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La conflittualità nel Caucaso meridionale post-sovietico e la guerra dimenticata del Nagorno Karabakh

La nascita della Comunità degli Stati Indipendenti

Tra la fine del 1988 e l’inizio del 1989, la crisi economica si fece sempre più acuta, minando la popolarità di Gorbaciov. Le aperture attuate nella politica sovietica ebbero, inoltre, importanti effetti collaterali, provocando il risveglio di nazionalismi e sentimenti anti russi in alcune delle varie repubbliche sovietiche.
Il variegato puzzle di etnie, lingue e culture formanti l’Unione Sovietica, cominciò a frantumarsi a partire dal 1986, con la rivolta anti russa in Kazakistan. Nel 1988 seguirono gli scontri tra la popolazione armena, a maggioranza cattolica, ed i musulmani azeri; lo stesso accadde un anno dopo in Uzbekistan, tra turchi e uzbechi.

Nell’agosto del 1989 nacque, in Polonia, il primo governo non comunista dell’Europa Orientale mentre, tra il 7 ed il 9 novembre 1989, vennero aperti i varchi tra le due Germanie, compresi i passaggi attraverso il muro di Berlino, con conseguente avvio del processo di riunificazione della Germania, completato il 3 ottobre 1990.

Se il crollo del Muro di Berlino segnò la fine del bipolarismo, la rottura decisiva dei vecchi equilibri avvenne con il crollo dell’Unione Sovietica. Tra il 1989 e il 1991 crollarono i regimi comunisti in Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, Germania orientale, Romania, mentre, nel 1990, dichiarano la propria sovranità Estonia, Lituania, Lettonia, Georgia, la Russia ed altre nove Repubbliche. Il 28 giugno venne sciolto il Comecon ed il 1 luglio il Patto di Varsavia.
Mentre per alcuni mesi si assistette alla “guerra dei decreti” per il controllo delle tasse e risorse, nel 1991, l’autorità del governo centrale venne ulteriormente minata dall’elezione a Presidente della Repubblica russa di Boris Eltsin, un esponente dell’ala radicale, avente come obbiettivo la completa liberalizzazione politica ed economica. Nel frattempo, il gruppo originario della perestrojka, cominciava a sfaldarsi, tanto che, nel dicembre 1990, allo scopo di rinsaldare l’unione con i gruppi conservatori che avevano ripreso influenza nel PCUS, il Presidente sovietico formò un nuovo governo presieduto dal moderato Valentin Pavlov.

Allo scopo di arginare le spinte centrifughe e di ripristinare la propria sovranità, Gorbaciov propose un nuovo Trattato dell’Unione, il quale avrebbe dovuto riconoscere alle repubbliche maggiori diritti, nonché uguale dignità ed opportunità per tutti i cittadini sovietici, indipendentemente dall’etnia, religione o territori d’origine. La firma del nuovo Trattato dell’Unione sarebbe dovuta avvenire il 20 agosto 1991, ma, due giorni prima, i comunisti conservatori attuarono un colpo di stato, nell’intento di preservare il primato del Partito Comunista e del potere centrale. Lo stesso Presidente Gorbaciov divenne vittima del colpo di stato, in quanto costretto a restare prigioniero nella sua villa privata in Crimea e quindi impossibilitato a siglare il nuovo accordo federativo.

Il golpe fallì clamorosamente a causa di un’intensa quanto inattesa protesta popolare, del mancato sostegno dell’esercito e del decisivo ruolo svolto dal neo eletto Presidente della Repubblica Russa Boris Eltsin che, dopo aver capeggiato la rivolta popolare e promosso la liberazione di Gorbaciov, si impose come vero detentore del potere. Il Partito Comunista venne messo al bando e tutti i suoi averi furono confiscati.
Nel frattempo, l’accentuarsi delle spinte separatiste, decretò il collasso dell’Unione Sovietica: il 21 dicembre 1991, ad Alma Ata, i rappresentanti di undici repubbliche (sulle quindici appartenenti all’URSS) diedero vita alla Comunità degli Stati Indipendenti. Lo stesso Gorbaciov, prendendo coscienza di quanto accaduto, il 25 dicembre 1991 rassegnò le proprie dimissioni da Capo di Stato. Infine, il 26 dicembre, il Soviet Supremo riconobbe formalmente la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la cui bandiera fu ammainata dal Cremlino e sostituita con il tricolore russo.

La CSI avrebbe dovuto ricoprire, nelle intenzioni del Cremlino, il ruolo predominante della disciolta URSS, scongiurando le spinte centrifughe provenienti dalle repubbliche che un tempo ne facevano parte. Ben presto la Comunità degli Stati indipendenti apparve, però, incapace di affermarsi come un’efficiente ed incisiva organizzazione d’integrazione regionale, dimostrando tutta la sua fragilità, resa palese dall’assenza di un’organizzazione stabile e dall’incapacità di bloccare i sanguinosi conflitti etnico -politici sorti tra le varie Repubbliche.

Gli effetti del crollo del regime sovietico si riversarono anche in Europa, soprattutto nella zona balcanica. Nel mondo slavo, il crollo dell’URSS, provocò, infatti, la rottura dei fragili equilibri etnici sui quali il paese si reggeva da anni, portando allo scontro armato ed alla disgregazione dello Stato federale.
La Jugoslavia, come territorio politicamente unito, nacque nel 1929 ad opera del re Alessandro I di Serbia, il quale attuò una politica di accentramento amministrativo e culturale rispetto alle originarie 33 contee. Nel 1945, in seguito al secondo conflitto mondiale, la monarchia venne definitivamente abolita e sostituita dalla Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, la quale, nel 1963, mutò il suo nome in Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Sotto la guida del maresciallo Tito, che instaurò un regime filo socialista, la Jugoslavia si allontanò progressivamente dalla politica di Stalin, tanto che, a seguito dei numerosi dissidi sorti con Mosca, venne espulsa dal Cominform.

Nel 1980, in seguito alla morte del maresciallo Tito, si ruppero i fragili equilibri raggiunti negli anni ed emersero le aspirazioni egemoniche della Serbia di Milosevic e quelle indipendentistiche di Croazia e Slovenia, le due Repubbliche economicamente più sviluppate dello Stato Federale. Ad alimentare il clima di tensione contribuì anche la situazione del Kosovo dove, nel 1981, si sviluppò un movimento aspirante a trasformare il territorio da provincia autonoma a Repubblica Federata. Tale richiesta, appoggiata dalla maggioranza della popolazione di origine albanese, venne invece osteggiata dalla minoranza serba.

Nel 1990, in seguito a sanguinosi conflitti etnici, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia proclamarono la propria indipendenza. Solo i territori della Serbia e del Montenegro decisero di rimanere uniti, dando vita, il 27 aprile 1992, alla Repubblica Federale di Jugoslavia.

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La conflittualità nel Caucaso meridionale post-sovietico e la guerra dimenticata del Nagorno Karabakh

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Salier
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: UniCusano - Università degli Studi Niccolò Cusano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Giuliano Caroli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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