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Il capro espiatorio: dinamiche dei processi di vittimizzazione

Comunità morale ed esclusione morale

Come mai, sia nella storia passata, sia anche in quella presente, delle persone, dei gruppi, compiono delle azioni di prevaricazione e di violenza nei confronti di altre persone e altri gruppi, sovvertendo le norme sociali che vorrebbero un convivere pacifico e la protezione dei propri simili?

Nel precedente capitolo abbiamo iniziato a rispondere a questa domanda, attraverso una lettura in chiave mitico-antropologica dell’argomento, ora invece prenderemo in considerazione le ipotesi e le teorie psicologiche, che provengono in particolare dal filone della psicologia sociale. Approfondiremo le dinamiche sociali e i meccanismi, individuali e collettivi, che si pongono alla base delle azioni persecutorie di un gruppo nei confronti di un altro, le quali fanno sì, che si formi quella contrapposizione noi e loro o tu e io, fonte inesauribile di conflitto e di violenza.

Prenderemo in esame le modalità e l’insieme dei fattori psicologici, per cui si verificano fenomeni di esclusione negli scambi interpersonali e intergruppi, i processi con cui si costituiscono le categorizzazioni sociali, gli stereotipi e i pregiudizi, i modi e le ragioni per cui avviene la stigmatizzazione. Andremo ad approfondire le variabili intraindividuali, il ruolo dell’influenza sociale e dei fattori socioculturali, le modificazioni nell’esperienza di sé, quindi, gli effetti delle azioni violente sulla mente dei persecutori e delle vittime, cioè tutti quei fattori, che in un modo o nell’altro, entrano in gioco nelle dinamiche di persecuzione, in cui dei perpetratori di violenza agiscono contro le loro vittime; vittime che il più delle volte sono dei capri espiatori in ragione di una qualche ideologia, di una qualche difficoltà sociale, e su cui si va a sfogare, deliberatamente, la frustrazione e la rabbia di un gruppo dominante.

Per comunità morale si intende uno spazio sociale dentro i cui confini si applicano dei valori morali, delle regole e dei criteri condivisi di equità e di legalità, un luogo dove esiste quindi un orizzonte di giustizia. La nozione di comunità morale è, in ogni caso, di difficile definizione, a causa della poliedricità del pluralismo umano, dei diversi sistemi di valori e delle radici storiche delle varie culture sparse in tutto il mondo. E’ una definizione relativa, in quanto la comunità di cui un individuo è membro, può essere per lui morale, perché coincide con i suoi standard di riferimento, ma potrebbe non esserlo per altre persone, i cui valori sono diversi. Si potrebbe anche generalmente intendere, come comunità morale, la totalità di tutte le creature viventi o tutti i figli di Dio. Quindi, ci possono essere molteplici definizioni di comunità morale, che riflettono dei criteri di giudizio circoscritti alle diverse culture, come anche diversi approcci teorici che differiscono per il loro livello di generalizzazione. Il termine comunità morale può essere utilizzato in modo descrittivo, per indicare una comunità che realmente esiste o si suppone che esista, oppure una comunità ideale a cui aspirare, il cui fondamento appare moralmente buono, depositaria di una qualità di bontà morale a cui gli individui devono mirare. In ogni caso viene a definirsi una componente normativa (Babst, 2011).

Per esclusione morale si intende, invece, l’esclusione di determinati individui o gruppi, da una comunità morale. E’ un processo psicologico, in cui i membri del gruppo sociale dominante percepiscono la propria cultura, i propri valori e le proprie norme, come intrinsecamente superiori a quelle di altri gruppi, creando così un clima intenzionale di esclusione, emarginazione e, anche, deumanizzazione nei confronti di altri gruppi o individui. La storia insegna, che l’esclusione morale si è frequentemente palesata in molte nazioni e culture di tutto il mondo. Si pensi, ad esempio, al razzismo nei confronti dei neri, negli Stati Uniti del sud, dopo la guerra civile americana; all’Apartheid in Sudafrica; alla Shoah, che colpì gli ebrei in Europa per mano dei nazisti; all’aggressione e all’intolleranza, in epoca attuale, da parte dei regimi totalitari islamici, nei confronti delle minoranze etniche e religiose, non solo cristiane, in molti paesi mussulmani mediorientali e nordafricani.

