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L’immersività nell’arte - La realtà virtuale come mezzo di comunicazione nei musei

La Realtà Virtuale Immersiva

La realtà virtuale nasce per indicare una realtà simulata, in cui lo spettatore viene completamente immerso in una situazione proiettata attraverso un monitor. L’utente può interagire con oggetti presenti nelle ambientazioni ricreate attraverso joystick appositi, rendendo il tutto più appassionante. La prima realtà virtuale fu creata dal MIT nel 1977. L’Aspen Movie Map era una simulazione di una cittadina del Colorado in cui gli utenti potevano muoversi, scegliendo le condizioni meteorologiche o la rappresentazione poligonale della città.

Il senso a cui viene data maggior importanza è la vista, poiché considerato il senso dominante nell’uomo; per tale motivo spesso si propongono realtà virtuali 3D o con alte qualità grafiche, perché sono quelle che riescono a coinvolgere maggiormente lo spettatore, dando un’importanza secondaria agli altri sensi (ne è un esempio il World Wide Web). Quando anche altre parti sensoriali vengono coinvolte e viene costruito un vero e proprio ambiente intorno all’utente, si parla di realtà virtuale immersiva o RVI.

Tramite l’uso di visori, auricolari e guanti, lo spettatore diventerà protagonista della scena e riuscirà quasi del tutto a isolarsi e distaccarsi dalla realtà per entrarne in una virtuale. Le animazioni e le interazioni con gli oggetti assumeranno un ruolo fondamentale, poiché persuaderanno maggiormente l’utente a non badare agli stimoli provenienti dal mondo esterno.

Maria Roussou, co-fondatrice del sistema virtuale makebelieve, in un’intervista condotta dalla giornalista Silvia Scarafaggi afferma:
Paragonandola agli altri sistemi multimediali basati sul computer, è credito comune che l’efficacia della VR nell’apprendimento sia maggiore di qualsiasi altro metodo convenzionale. Nonostante questo, la ricerca in questo ambito è ancora minima e, ad oggi, non abbiamo a disposizione elementi chiari ed evidenti per affermare che le applicazioni VR portino quel ”valore aggiunto” all’apprendimento, soprattutto per i ragazzi.

Nonostante l’assenza di statistiche reali, è chiaro che queste nuove tecnologie abbiano un’attrattiva non indifferente verso i fruitori, soprattutto se essi appartengono alle nuove generazioni, le quali difficilmente riescono ad immaginare un mondo senza tutto ciò.

Gli Head-Mounted Display: l'evoluzione e le caratteristiche
La VR è un insieme di situazioni uniche ed indescrivibili. Il Senior Manager di PlayStation ha esordito:

Ho deciso che descrivere la realtà virtuale a una persona che non l’ha mai provato è praticamente impossibile. Come l’atto di gustare, annusare o vedere, la Realtà Virtuale (VR) è un’esperienza sensoriale che bisogna provare in prima persona per essere capita. Le parole non le rendono giustizia.

I mezzi più efficaci per far vivere queste esperienze sono gli head-mounted display (HMD), ovvero dei visori da appoggiare sul volto o in testa dello spettatore attraverso un apposito casco tramite cui sono proiettate delle immagini, dei video, o altri progetti multimediali.
Già verso la fine degli anni 50, Morton Leonard Heilig, regista, iniziò a lavorare sul progetto di Sensorama, un dispositivo meccanico ideato per il cinema dell’esperienza che facesse vedere la televisione in 3D, convogliando i sensi del tatto, dell’udito e dell’olfatto, a quello della vista. Brevettata nel 1962, la macchina non trovò fondi sufficienti per essere sviluppata ed applicata al cinema come voleva il suo inventore, poiché oggetto di una visione troppo futuristica rispetto all’epoca.

Da quest'idea partirono Ivan Sutherland e Bob Sproull, creando nel 1967 il primo sistema di realtà virtuale con visore, la Spada di Damocle. Questo era molto primitivo sia in termini grafici che in termini di fruizione. Negli ultimi vent’anni questi sistemi di proiezione virtuale sono stati introdotti sul mercato.Uno dei primi HMD disponibili in commercio è stato il Forte VFX-1, rilasciato nel 1995 da Forte Technologies al prezzo di 695 dollari. Esso era composto da un casco con display LCD a colori doppio, un controller palmare e una scheda di interfaccia ISA ed era dotato di audio, video e eye-tracking [fig. 2.1].

Un’azienda pioniera in questo settore è stata la Sony che, nel 1997, ha fatto uscire il Glasstron. Anche questo possedeva due schermi LCD a colori e due auricolari. A differenza dei predecessori, in questo modello è stato inserito anche un sensore di posizione che permetteva all’utente di visualizzare i dintorni. Attualmente il progresso è in costante avanzamento. Il classico HMD è costituito da uno o due piccoli display con lenti e specchi semitrasparenti incorporati in un casco, occhiali o visiera. I monitor possono essere in CRT, LCD, a cristalli liquidi su silicio o OLED. Alcuni fornitori inseriscono diversi micro-display per aumentare il campo visivo. Si possono distinguere due tipologie di head-mounted display: il primo utilizza la visualizzazione di un’immagine generata da computer o cellulare, generalmente indicata come immagine virtuale; il secondo combina quest’ultima con il mondo reale, creando una realtà aumentata.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’immersività nell’arte - La realtà virtuale come mezzo di comunicazione nei musei

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandra Filieri
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Politecnico di Torino
  Facoltà: Architettura
  Corso: Design e Comunicazione Visiva
  Relatore: Gianluca Paravati
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 160

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