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Il controllo a distanza sul lavoratore e l'interazione tra disciplina giuslavorista e normativa sulla privacy

Ragioni della riforma: progresso tecnologico e nuovi strumenti di controllo

Analizzata la disciplina creata dal legislatore del 1970 per regolare i controlli a distanza sul lavoro, è giunto il momento di interrogarsi sulle ragioni che hanno portato, nell'ambito della profonda riforma del diritto del lavoro italiano operata dal Jobs Act, ad una riscrittura così ampia e radicale della fattispecie. Per fare ciò si può partire dai limiti intrinseci esistenti nell'originaria norma dello Statuto, in parte dovuti semplicemente al contesto in cui la norma era nata.

Il primo problema del vecchio articolo 4 consisteva nel fatto che, come già anticipato brevemente in precedenza, lo stesso era stato creato per regolare e limitare l'installazione, da parte del datore di lavoro, di strumenti (dai quali potesse derivare una qualche forma di controllo) che però non erano richiesti dalla prestazione lavorativa.

Nel 1970 infatti i mezzi tecnologici di ultima generazione che conosciamo al giorno d'oggi non erano certo così diffusi, ed erano sicuramente molto lontani dall'essere considerati come “strumenti di lavoro”. Di conseguenza i problemi applicativi sono iniziati ad emergere quando il controllo a distanza sul lavoratore è divenuto possibile attraverso gli strumenti affidati al dipendente per l'esecuzione della prestazione. Fra questi spiccano senz'altro per importanza il computer, la rete internet, la posta elettronica, i tablet, gli smartphone e tutta questa ondata di innovazioni che si sono rese indispensabili per adempiere agli obblighi lavorativi.

Essendo questi strumenti così importanti per la vita aziendale, vincolarne l'utilizzazione alla complessa procedura autorizzativa stabilita dal secondo comma dell'articolo 4 era diventato pressoché assurdo, o quanto meno estremamente difficoltoso e inefficiente.

Una parte della dottrina aveva tentato, in un primo tempo, di ovviare al problema affermando l'esclusione dall'area di applicazione della norma statutaria degli strumenti informatici e telematici fondamentali per rendere la prestazione lavorativa; per il loro utilizzo non sarebbe infatti stato necessario ottenere l'autorizzazione sindacale o amministrativa.

Sempre con riferimento alla disciplina di questi strumenti, è apparsa sempre più evidente la necessità di distinguere tra la regolazione del momento dell'installazione delle apparecchiature e il momento dell'utilizzazione delle informazioni ricavate dai controlli. L'articolo 4 infatti disciplinava solamente il primo aspetto, lasciando che i limiti e le regole riguardanti il trattamento dei dati fossero stabilite dall'accordo sindacale o dal provvedimento amministrativo di autorizzazione. A questo proposito, è giusto ricordare come una buona parte di questi contratti o atti amministrativi vietassero completamente l'uso delle informazioni a fini disciplinari, sempre che non vietassero in toto l'installazione dello strumento.

Questo ha causato un effetto di certo lontano dalla volontà del legislatore; si è infatti diffusa, tra i datori di lavoro, l'abitudine di non provare nemmeno a trovare un accordo con i sindacati, né di richiedere l'autorizzazione alla DTL. Gli imprenditori preferivano cioè, in diversi casi, correre il rischio di incorrere nelle sanzioni derivanti dal mancato rispetto dell'articolo 4, piuttosto che trovarsi impossibilitati ad utilizzare le informazioni raccolte.
A questo riguardo è stato segnalato come anche la controparte sindacale, quella a cui lo Statuto aveva affidato la difesa degli interessi dei lavoratori, in molte occasioni si sia dimostrata poco fedele al compito affidatogli.

Infatti spesso le associazioni sindacali non segnalavano le omissioni degli imprenditori; le ragioni di questo comportamento sono da ricercare nella volontà di evitare negoziati molto complessi e, da un certo punto di vista, poco interessanti.

Da questa inerzia derivava, fra le altre cose, una situazione di vantaggio per il lavoratore che commettesse un'infrazione disciplinare, nel caso in cui quest'ultima fosse verificabile solamente tramite un controllo a distanza. Infatti se la procedura di autorizzazione non fosse stata compiuta correttamente ed il lavoratore fosse consapevole di questa omissione dell'imprenditore, le informazioni raccolte sarebbero state considerate inutilizzabili. Si poteva cioè venire a creare una zona d'ombra in cui i dipendenti disonesti avrebbero potuto continuare a commettere illeciti e rimanere allo stesso tempo impuniti.

Il problema causato dalla diffusione di controlli a distanza non disciplinati da accordi sindacali o autorizzazioni amministrative era quindi di duplice natura: se da una parte non si riusciva a garantire un'efficace tutela dell'interesse della generalità dei lavoratori a vedere protetta la propria privacy e dignità, da un altro punto di vista venivano favoriti comportamenti sleali e deplorevoli di singoli dipendenti disonesti. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il controllo a distanza sul lavoratore e l'interazione tra disciplina giuslavorista e normativa sulla privacy

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Informazioni tesi

  Autore: Davide Flaibani
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Trieste
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia, commercio internazionale e mercati finanziari
  Relatore: Maria Dolores Ferrara
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 134

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