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Il reddito di base: le principali questioni aperte

Il reddito di base come “remunerazione dell’attività di vita” e altre giustificazioni minoritarie

Abbiamo visto le principali giustificazioni filosofiche del reddito di base, è ora il momento di esaminare quelle minoritarie partendo da quella indicata nel titolo di questo paragrafo per poi arrivare alla giustificazione "ecologista" e quindi a quella "femminista".

L'argomentazione secondo la quale il reddito di base funge da "remunerazione dell'attività di vita" è stata sviluppata prevalentemente da Fumagalli (2009), un economista italiano. Per l'autore ci sono state delle trasformazioni qualitative che hanno interessato il modo di lavorare nel passaggio dal capitalismo fordista a quello "cognitivo", intendendo con questa espressione un modo di produzione in cui diviene prevalente "il capitale intangibile incorporato per l'essenziale nel cervello degli uomini" (Fumagalli, cit., pag. 132). Nel dettaglio, mentre all'epoca fordista si distingueva nettamente tra il tempo di lavoro diretto, effettuato durante l'orario ufficiale di lavoro e produttivo, e gli altri tempi sociali, dedicati alla riproduzione della forza lavoro e considerati come improduttivi; nell'epoca contemporanea questa distinzione si riduce e quasi si annulla. Il tempo sociale o il tempo di vita, come lo chiama Fumagalli, non è più improduttivo, anzi viene "messo a lavoro" in quanto il capitalismo cognitivo trae benefici indiretti di produzione anche da questo. Il processo produttivo non impiega più solo attitudini e competenze frutto della formazione richiesta per compiere uno specifico lavoro, ma si avvale anche della generale capacità intellettiva, riflessiva, creativa e relazionale sviluppata nel tempo di vita del lavoratore.

In quest'ottica il tempo libero, non dedicato direttamente al lavoro, ma impiegato per formazione, interrelazioni sociali e comunicazioni viene sfruttato e non retribuito: ecco allora che il reddito di base è "semplicemente la remunerazione di questa eccedenza di lavoro che deriva dal solo fatto di vivere" (Fumagalli, cit., pag. 133). Vercellone, fra i primi a studiare il fenomeno del capitalismo cognitivo in Italia, aderisce a queste tesi e scrive che in questo caso il reddito di base va considerato "come un reddito primario, vale a dire un salario sociale legato ad una contribuzione produttiva oggi non remunerata e non riconosciuta" (Vercellone, 2006).

Molti partiti "verdi" europei, fra cui il GroenLinks olandese e la Lega Verde finlandese per dirne alcuni, propongono nel loro programma un reddito di base, dandone una giustificazione particolare che si è definita "ecologista". Ogni movimento ecologista percepisce la natura come un patrimonio comune dell'umanità da difendere e preservare nell'interesse delle generazioni future: in quest'ottica i partiti su detti notano come la produzione industriale odierna si appropri di risorse naturali che appartengono alla comunità, distruggendole e logorandole, senza nessun corrispettivo. Essi quindi propongono che chi consuma materie prime o inquina l'atmosfera, contribuisca proporzionalmente attraverso imposte ecologiche a un fondo, i cui dividendi dovranno essere divisi fra tutti. È una versione più moderna di quel dividendo sociale teorizzato da Paine e giustamente alcuni parlano di dividendo "naturale". In ogni caso anche qui il reddito di base rappresenterebbe un risarcimento visto che anche con l'inquinamento ci si appropria di una frazione sproporzionata di risorse naturali a cui tutti hanno pari diritto. Rimanendo nel filone ecologista, un'altra linea di pensiero è favorevole al reddito di base perché vi ravviserebbe "un freno strutturale alla crescita" (Van Parijs e Vanderborght, cit., pag. 112). In pratica, assicurando una fonte di sussistenza indipendente dal lavoro, la misura descritta ridurrebbe le pressioni per raggiungere la piena occupazione, determinando una decrescita della produzione a vantaggio dell'ambiente. Perciò essi ritengono che si può individuare "un livello ottimale di reddito di base, che rallenti lo sviluppo in maniera sufficiente a proteggere il nostro interesse alla salute dell'ambiente e l'interesse dei nostri figli a disporre di adeguate risorse naturali" (Van Parijs, 1997a, pag. 202).

In ultimo, va analizzato l'argomento femminista a favore del reddito di base. Per prima cosa bisogna riconoscere l'esistenza di attività (ad esempio: faccende domestiche, cure degli anziani, volontariato) che soddisfano bisogni per cui c'è una domanda, ma per le quali non è previsto compenso. Per ragioni storiche e culturali, spesso sono le donne che si fanno carico di questo genere di attività: il reddito di base sarebbe perciò un modo per retribuire il lavoro che queste svolgono all'interno delle mura domestiche. Questo non avrebbe solo effetti meramente retributivi, ma consentirebbe di aumentare indipendenza economica e potere contrattuale sia nella sfera lavorativa che familiare; le donne "potrebbero rifiutarsi di effettuare lavori pesanti e mal retribuiti fuori dalle mura domestiche, senza dover necessariamente rimanere alle dipendenze dei mariti: in questo modo il reddito di base potrebbe dare un contributo per la lotta alle ingiustizie di genere" (Nobile, 2006, pag. 20). Alcuni autori, come Morini, vedono nel reddito di base sia uno strumento di inclusione sociale per quelle donne che hanno problemi di marginalità, sia una tutela ulteriore dalle forme di sfruttamento dell'attuale modo di produzione (Nobile, 2006, pag. 21).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il reddito di base: le principali questioni aperte

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Mosca Angelucci
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Elena Granaglia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 93

FAQ

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