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IMPARARE FACENDO: Sperimentazione e analisi del corso linguistico-professionale per migranti - Aiuto cuoco e addetti ai servizi di ristorazione

L’errore e il processo di apprendimento

In Dardano e Trifone (1997), l’errore è definito come “una deviazione rispetto alla norma codificata dalla comunità linguistica” , cioè rispetto alle realizzazioni linguistiche accettate all’interno di una determinata comunità. Scegliere l’atteggiamento più adatto nei confronti della correzione degli errori di apprendenti una lingua seconda non è mai semplice e non esiste una soluzione o una formula unica. Ciò che conta è sicuramente evitare di assumere un’attitudine eccessivamente rigida e poco flessibile in presenza di errori, in quanto si cadrebbe nel rischio di creare un divario troppo grande tra la lingua utilizzata in contesto formativo e la lingua reale della comunicazione quotidiana, che gli apprendenti incontrano al di fuori della lezione di italiano. Nella scelta di un metodo per correggere le produzioni di studenti stranieri, è inevitabile comunque basarsi sulla competenza del parlante nativo e fare riferimento, quindi, ai vari usi condivisi dalla comunità linguistica nei testi e nei contesti della comunicazione.

Studi sistematici sull’errore in campo linguistico cominciano a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Fries (1945) e Lado (1957) si fanno promotori di un modello di analisi che si basa sulla comparazione tra lingua madre e lingua target, al fine di riscontrare similitudini e differenze tra i due sistemi. Secondo questa prospettiva, nell’apprendere una lingua diversa da quella di origine, gli studenti trasferiscono le conoscenze già possedute sulla nuova struttura comunicativa, ottenendo vantaggi evidenti nel trasferimento degli elementi simili (transfer positivo), ma riscontrando problematiche in caso di elementi il cui funzionamento non coincide tra i due codici (transfer negativo o interferenza).

Secondo questa analisi contrastiva, allora, a partire da uno studio interlinguistico tra due sistemi, è possibile prevedere in quali aree linguistiche, non caratterizzate da similitudini, si verificheranno le maggiori problematiche e quindi la produzione di errori. Tuttavia, in realtà la predizione degli errori non può limitarsi solamente a elementi prettamente linguistici, in quanto è fondamentale tenere conto anche di quelli psicolinguistici e sociali.

Gli anni Sessanta segnano una svolta importante nel campo della didattica, grazie al contributo fondamentale delle teorie cognitive e innatiste di Noam Chomsky. Gli studi successivi ad opera di Dulay e Burt (1974), costituiscono una delle prime prove a sostegno delle teorie chomskiane, in quanto dagli studi emerge che alcuni errori commessi da parte di apprendenti L2 risultano uguali a quelli commessi dai bambini nella fase di acquisizione della L1. Questo dimostra quindi che gli errori non derivano necessariamente dall’interferenza tra due codici vicini; si tratta piuttosto di errori di tipo evolutivo, in quanto si sviluppano in modo simile, il che porta a ipotizzare che il processo di acquisizione/apprendimento delle lingue sottostia effettivamente a un meccanismo universale di tipo creativo.

Di grande importante nel settore è anche il saggio di Pit Corder “The significante of learners’ errors” (1967), in cui l’autore mette in evidenza l’importanza di non limitare lo studio e la ricerca all’errore in sé, suggerendo di ampliare l’analisi agli effetti e ai risvolti riguardanti la conoscenza sul modo in cui si sviluppa l’apprendimento di una lingua seconda. Questo permette sia di ottenere informazioni su quali sono le strategie messe in atto e le ipotesi che l’apprendente si costruisce sulla lingua target, sia di monitorare, attraverso gli errori, i progressi degli studenti e, di conseguenza, favorire un miglioramento delle strategie di insegnamento da parte del docente. L’errore costituisce allora una preziosa fonte di informazioni e la sua presenza non è da punire, ma costituisce anzi la testimonianza di un uso, per quanto ancora imperfetto, di un sistema linguistico, un sistema in continuo cambiamento e caratterizzato da una grammatica propria, simile e al tempo stesso differente rispetto alla L1, alla L2 e alle altre lingue conosciute dallo studente, ovvero quello che Selinker nel 1972 definisce “interlingua”.

L’analisi dell’errore tuttavia mostra dei limiti, in quanto l’assenza di errori non prova automaticamente il possesso di una competenza linguistica, considerando che normalmente gli apprendenti tendono a non utilizzare le strutture non conosciute o ritenute più complesse; inoltre, non è sempre possibile classificare l’errore in modo definito, dato che può presentare più cause non sempre individuabili. Ecco perché è sempre fondamentale, ove possibile, prendere in considerazione più aspetti, senza limitarsi solo a quelli propriamente linguistici.

Esistono infatti due fattori da considerare nell’analizzare gli errori: fattori di variabilità, appartenenti alla sfera individuale, e fattori esterni. Tra i primi rientra l’età dell’apprendente, la durata dell’esposizione ad un ambiente linguistico, l’attitudine e predisposizione personale e la motivazione. Tra i fattori esterni, indipendenti quindi dallo studente, rientrano invece la variabilità linguistica e la variabilità contestuale, ovvero l’ambiente in cui ci si trova immersi, che determina l’adozione di stili di comunicazione diversi a seconda che la situazione richieda una produzione più spontanea o più formale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Sabrina Carluccio
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2015-16
  Università: Università per stranieri di Siena
  Facoltà: Scienze Linguistiche e comunicazione interculturale
  Corso: Didattica della lingua italiana a stranieri
  Relatore: Antonella Benucci
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 141

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Parole chiave

immigrazione
migrazione
analisi dell'errore
corso linguistico professionale
didattica della lingua italiana a stranieri
abilità parziali

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