chiusura della porta dell’ijtihād

La giurisprudenza musulmana e, quindi, le scuole giuridiche riuscirono, mediante l’utilizzo delle quattro radici del fiqh e dell’ijtihād, a rendere completo il diritto islamico, che poté finalmente dirsi elaborato in tutti i suoi particolari. Il ricorso all’ijtihād, inteso quale ragionamento indipendente da parte di un giurista al fine di ricercare la soluzione consona ai casi nuovi, il principio dell’infallibilità del consenso degli studiosi, l’utilizzo dell’iǵmā‛, del qiyās e l’interpretazione dei testi sacri del Corano e della Sunnah diedero compattezza al sistema giuridico musulmano che, divenuto ormai in grado di soddisfare le esigenze della comunità, necessitava di essere conservato.

Dopo circa tre secoli di sviluppo del diritto musulmano, all’inizio del X secolo iniziò manifestarsi un forte irrigidimento della dottrina per permettere di fissare il cosiddetto acquis, termine assai caro al diritto comunitario, cioè l’ormai completo patrimonio giuridico, che doveva essere salvaguardato da eventuali nuove divisioni e discussioni tipiche del mondo islamico. Venne concretamente ridotto lo spazio per l’utilizzo del ragionamento personale in ambito giuridico, decretando l’avvento della stagione definita come la “chiusura della porta dell’ijtihād”, anche nota come insidad  bab  al-‐ijtihad. La possibilità di introdurre nuove decisioni individuali per la soluzione delle controversie o per la formazione del diritto positivo venne quasi del tutto esclusa.

Il fenomeno della “chiusura della porta dell’ijtihād” non si manifestò fin da subito in modo preciso, tanto che fino al IX secolo d.C. la possibilità per i giuristi di fare affidamento sulla propria ragione non fu minimante intaccata. I primi segni di questa chiusura iniziarono gradualmente a palesarsi solamente nel secolo successivo, quando si concluse il periodo di formazione del diritto musulmano. Al-Shafi'i fu uno dei primi che avvertì l’esigenza di frenare il ricorso all’ijtihād, ma quanto meno salvaguardando la possibilità per i grandi studiosi del passato di continuare a trovare proprie personali soluzioni ai problemi giuridici, estromettendo esclusivamente i loro discepoli e i successori. La situazione divenne sempre più netta e si giunse alla fine a limitare l’operato dei giurisperiti ad una semplice opera di deduzione di conclusioni dai testi sacri, all’utilizzo del ragionamento analogico o, al limite, ad un’interpretazione della precedente dottrina, sul presupposto che, essendo ormai stati analizzati e risolti i vari problemi riguardanti ogni aspetto della vita dei musulmani, nessuno veniva più valutato in grado di svolgere un ragionamento autonomo in ambito giuridico.

I fondatori delle quattro scuole giuridiche furono così gli ultimi veri innovatori e creatori del diritto musulmano. Ahmad ibn Hanbal, AbūḤanīfa, al-Shafi'i e Mālik ibn Anas contribuirono a garantire il pluralismo in ambito giuridico, sfruttando la loro autorità e l’influsso che riuscirono a esercitare sui loro seguaci. Dopo questi illustri giuristi, l’Islam non ebbe più nessuna figura analoga e in grado di continuare a rendere vivo il diritto musulmano, e i giuristi finirono per limitarsi a seguire la dottrina della propria scuola senza poter apportarvi alcun tipo di modifica. La chiusura della porta dell’interpretazione segnò il passaggio al periodo del taqlid, durante il quale i giuristi non fecero altro che accettare ciò che era stato stabilito negli anni precedenti.

Il taqlid, infatti, indica la pratica di riferirsi ai Compagni del Profeta posta in essere dalle antiche scuole giuridiche. Se durante il periodo precedente si indicava con il termine mujtahid il giurista in grado di esercitare l’ijtihād, successivamente si introdusse il termine muqallid per riferirsi a quei giuristi privi di autorità legislativa e chiamati a praticare il taqlid. In particolare, il muqallid nel rifarsi alle dottrine elaborate precedentemente dalle varie scuole giuridiche, non doveva richiamare le opere dei primi maestri, ma quei lavori considerati validi modelli di insegnamento dalle stesse scuole, come i testi risalenti al tardo Medioevo. Il principio del taqlid dovette affrontare le non poche ostilità dei più fedeli sostenitori della necessità di garantire sempre la possibilità di future evoluzioni giurisprudenziali.

In particolare, veniva criticata la negazione assoluta della possibilità per un giurista di essere ancora qualificato come mujtahid, sebbene in possesso di tutti i requisisti richiesti dalla precedente dottrina per esercitare l’ijtihād. E ancora, alcuni si scagliarono direttamente contro il principio del taqlid, come, ad esempio, fece Dawd ibn Halaf, il fondatore della scuola zahirita e Ibn Tumar, il fondatore del movimento degli Almohadi, e ibn Taymiyya. Il taqlid non deve essere valutato in modo assolutamente negativo, perché offre la possibilità al diritto di sopravvivere e di conservare la ritrovata stabilità.

La critica al taqlid si spinse fino a invocare una riapertura della porta dell’ijtihād, la cui chiusura era sempre più valutata come un sintomo della decadenza del mondo musulmano. Sarebbe stato impossibile annientare del tutto lo spirito dell’Islam da sempre aperto al cambiamento, alle idee e agli influssi stranieri e capace di adattarsi e di evolversi per rispondere a esigenze e in contesti diversi. Sicuramente non potevano essere messi in dubbio i risultati raggiunti con encomiabile sforzo dalle scuole giuridiche, ma l’elaborazione dottrinale non poteva essere arrestata completamente. Le tradizioni e le dottrine precedenti presentavano caratteristiche tali da rischiare di farle diventare sterili e soffocanti per i giuristi, se ad esse non si fosse affiancato lo spirito creativo della giurisprudenza islamica.

L’avanzata delle potenze europee segnalò l’incompatibilità del diritto islamico con le idee dell’Occidente moderno e divenne sempre più necessario riaprire la porta dell’interpretazione per dimostrare la capacità dell’Islam di rapportarsi con le nuove sfide proposte dall’Europa. Jamal al-Din al-Afghānī fu il portavoce della volontà di risvegliare il mondo musulmano. Per raggiungere questo obbiettivo erano necessarie due condizioni: ristabilire lo spirito nazionale dell’Islam e l’unità dei popoli islamici. Non si può negare che il diritto musulmano sia divenuto più rigido e restio al cambiamento rispetto a come si mostrò durante l’età d’oro della giurisprudenza islamica.

Nonostante le spinte volte a ristabilire le precedenti caratteristiche, oggi le evoluzioni giuridiche alle quali si assiste riguardano più la teoria che il vero e proprio diritto positivo. Gli unici segni che lasciano intravedere la possibilità di un ritorno ad un diritto vivente e duttile si intravedono solo nelle scuole moderniste che si sono sviluppate in Egitto, nell’India e in Turchia.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le scuole giuridiche dell'Islam

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Informazioni tesi

  Autore: Nicola Crispano
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Maria D'Arienzo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 128

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Parole chiave

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giurisprudenza islamica
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