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Bologna la Grassa, la Dotta, la Rossa: city marketing di Bologna

Il city marketing

I due concetti (m. territoriale e city m.) non sono totalmente assimilabili, ma sussistono differenze sostanziali tra loro, soprattutto in riferimento allo spazio e agli obiettivi strategici su di esso, quindi al mercato di riferimento.

Se il marketing territoriale ha come finalità l’analisi e la valorizzazione strategica del territorio nel rispetto delle attenzioni a esso dovute (e da esso richieste), il city marketing cerca, investendo indirettamente in capitale sociale, di favorire un sano e produttivo rapporto di scambio fra gli utilizzatori della città e la città stessa. Se il primo obiettivo vuole essere prettamente “attrattivo” e cucito sulle realtà imprenditoriali (e non), le quali bramano territori con benefit infrastrutturali-economici, il secondo tende alla partecipazione di tutti gli attori cittadini, mirando ad alti livelli di vivibilità in qualità della vita, servizi qualificati e creatività.

Non vi è indipendenza: se mediante il city m. si ottiene di migliorare l'attrattività della città, per induzione si genera un effetto positivo sull'intero territorio, influenzando indirettamente la scelta insediativa degli imprenditori. Ugualmente, vale l'inverso.
La figura del city manager si rivela utile, conseguentemente, per apportare migliorie alla quantità/qualità del servizio pubblico cittadino, migliorie che si sposino con le diverse categorie di city users:
* residenti: coloro che vivono nella città in modo stabile;
* esercenti: quanti esercitano professioni in città, residenti e non;
* imprese aventi la loro sede legale o finanziaria in città.

Perciò, come afferma Filosa Martone, è necessario “promuovere l’ascolto dei cittadini e di tutti gli altri partner nella valutazione dell’ambiente in cui vivono, nell’espressione del giudizio sulle politiche di sviluppo da adottare per la città, per conoscere la loro percezione sul livello di attuazione del miglioramento avvenuto nelle città. Sono solo coloro che vivono la città a conoscerne dall’interno i suoi punti di forza e di debolezza.”

Il fine, dunque, del marketing calato sull’ambiente urbano, è quello di disegnare un modello ponderato che valorizzi le risorse, tangibili e intangibili, sentiti i city users. Ad affiancare il processo, un contributo incisivo dev’esser dato dalle autorità locali, negli ambiti fondamentali della progettazione, comunicazione e promozione (dove è possibile intravedere le quattro P del marketing mix tradizionale): il marketing non è un avversario né tantomeno un alternativa alla politica, ma le può essere funzionale soprattutto in un’ottica di governance. Voglio intendere il processo di analisi e organizzazione, le politiche pubbliche e la vision che permettono di andare oltre una prospettiva squisitamente istituzionale, come già affermava Mayntz alla fine dello scorso secolo.

La mera capacità di assumere decisioni e servire l’ordine pubblico non è quindi più esaustiva in contesti che rispetto al passato appaiono maggiormente differenziati ed eclettici e la cui organizzazione non può esser gestita da un singolo “principe cittadino” ma deve coinvolgere, per forza di cose, una pluralità di soggetti aventi natura, dimensione, interessi e mezzi anche contrastanti.

Il soggetto istituzionale non è più il decisore ultimo, l’occhio gerarchico del Grande Fratello, ma colui che agisce in sintonia con i diversi attori locali i quali, giustamente identificati con caratteristiche e obiettivi diversi, sono motivati al processo di governance date le diverse risorse/capacità che ognuno può mettere in campo e i benefici che se ne traggono dalla sinergia tra esse. Un effetto domino positivo tale processo lo ha sul capitale sociale, migliorando la city users’ way of life, garantendo una maggiore occupazione nell’immediato e stimoli forti ad occupazioni che non siano temporanee e utili economici non disdegnevoli per le imprese.

La creazione di un tavolo condiviso è il primo step da fronteggiare se si vuole che gli attori locali rilevanti facciano rete: il fatto che possano esserci soggetti aventi interessi contrastanti tra loro non è fattore discriminante, ma anzi elemento di valore del tavolo perché può esistere cooperazione tra tali soggetti qualora si trovi uno spazio dove ciò sia conveniente o performante per ambedue e nonostante la competizione giustamente continui su altri ambiti. E questi “spazi” sono identificabili in ciò che Crouch definisce ‘beni pubblici competitivi’, ossia beni che in qualche modo sono indirizzabili all’accrescimento dell’attrattività/competitività del territorio, che oltre a giovare evidentemente alle imprese, forniscono il locus amoenus per nuovi impieghi e attività (Catalano, 2005).

Afferma Picchieri: “La governance di un sistema locale produce sviluppo locale quando è in grado di produrre beni pubblici competitivi o quando è in grado di utilizzare in maniera competitiva beni pubblici che non sono originariamente di per sé competitivi”. Ecco che quindi lo scopo del tavolo d’intesa, e dunque del city manager, è definito.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Bologna la Grassa, la Dotta, la Rossa: city marketing di Bologna

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Informazioni tesi

  Autore: Nicola Di Pumpo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia aziendale
  Relatore: Fabio Guido Ulderico Ancarani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 50

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