I fenomeni di esclusione si producono, molto spesso, nelle situazioni di conflitto tra le persone e tra i gruppi sociali, che portano alla svalutazione di determinati individui o fazioni, i quali diventano il bersaglio di sentimenti e azioni di rappresaglia. Il grado di nocività di queste azioni dipende da tutta una costellazione di forze situazionali, motivazioni e bisogni, che, variabilmente, riducono la legittimità delle norme sociali, generalmente improntate sul rispetto dei propri simili.

Le cause di queste dinamiche non vanno ricercate esclusivamente nella psicologia degli attori sociali coinvolti, ma anche nelle situazioni sociali e culturali contestuali, e nell’interpretazione che gli individui danno alla relazione, che intercorre tra il proprio gruppo di appartenenza (ingroup) e gli altri gruppi (outgroup).

I fenomeni di esclusione sociale, di marginalizzazione, di stigmatizzazione, di maltrattamento, non dipendono quindi, come vedremo meglio in seguito, dall’irrazionalità o dalla psicopatologia di specifici individui, ma piuttosto da processi psicologici normali, che si conformano a una particolare interazione persona–contesto sociale, prendendo le infauste strade che conducono all’intolleranza e alla violenza.
Appartenere a un gruppo, è una delle esigenze di base dell’essere umano. Questo bisogno di appartenenza è profondamente radicato, poiché, essere parte di una collettività è prioritario per avere maggiori garanzie di sopravvivenza. Da questa necessità derivano le motivazioni e i bisogni ad aderire a norme, valori e credenze che sanciscono l’appartenenza alla comunità. Ogni collettività ha le sue immagini, le sue rappresentazioni del mondo e dell’individuo, e inoltre stabilisce, implicitamente o esplicitamente, dei parametri che definiscono i criteri di inclusione o esclusione delle persone dall’universo morale del gruppo.

In determinate condizioni sociali, per esempio eventi di difficoltà o di crisi, possono verificarsi dei meccanismi, che trasformano il disagio delle popolazioni, in ostilità nei confronti dei rappresentanti di altri gruppi, sia interni, che esterni. Ciò può avvenire ad opera di un’ideologia, di norme sociali o di forme di propaganda, che possono arrivare a legittimare l’uso della forza sino agli esiti più estremi (Palmonari, 2001 cit. in Ravenna, 2004a).

Secondo Baron e Richardson un comportamento aggressivo è “qualunque forma di comportamento, diretta a fare del male o danneggiare un altro essere vivente il quale è motivato ad evitare tale trattamento” (Baron, 1994 cit. in Rossi, 2012a).
Intrinsecamente collegato al concetto di aggressività è quello di violenza, che Geen definisce come l’atto “volto a infliggere una forza intensa, su persone o proprietà con l’intento di distruggere, punire o controllare” (Geen, 1995 cit. in Rossi, 2012a).

Nell’analizzare i fenomeni di violenza tra individui e tra gruppi, non si può che indirizzarsi verso una visione complessa e multidisciplinare, che tenga conto, non solo delle caratteristiche biologiche, psicologiche, sociali e culturali dei persecutori e delle vittime, ma anche della dimensione relazionale che lega i due e delle peculiarità storiche e socio-culturali del contesto.
Prendiamo ora in considerazione il modello di spiegazione dei fatti sociali, proposto da Willem Doise nel 1982, che permette di approfondire le cause psicologiche dei fenomeni sociali complessi, quali l’esclusione morale e il maltrattamento, evitando spiegazioni approssimative e riduzionistiche. Il modello individua quattro livelli di analisi, che corrispondono a quattro modi diversi di considerare lo stesso fenomeno e coniuga spiegazioni eminentemente psicologiche con altre più sociali.

