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The Global Fashion Entertainment. Moda, comunicazione e design nella brand experience. Il total living di Giorgio Armani.

L'industrializzazione della moda e lo stilismo

diffusione del Prét à porter non fu solo l’effetto di un allargamento delle proposte delle case di moda verso un pubblico più ampio, quanto l’inserimento del fenomeno moda all’interno di un contesto caratterizzato da profonde trasformazioni sociali che resero possibile l’industrializzazione della moda e lo sviluppo dello stilismo come interprete dei cambiamenti in atto. Alla fine degli anni ‘60 la contestazione politica coinvolse anche il mondo della moda. La rottura col passato divenne evidente, soprattutto tra i giovani.
Nacquero movimenti come gli yuppie che rivoluzionarono completamente il modo di essere e di apparire, mutarono i comportamenti sessuali e culturali, aumentò la scolarizzazione, il tempo libero e la disponibilità economica. I giovani cercavano nuove forme di aggregazione in contrapposizione alle istituzioni. Nacque il fenomeno dei Jeans, come forma di ribellione all’autorità, improvvisamente anche le donne ebbero voglia di vestire in modo informale. La stilista londinese Mary Quant creò la minigonna, simbolo della moda di quegli anni. La minigonna infatti significava giovinezza, libertà, movimento. Una costante perdita di interesse nei confronti dell’abbigliamento di lusso, inoltre, portò molti giovani ad adottare forme innovative e talvolta provocatorie di abbigliamento per comunicare la propria identità, costruendosi il proprio stile personale. La moda per far fronte alla mutata domanda dovette differenziare la sua offerta e diventare un vero “supermercato dello stile” immettendo sul mercato, reinterpretandoli e integrandoli i diversi stili sorti dalla strada . Gli stilisti interpretavano i cambiamenti sociali in atto, anzi li anticipavano, facendosi portatori dei nuovi valori. Giorgio Armani, introducendo la giacca nel guardaroba femminile, contribuì all’emancipazione della donna più del femminismo. Nacquero nuovi e numerosi stili che riflettevano la frantumazione della società. La moda come unico modello di riferimento non esisteva più . In questo modo venivano inventate e proposte nuove forme che rovesciavano i criteri fino ad allora validi di stile ed eleganza, spostando il discorso a un livello di forte espressività e comunicatività” .Il fenomeno degli stilisti si inserì in questo contesto, essi, infatti, proponevano diversi linguaggi che corrispondevano ad altrettanti mondi possibili da comunicare. In questo periodo iniziò una produzione industriale dei capi di abbigliamento in cui la parte ideativa assumeva un ruolo centrale e strategico: dalla progettazione, al disegno, dalla promozione dell’immagine alla comunicazione e alla distribuzione. L’alleanza tra stilismo e industria dovette la sua nascita alle trasformazioni sociali ed economiche dell’Italia. Negli anni ’70 gli operai iniziarono una serie di scioperi e di occupazioni delle fabbriche che mandarono in crisi il settore tessile, costringendo molte fabbriche a chiudere. Molti paesi superarono questa crisi decentrando la propria produzione: gli Usa nelle aree satellite del Centro America, la Francia nell’Africa del nord, la Germania nell’Est europeo. L’Italia però non avendo aree satellite fu costretta a ripiegare sulla propria struttura interna industriale. L’intera produzione tessile venne decentrata in un articolato sistema di piccole e medie imprese. Tale soluzione portò grande innovazione nella produzione grazie alla flessibilità, ovvero alla capacità di cambiare rapidamente il genere produttivo. Artefice di questa idea fu Marco Rivetti, amministratore delegato del gruppo GFT, che riuscì a rivitalizzare l’industria tessile grazie al rapporto instaurato con gli stilisti ed in particolare con Giorgio Armani. Marco Rivetti definì il rapporto tra imprenditori e stilisti di “mutuo soccorso”, nel quale entrambi avrebbero dovuto mantenere la propria autonomia tenendo conto delle rispettive esigenze . Negli anni settanta e ottanta l’alleanza tra stilismo e industria e, quindi, tra creatività e imprenditoria, segnò la nascita del Made in Italy. È proprio grazie all’incontro e alla collaborazione tra questi due mondi così diversi che, negli ultimi 20 anni del 900, si affermò la moda italiana nel mondo.
Salirono alla ribalta le stelle di Versace, Armani, Ferrè, Krizia, Missoni che si ritrovarono a fondere la propria arte con il sistema della produzione industriale. “Il successo degli stilisti non fu solo il risultato di innovazioni organizzative o produttive, ma fu anche determinata dalla capacità di recepire e tradurre le sollecitazioni provenienti dalle forme dell’abbigliamento giovanile per estenderle all’età adulta e alle nuove modalità rappresentative della classe media” . Nel 1975 nacque la Giorgio Armani spa che lanciò una linea di “prêt-à-porter” maschile e femminile aprendo undici nuovi punti vendita. Armani anziché accettare il contratto come stilista per l’azienda di abbigliamento GFT, propose un rapporto di licenza per la realizzazione di una linea con il suo nome instaurando un rapporto di maggior autonomia ed emancipazione nei confronti dell’industria. Nel 1981 il marchio si affermò come grande marchio mondiale con la presentazione del suo primo profumo e l’apertura di negozi in tutto il mondo. “Una delle principali innovazioni del Pret à Porter fu dunque quella di aver trasposto e amplificato il racconto di esclusività dell’haute couture nella produzione in serie” .

Questo brano è tratto dalla tesi:

The Global Fashion Entertainment. Moda, comunicazione e design nella brand experience. Il total living di Giorgio Armani.

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Informazioni tesi

  Autore: Daniela Valentina D'angelo
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Economia
  Corso: Pubblicità e comunicazione d'impresa
  Relatore: Giovanni Brunazzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 181

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