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Parise Reporter

In guerra: tra orrore e povertà

Goffredo Parise oltre che inviato speciale è stato anche reporter di guerra, precisamente ha descritto e visto tre guerre: quella del Vietnam nel 1967, quella del Biafra nel 1968 e quella in Laos nel 1970, infine si recò in Cile nel 1973 dopo il golpe del generale Pinochet. Questi quattro reportage sono stati raccolti in un unico volume intitolato Guerre politiche edito nel gennaio del 1976 e ristampato nel 1977 presso le edizioni Einaudi, inoltre nel volume l’autore aggiunge delle avvertenze.

Il primo reportage, quello sul Vietnam venne pubblicato per la prima volta nel 1967 per Feltrinelli col titolo Due, tre cose sul Vietnam; anche il secondo reportage, quello sul Biafra, venne editato sempre da Feltrinelli nel 1968 col titolo Biafra, mentre il terzo e il quarto reportage, rispettivamente Laos e Cile, non hanno trovato pubblicazioni in volume fino all’uscita del libro Guerre politiche.

Ovviamente tutti i testi che riguardano i quattro reportage sono articoli e di conseguenza sono apparsi su riviste e quotidiani. Il reportage vietnamita è composto da quattro articoli apparsi su L’Espresso, il 9 aprile e il 7, 14 e 21 maggio 1967, la raccolta Due, tre cose sul Vietnam successivamente verrà pubblicata anche sulla rivista letteraria sovietica Novyj Mir nel 1968; quelli sul Biafra sono apparsi sul Corriere della Sera nei giorni 6, 9, 13, 15, 18 agosto 1968, nel volume Guerre politiche troviamo in aggiunta un’Appendice dove ci sono un commento di Parise a un filmato sulla situazione biafrana e un dibattito con l’ambasciatore nigeriano a Roma, gli scritti sono apparsi ambedue su L’Espresso dell’8 settembre 1968, questa Appendice non è presente nel libro Biafra edito da Feltrinelli; inoltre l’esperienza biafrana farà capolino anche nei Sillabari, precisamente nel racconto Fame; gli articoli sul Laos sono apparsi sul Corriere della Sera il 17, 26, 28 maggio, il 2, 16, 29 giugno e il 6 luglio 1970 e sempre sulla medesima testata sono apparsi anche gli articoli che compongono il reportage cileno, il 1° e l’11 novembre 1973.

Come accennato in precedenza il libro Guerre politiche presenta al suo inizio una Avvertenza, che può considerarsi uno dei pochi documenti esplicitamente e dichiaratamente politici dell’apolitico e disimpegnato scrittore vicentino. In questo testo Parise mostra esaurientemente i suoi punti di vista, osserva e valuta se stesso e gli esiti dell’esperienza di inviato speciale, da queste poche righe viene fuori che Parise privilegia nel lavoro di reporter più la sensibilità dello scrittore rispetto allo sguardo del giornalista e questo è anche testimoniato da due lettere, una del 12 marzo 1967 scritta da Saigon e indirizzata a Giosetta Fioroni:

Ho girato come una trottola e materiale ce n’era per un libro, la difficoltà stava nel costringere questo materiale e al tempo stesso nel non fare del reportage eccessivamente giornalistico, cioè dati, enunciazioni, eccetera, insomma superficialità. L’importante è dare sempre l’odore, il sapore delle cose; e questo è dato magari da poche righe e da pochi particolari. Staremo a vedere se ho scelto quelli giusti. Credo di sì.

L’altra lettera è della fine del 1973 ed è indirizzata all’allora direttore del Corriere della Sera, Gaspare Barbiellini Amidei, dove l’autore riferendosi ai suoi articoli scrive:

Per me nulla è routine e tutto deve avere un frisson interiore che è ciò che ha fatto dei miei viaggi precedenti qualcosa di modestamente diverso da altre produzioni artigiane.

Parise compie i viaggi in questione in zone dilaniate dalla guerra, per osservare, per vedere cosa e come sia la guerra in queste zone, per provare l’impatto emotivo e fisico che essa causa, e in questo caso mi riferisco alla guerra del Vietnam, per vedere lo scontro ideologico tra due popoli tanto distanti dal punto di vista economico e ideologico. Anche in questi articoli Parise attua una scelta, ovvero parte povero di informazioni sui luoghi che sono meta dei suoi viaggi, una scelta già consapevole, avvenuta anche anni prima dei grandi viaggi, questo intento ci viene esplicitato proprio dalla penna dell’autore stesso in uno scritto su Capri del 1957:

Quando ho occasione di viaggiare in luoghi che non ho mai conosciuto non mi documento mai. È questa una abitudine istintiva che spesse volte ho combattuto scambiandola per pigrizia. Invece non è affatto pigrizia, ma soltanto il desiderio e la curiosità di mettere a confronto l’immaginazione allo stato puro con la realtà. Questo succede non soltanto nei paesi visti per la prima volta, ma anche in luoghi visitati molti anni prima, dove fantasia e realtà ebbero lo stesso gioco, la realtà, naturalmente, aveva la meglio, ma col passar del tempo anch’essa tornava a fondersi nella fantasia come quegli avvenimenti reali che, attraverso un sogno notturno, si deformano al punto da domandarsi se si sono vissuti davvero.

