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La notizia internazionale in formato fotografia

Gli scatti dell'orrore e la spettacolarizzazione del dolore

Partiamo dallo scatto che forse, tra tutti quelli presi qui di seguito in esame, è il più straziante: il ritratto del corpicino senza vita del piccolo Aylan Kurdi (o Alan Kurdi) riverso supino sul litorale di una costa della Turchia.

Scattata il 2 settembre 2015 da Nilüfer Demir, una foto-reporter di origini turche, questa scena è oggi considerata il simbolo-denuncia della drammatica tragedia dei rifugiati, iniziata a cavallo tra il 2014 e il 2015 – e ancora in corso – a seguito del clamoroso fallimento delle cosiddette “Primavere Arabe”, movimenti di protesta e agitazione popolare sorti nei paesi del Medio Oriente (Egitto, Marocco, Libia, Turchia, Tunisia, Giordania, Siria, tanto per citarne alcuni) tra il 2010 e il 2011 il cui scopo era sovvertire i vari regimi dittatoriali nazionali e istituire sistemi politici democratici sulla base dei principali modelli occidentali.

I numeri che raccontano questa moderna diaspora sono a dir poco mostruosi: si stima che nel 2014 (ma in realtà i primi sbarchi risalgono già al 2011-2012) siano arrivati sulle coste mediterranee – via mare o via terra – circa 216 mila persone, per poi salire a un milione nel 2015 e ridiscendere a “soli” 361.678 nel 2016. In questi tre anni, le vittime annegate durante la cosiddetta “traversata della salvezza” nel Mediterraneo sono state più di dieci mila. Solo in questi primi mesi del 2017 i profughi arrivati in Europa sui barconi sono già più di 32 mila e 826 risultano morti o dispersi. La maggior parte proviene dai paesi arabi e si stima che il 42,5% siano donne e bambini.

Il piccolo Aylan era uno di loro: in fuga con la sua famiglia dalla Siria, un paese costantemente al centro della cronaca internazionale a causa dei bombardamenti di una guerra civile senza fine e delle azioni terroristiche dell’Isis, un’organizzazione jihadista presente anche in Iraq il cui intento è l’instaurazione di un unico grande Stato Islamico. Per scappare dalla morte e dalla disperazione, la famiglia di Aylan ha tentato la fortuna, sfidando le onde del Mediterraneo in cerca di un nuovo futuro, in un viaggio pericoloso e inumano conclusosi poi nel peggiore dei modi sulla spiaggia di Bodrum in Turchia. Il suo nome, così come quello del fratellino più grande di appena due anni, ritrovato a pochi metri di distanza insieme alla mamma, è andato ad arricchire un già – purtroppo – lungo elenco di nomi di piccoli angeli strappati ad una vita che non avevano ancora veramente incominciato a vivere.

Vittime innocenti di un mare assassino e di un fato crudele, di spietati pregiudizi e scellerate politiche di persone affariste e senza scrupoli che, anziché prodigarsi (come dovrebbe essere loro responsabilità) a costruire un mondo di pace per le generazioni future, si barricano dietro le loro maschere d’ipocrisia e ai loro freddi discorsi d’indifferente retorica, che alla fine però lasciano sempre il tempo che trovano.

La fotografia del piccolo Aylan ha scosso l’opinione pubblica mondiale in un modo che forse solo poche altre immagini simili e relativamente recenti avevano saputo fare: innumerevoli dibattiti ne sono sorti attorno, alcuni dei quali a proposito della sua possibile (probabile) strumentalizzazione da parte dei media di tutto il mondo; ma prima di addentraci nuovamente in discorsi di tipo etico-deontologico, proviamo a vedere quali sono gli aspetti di questa fotografia che hanno contribuito dapprima alla sua selezione e poi alla sua diffusione virale avvenuta per mezzo di giornali, riviste, programmi televisivi e social network. Perché proprio quest’immagine, dunque? Perché non quella che include anche i corpi senza vita del fratellino e della mamma di Aylan, riversi immobili a pochi metri da lui? Perché non una di quelle migliaia scattate ben prima di questa particolare tragedia? [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La notizia internazionale in formato fotografia

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Biffoni
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Informazione ed Editoria
  Relatore: Marina Milan
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 173

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