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Da Wojtyla a Bergoglio: analogie e differenze negli Angelus degli ultimi tre papi

Tipologia e caratteristiche dei discorsi

I discorsi agli Angelus costituiscono un ampio corpus, utile per definire le caratteristiche testuali di questo particolare tipo di eloquio, per esaminare diacronicamente l’evoluzione e gli sviluppi della lingua papale, ma anche per notare i punti d’incontro e di distanza tra la lingua di un papa e quella di un altro, specchio non solo di diverse scelte linguistiche, ma anche di differenti ideologie e modi di approcciarsi ai fedeli.
Questi testi rientrano nella tipologia dei testi scritti per essere riportati oralmente, esattamente come, per esempio, alcuni tipi di discorsi politici. Se sono presenti fenomeni di correctio o attenuazione, quindi, essi sono voluti e sono frutto di scelte retoriche ben precise. A caratteristiche comuni, standardizzate o comunque consolidatesi nel tempo, i discorsi affiancano tratti individuali che rivelano diverse fisionomie personali, nonché differenti visioni del ruolo ricoperto dal Papa.
Non tutti i Papi, però, sono soliti scriversi i testi da soli. «Quello del coordinatore dei testi pontifici è un ruolo che si è accresciuto con il moltiplicarsi degli impegni pubblici del Papa e quindi dei discorsi da lui pronunciati. Nell'ultimo periodo di Paolo VI e poi lungo il pontificato di Giovanni Paolo II l'incarico è stato ricoperto da Paolo Sardi, oggi cardinale.
Quindi è stata la volta di Giovanni D'Ercole, oggi vescovo ausiliare dell'Aquila, il cui successore è stato Gloder. Ci sono omelie e discorsi che i Papi scrivono direttamente, di loro pugno. Altri interventi, invece, vengono preparati dalla Segreteria di Stato o da altri dicasteri e uffici vaticani sulla base delle indicazioni papali. Con Francesco non sono rare le aggiunte a braccio. In qualche caso il discorso preparato viene lasciato da parte del tutto e solitamente – se il Papa in qualche modo lo consegna ai destinatari – lo si considera come pronunciato».
Nel caso di Papa Benedetto XVI e Papa Francesco, la struttura presenta sempre una suddivisione in 4 parti: la formula di saluto iniziale, il corpo del testo (diviso in più paragrafi di lunghezza variabile), la preghiera dell’Angelus e il saluto finale, prima del quale il papa può anche aggiungere un piccolo commento o salutare specificamente categorie di persone giunte in Piazza San Pietro ad ascoltarlo.
Giovanni Paolo II è l’unico a non servirsi di saluti iniziali, ma comincia il discorso direttamente introducendo l’argomento del giorno. Nemmeno un vero e proprio saluto finale è presente nei suoi testi (se non in una circostanza, nella quale saluta dicendo «Sia lodato Gesù Cristo!»). A conclusione delle sue parole sono, invece, sempre rintracciabili ringraziamenti, invocazioni o benedizioni, qualche volta anche in più lingue. È un papa che non dimentica di salutare nessuno, sebbene non abbia fatto sua una formula precisa. In occasione del 1° gennaio 1980, poi, la sua ultima frase prima di lasciare la folla è «Buon anno ai miei romani», con la quale dimostra vicinanza alla città e anche un certo spirito. Per Papa Woytjla, «la volontà di entrare in stretto contatto con il suo uditorio alimenta di continuo la pratica estemporanea dell’allocuzione divertita».
Benedetto XVI, invece, non manca mai di aprire il suo Angelus con la formula «Cari fratelli e sorelle» e di chiuderlo con i saluti e le benedizioni in lingua (solitamente in francese, inglese, tedesco, spagnolo, polacco e italiano, sempre in quest’ordine, con l’aggiunta sporadica del portoghese).
Papa Francesco, infine, ha fatto del saluto uno dei propri caratteri distintivi già dalla sua prima apparizione in pubblico, nel giorno della sua elezione. Il suo «Cari fratelli e sorelle, buongiorno!» è presente in 18 su 21 Angelus presi in esame (talvolta accompagnato da «buon anno» o «buona festa»). Manca nelle due Domeniche delle Palme e in un caso è presente solamente la dicitura «Cari fratelli e sorelle». A questo si affianca l’altrettanto ormai celebre «Buon pranzo e arrivederci», che è rilevato 20 volte su 21 e che talvolta diventa «Arrivederci e buon pranzo», «Buon pranzo e a presto», «Buona domenica e buon pranzo», «Buona festa e buon pranzo» o «Pregate per me e buon pranzo», dove non può non colpire l’insolito accostamento tra il sacro (la preghiera) e il profano (il pranzo): la religione non è per Papa Francesco qualcosa che sta al di fuori della vita quotidiana, ma si mescola agli aspetti terreni della nostra esistenza. E proprio «Pregate per me!», anche nelle varianti «Ricordate(vi) di pregare me!», «Continuate a pregare per me!» o «Non dimenticate(vi) di pregare per me!» (accompagnato da un per favore, che attenua la perentorietà dell’esortazione) è presente, a partire dall’Angelus del Corpus Domini del 2014, in ogni testo tranne uno, e in un altro è sostituito da «Per favore, chiedete questo al Signore anche per me, che ne ho tanto bisogno!».
Il riferimento al bisogno pone la figura del Pontefice su un piano di grande umanità e annulla ogni distanza con il popolo dei fedeli: il papa è come l’ultimo degli uomini e ha bisogno dell’aiuto divino per riuscire a vincere le proprie battaglie.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Da Wojtyla a Bergoglio: analogie e differenze negli Angelus degli ultimi tre papi

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Informazioni tesi

  Autore: Laila Onnis
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue e letterature europee e americane
  Relatore: Maurizio Trifone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 75

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Parole chiave

comunicazione
sociolinguistica
chiesa
linguistica
retorica
papa giovanni paolo ii
papi
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papa benedetto xvi
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