La scelta che compie Parise non è una scelta ingenua, ma è oculata, è una scelta importante perché così può sentirsi più leggero, più libero e aperto ad ogni eventualità, in questo modo può seguire il suggerimento che viene da una frase di Rosa Luxemburg che troviamo alla fine del reportage laotiano: “Libero è colui che può decidere altrimenti”. Parise stesso, inoltre, si domanda del perché dei suoi viaggi fra guerre e rivoluzioni, si domanda se sia dovuto alla partecipazione umana, alla curiosità politica, all’inquietudine intellettuale, se è amore per il rischio, la risposta è sì, in parte, a tutte queste domande, ma alla fine questo sì non è per intero e quindi alla domanda del perché sui suoi viaggi Parise non sa dare veramente una risposta. Nel 1982 troverà la risposta, l’istinto al viaggio è essenzialmente dovuto alla volontà di vedere altro, perché è attratto da quel qualcosa d’altro che è il mondo e infine perché viggiando si vive mille volte. I viaggi che compie Goffredo Parise sono puri e semplici, questi viaggi che potevano significare disimpegno politico, ma all’autore del disimpegno e dell’impegno non importa proprio nulla, sarà lui stesso a dichiarare qual è il suo vero intento:

Il mio impegno, quando pensavo di essere impegnato, era questo: credere fermamente che, con le mie parole scritte, avrei informato e forse coinvolto nella sorte di alcuni ragazzi di quindici sedici anni, mandati a fare la guerra e disperatamente morti, alcuni lettori.

Inoltre in questa Avvertenza dichiara che non compirà più molti viaggi e questo perché il mondo si è fatto piccolo, perché la cultura globale oggi più di allora ha trasformato il viaggiatore in un turista, negando ad esso la possibilità di trovare un senso, negando un perché al suo spostarsi; tutto questo a causa della meccanizzazione del viaggio, dell’evoluzione dei mezzi di trasporto che ha reso più facile arrivare in qualsiasi parte del pianeta, il mondo si è rimpicciolito a tal punto da farne svanire i confini, aggiungiamo anche il fatto che il viaggio non ha più il carattere eroico che aveva in passato, da impresa avventurosa del singolo si è trasformato in un obbligo sociale della massa, tanto che, oggi il viaggio è divenuto un bene di consumo, una merce come un’altra, con l’aggiunta dell’insidia di omologare e confondere le identità e ridurre la possibilità di trovare l’ignoto.

Un mondo che si uniforma sempre più, che agli occhi dello scrittore diviene sempre più irriconoscibile, un mondo che Parise guarda e descrive, soffrendo anche per l’impossibilità di mutarlo, un mondo fatto di luoghi e persone che lo scrittore analizza anche con piacere. E allora ecco l’autore che tenta di risillabare la realtà con l’aiuto della memoria, con il ricordo della gioventù che lo ha aiutato nei viaggi dandogli forza e con la riflessione che aiuta a vedere in prospettiva i viaggi compiuti in gioventù; i viaggi lo hanno anche invecchiato, i viaggi hanno anche compromesso il suo stato di salute:

Esso rappresentò il secondo (ma il più pesante) invecchiamento di tutta la mia persona. Allora non me ne rendevo conto, il processo degenerativo di tessuti, arterie e sangue, essendo in corso.

E da questi viaggi e dall’osservare, Parise ha imparato che alla fine di un viaggio, non sono le informazioni o la ragione analitica che contano, bensì il sentimento che si prova verso gli uomini, verso le cose, che il caso gli ha fatto incontrare; ed è proprio attraverso la parola scritta, quel “vecchio rimasuglio artigianale che stenta a morire”, che è possibile catturare particolari impossibili. Conclude l’Avvertenza dichiarandosi oramai uno scrittore coloniale, che può ancora viaggiare e scrivere della sua colonia, l’Italia:

Infine perché egli, lo voglia o no, è sempre e comunque e ogni giorno di più scrittore coloniale. Saputo e detto questo, gli rimane pur sempre da viaggiare, da vivere e scrivere dentro la sua colonia che, nonostante tutto, è ancora una delle più belle e vive e tragiche colonie del mondo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Parise Reporter

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Informazioni tesi

  Autore: Adriano Micheletti
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Letteratura Lingue, Studi Italiani ed Europei.
  Relatore: Bianca Maria Frabotta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 239

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