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I diritti umani nei rapporti tra l'ordinamento statale e la CEDU. Il contesto delle carceri in Italia: una questione di legalità

I diritti negli istituti di pena: uno sguardo d’insieme

L’impianto giuridico di protezione dei diritti e delle libertà fondamentali, nazionale e sovranazionale, generatosi a partire dal secondo dopoguerra, fu attraversato da un unico principio ispiratore che riassume in sé tutti gli altri: il rispetto della dignità umana, “il punto archimedico di tutto il sistema costituzionale dei diritti e dei poteri”. Ad oggi, rispetto al passato, non si registrano eclatanti lesioni del principio personalista, soprattutto negli Stati occidentali, dove il sistema di protezione dei diritti e delle libertà fondamentali è ben consolidato. Tuttavia ciò è ravvisabile se la nostra analisi si sofferma solo su quella parte di società che quotidianamente viviamo, in altri casi, non sempre oggetto di cronaca, l’integrità della dignità umana subisce gravi contraccolpi. Emblematico a questo proposito è l’universo carcerario dove il principio personalista viene costantemente sottoposto a dura prova dall’obbligo, costituzionalmente garantito, di restrizione della libertà. Sebbene non esistano altri modi di esecuzione della pena, i diritti e le libertà fondamentali dietro le sbarre, ad oggi, non vengono interamente garantiti altresì è evidente che il sistema detentivo riflette il fallimento, anche se parziale, dell’attività statale nella protezione delle prerogative individuali.

La problematica strutturale delle drammatiche condizioni di detenzione non fa che acuire il “contrasto tra la teoria degli obiettivi di rieducazione, legalità e rispetto della dignità […] e una realtà opposta di negazione della legalità, della libertà e della sicurezza” presupposti saldi di tutte le Carte costituzionali del dopoguerra, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, dal 2009, della Carta europea dei diritti fondamentali. A fronte del riconoscimento multilivello del valore della dignità umana, l’analisi delle condizioni di detenzione necessita di partire dai postulati costituzionali che, all’articolo 27 comma 3, prevedono che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”, cosicché lo scopo del carcere non è imporre la pena al fine di restringere la libertà dell’individuo ma mirare “alla rieducazione del condannato” al fine di favorire il reinserimento nella società. In altri termini, quando si stabilisce un regime di restrizione delle libertà, è di fondamentale importanza che uno Stato sia in possesso di un apparato legislativo robusto tale che non comprima le libertà e i diritti fondamentali del reo, al contrario garantisca il riconoscimento dei diritti di natura sociale volti a costituire solide basi per la riabilitazione dell’individuo a far parte, e a partecipare nuovamente, allo sviluppo della collettività. Il mito della rieducazione/risocializzazione del condannato non può che assumere i connotati di un paradosso perché, a ben vedere, il carcere “produce come primo inevitabile effetto quello della desocializzazione” che priva il cittadino della sua libertà e di ogni suo contatto con il mondo esterno. Ad ogni modo pare interessante soffermarsi sul combinato disposto degli articoli 27 3°comma, 13 4°comma e articolo 32 2°comma. Il fine ultimo della combinazione di queste disposizioni normative è quello di garantire il divieto, oltre che la punibilità della tortura a carico dei soggetti sottoposti a restrizioni di libertà. Senza addentrarsi nella trattazione del tema della tortura, per il quale si discuterà nei capitoli seguenti, è necessario precisare, tuttavia, che la realtà ordinamentale italiana sia poco aderente con ciò che viene stabilito nel dettato costituzionale con riguardo, in particolare, all’articolo 32.

Quest’ultimo nel prevedere che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” induce a chiedere se la mancanza di una legge che punisca il reato di tortura non risulta paradossale, se non incompatibile con quanto disposto dalla Carta costituzionale. È per tali ragioni che l’ordinamento italiano è stato colpito da una durissima sentenza della Corte EDU che condanna lo Stato, a seguito dei ricorsi sui fatti di Genova del 2001, per questa grave mancanza. Malgrado il vuoto legislativo, il corredo costituzionale (ex art. 27, ex art. 13, ex art. 32) trova pieno consolidamento nell’articolo 3 della CEDU (la Convenzione, come evidenziato nel capitolo precedente, entra nel nostro ordinamento sulla scia dell’art. 117 1°comma), nell’articolo 7 del Patto internazionale dei diritti civili e politici, nell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Questo brano è tratto dalla tesi:

I diritti umani nei rapporti tra l'ordinamento statale e la CEDU. Il contesto delle carceri in Italia: una questione di legalità

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Informazioni tesi

  Autore: Sara De Fazio
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Scienze delle Pubbliche Amministrazioni
  Corso: Scienze delle Pubbliche Amministrazioni
  Relatore: Giampaolo Gerbasi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 173

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