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Il Disturbo Schizo – Affettivo nel Genitore. Conseguenze sullo Sviluppo Individuale e Infantile.

Effetti del disturbo schizo – affettivo del genitore sullo sviluppo del bambino

Il disturbo schizo – affettivo, come spiegato precedentemente, è una malattia mentale complessa che coinvolge completamente la persona che ne è affetta sia a livello sociale e sia a livello personale e di conseguenza quando è un genitore che soffre di tale patologia tutto quello che la malattia porta con se si ripercuote su tutta la famiglia, in particolar modo sui figli. Tale influenza può essere, dal mio punto di vista, un'esperienza negativa o positiva o entrambe.

Per prima cosa bisogna analizzare come le conseguenze della malattia mentale possano intaccare le reazioni, le sensazioni e le emozioni delle persone che vivono questa quotidianità soprattutto quando si tratta degli stessi figli. Bisogna pensare che questi figli innanzi tutto sono dei bambini ed essendo tali hanno diritto ad un'infanzia serena priva di preoccupazioni e grandi responsabilità perché un bambino non è e non può essere in grado di gestire situazioni, come in questo caso, disagiate e turbolente. Intendo analizzare l'infanzia e successivamente anche la fase adolescenziale e l'età adulta.

Di seguito riporterò la mia esperienza personale in quanto sono a conoscenza delle varie problematiche che tale disturbo ha portato nella mia vita e di come esso abbia inciso sulla mia crescita e spiegherò come ho vissuto tutta la situazione dalla prima infanzia fino ad oggi.
La mia infanzia è stata caratterizzata da una lunga serie di eventi che l'hanno resa particolarmente difficile. La prima volta che ho sentito parlare della malattia di mio padre è stato il giorno in cui mia madre si è seduta vicino a noi e ci ha riferito che nostro padre si doveva assentare quindici giorni perché doveva essere ricoverato in una clinica che si occupava di disturbi mentali e così ci ha detto che il nostro papà era diverso da tutti gli altri e che da quel giorno in poi noi dovevamo sapere che lui non stava bene e che quindi non sarebbe potuto essere un padre a cui si poteva far affidamento.

Ero una bambina di soli sette anni e la mia reazione iniziale è stata una non reazione, è stato un momento in cui quello che mi era stato riferito era troppo difficile da capire, da poter gestire. Ricordo solo che in un attimo erano cadute tutte le aspettative e le fantasie che mi ero creata riguardo la figura di mio padre, sapevo che da lì in poi non lo avrei guardato più con gli stessi occhi ma l'avrei guardato diversamente e soprattutto non riuscivo a capire che cosa volesse significare “disturbi mentali”. È stato qualcosa di inaspettato, che ti agghiaccia e non ti fa pensare, non riuscivo a capire le mie emozioni in quel momento. Non ricordo con precisione il giorno in cui se n'è andato ma ricordo perfettamente quei lunghi quindici giorni passati a casa senza di lui. In quel periodo c'è stato mio nonno materno che ci ha fatto da padre, ci è stato vicino ed ha cercato di rendere quei giorni meno pesanti, ma quell'assenza di cui una bambina di appena sette anni non riesce a giustificare, pur sapendo dove si trovava suo padre, era veramente difficile da colmare. Ritornavo a casa dopo la scuola e quando entravo non potevo godere del mio papà e questo mi faceva rabbia, non capivo perché proprio a me stava accadendo tutto questo perché non potevo stare con lui come tutti gli altri bambini e soprattutto pensavo a come si poteva sentire lui chiuso in quella clinica senza la sua famiglia. Questo mi intristiva molto perché avrei voluto, nonostante la mia piccola età, evitargli tutta quella sofferenza che era costretto a sopportare, avrei voluto estirpare quel male che non lo faceva stare bene e che soprattutto lo allontanava da me causandomi un malessere a livello psichico che purtroppo non riuscivo a comunicare a nessuno. La sera mi mettevo a letto e in silenzio sfogavo le mie angosce piangendo e in quel momento la mia mente era occupata da pensieri brutti, immaginavo che un giorno mi sarei svegliata e non lo avrei più rivisto pensavo che gli potesse capitare qualcosa di peggio e io non potevo fare niente per salvarlo, immaginavo che la mia vita sarebbe stata in qualche modo spezzata per sempre. Tutti questi pensieri a volte non mi facevano dormire e quindi rimanevo per molto tempo sveglia a cercare di trovare invano una soluzione ad un problema più grande di me. La consapevolezza di non poter far nulla mi rendeva nervosa e arrabbiata e allora mi chiudevo ancora di più in me stessa creando uno scudo interiore che mi permetteva di andare avanti e che non mi faceva crollare credendo così che magari un giorno da grande avrei potuto aiutare mio padre a guarire. In questo modo sopravvivevo, potevo affrontare il mondo esterno senza dover dare spiegazioni alle persone che mi stavano attorno. Mi ero illusa di poter cambiare la mia vita, ma questo con il passare del tempo si è rivelato mio malgrado impossibile. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Disturbo Schizo – Affettivo nel Genitore. Conseguenze sullo Sviluppo Individuale e Infantile.

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Informazioni tesi

  Autore: Dalila Pietrangelo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi dell'Aquila
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze della formazione e del servizio sociale
  Relatore: Raffaele  Croce
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 34

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malattia mentale nel genitore

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