Il primo livello, quello intrapsichico, prende in esame i processi psicologici interni agli individui, le loro caratteristiche, le loro disposizioni, le modalità con cui le persone si formano una rappresentazione dell’ambiente e valutano le loro esperienze nel mondo sociale. Questo livello considera, inoltre, i comportamenti degli individui nell’ambiente. Il secondo livello di analisi è quello interpersonale, e rileva le dinamiche delle relazioni che si stabiliscono in un dato momento tra determinate persone e peculiari circostanze, in funzione della percezione di una minaccia e di specifiche influenze sociali. Il terzo livello di analisi, quello posizionale, prende in esame le condotte di esclusione e maltrattamento, a seconda delle differenze di posizione sociale preesistenti alle interazioni tra gli attori sociali e tra i gruppi. L’ultimo livello, il quarto, è quello culturale e ideologico. Esso considera il ruolo rappresentato, all’interno della società, dai sistemi di credenze e rappresentazioni sociali, dalle ideologie, dalle norme sociali, dai sistemi di valori, che modulano la percezione che gli individui hanno del mondo sociale e conseguentemente i comportamenti che essi mettono in atto (Doise, 1982 cit. in Rossi, 2012b).

Si capisce come, in un simile approccio quadridimensionale, per studiare la relazione tra i perpetratori di violenze e le loro vittime, non ci si possa limitare al solo studio del livello interpersonale, ma si debba ampliare la valutazione, approfondendo il legame tra i vari livelli di analisi, considerando il contributo dei vari attori sociali in relazione alle loro peculiari caratteristiche. Ed è proprio questa la linea che seguiremo in questo capitolo.
Ritorniamo ora al concetto di esclusione morale.

Come abbiamo visto poco sopra, questo fenomeno rappresenta l’espulsione di determinati individui o gruppi dalla comunità morale; costituisce quindi un esilio oltre il confine delimitante un territorio, che vede l’applicazione di valori morali, norme condivise di giustizia e di equità, da parte di un gruppo. Gli esiliati vengono posti al di fuori dello scopo di giustizia, intendendo, con questa definizione, il confine psicologico di una comunità morale (Deutsch, 1974, 1985 cit. in Ravenna, 2004b). Lo scopo di giustizia varia a seconda delle differenti culture e dei diversi periodi storici.

Verso i moralmente esclusi vengono a cadere le norme e i valori che usualmente prevedono il rispetto dei propri simili e quindi, quanto più lo scopo di giustizia è ristretto, tanto più saranno giustificate azioni dannose, situazioni di sfruttamento e di mancanza di equità dei diritti nei confronti degli esiliati. Per capire quanto il meccanismo di esclusione morale sia universalmente diffuso, si pensi agli innumerevoli esempi di marginalizzazione e persecuzione che la storia ci consegna, in cui i diritti di un gruppo umano sono stati abrogati: gli schiavi, gli ebrei, i neri, le donne, gli omosessuali, i malati di mente, gli zingari, le minoranze etniche, politiche e religiose nei regimi totalitari ecc.
I criteri per i quali si origina il processo di esclusione morale sono molteplici; può essere un’ideologia, l’appartenenza a un genere o a un’etnia, una religione, deformità fisiche o disagi psichici, l’età, il colore della pelle, una diversa posizione politica e così via. Tutti questi parametri definiscono la differenziazione sociale e stabiliscono le premesse per i processi di valutazione sociale.

L’esclusione morale può essere moderata o severa. Nel primo caso non c’è, da parte della comunità, una esplicita consapevolezza delle sofferenze e delle deprivazioni, a cui sono sottoposti gli individui marginalizzati. C’è, piuttosto, un clima di indifferenza, di mancato riconoscimento dei bisogni altrui, che concretamente potrebbe, per esempio, prendere la forma di una limitazione o di una esclusione da alcuni servizi e risorse. Si verificano fenomeni di inclusione o esclusione nei rapporti quotidiani tra le persone, che, come conseguenza, portano a sofferenze e privazioni di varia entità nella parte esclusa. Nell’esclusione morale severa gli individui o i gruppi esclusi sono invece percepiti come una piaga sociale, una minaccia da espellere o eliminare. In questi casi, le conseguenze dell’esclusione possono essere molto più gravi e arrivare a forme estreme di violazione dei diritti umani, alla morte, al genocidio (Opotov, 1990a cit. in Ravenna, 2004c).

I fattori che producono una variazione del confine morale tra le persone e tra i gruppi sociali, convergono principalmente in due classi di eventi: i conflitti interpersonali e intergruppi, e i sentimenti di distanza che originano da processi di differenziazione e categorizzazione sociale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il capro espiatorio: dinamiche dei processi di vittimizzazione

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Informazioni tesi

  Autore: Cristiano Pedersini
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi Guglielmo Marconi
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Psicologia
  Relatore: Benedetta Rinaldi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 231

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