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Il 1848 sulle pagine del ''22 marzo''

Il “22 marzo”, nascita e sviluppo

Cacciati gli austriaci da Milano, il Governo provvisorio decide di dotarsi di un foglio proprio. Il nome della testata è “22 marzo – Primo giorno dell’Indipendenza lombarda”. In prima pagina reca la dicitura "Giornale Officiale", viene stampato dalla Tipografia Guglielmini di Milano, ha sede in Palazzo Marino ed è edito in quattro colonne e formato grande (36 x 49,1 cm). Costa, in abbonamento, dieci lire a trimestre.

Il primo numero esce domenica 26 marzo 1848, e la prima informazione della prima colonna è l’annuncio, a firma del segretario di governo E. Broglio, dell’avvenuto decadimento della “Gazzetta di Milano” in qualità di giornale ufficiale dell’amministrazione. Il pezzo principale del primo numero è un lungo resoconto anonimo, datato 25 marzo, delle Cinque Giornate: glorifica la rivoluzione e sembra darne per scontato il buon esito. Il numero raccoglie, alla sezione "Atti Ufficiali", una serie di disposizioni governative emanate nei giorni della Rivoluzione, vi figurano anche quei decreti che i rivoltosi fecero firmare con la forza al conte O’Donnell, governatore, in data 18 marzo: concessione della Guardia Civica, disarmo della polizia imperiale e consegna delle armi da parte della stessa. Seguono alcuni proclami, firmati da Gabrio Casati e dal Governo Provvisorio, in cui si incita il popolo alla lotta e all’arruolamento nella Guardia Civica. Guardia Civica che, tramite il primo numero del “22 marzo”, riceve anche istruzioni belliche dal suo comandante, Antonio Lissoni. Ai cittadini tutti, armati e non, si rivolge da qui anche il presidente Casati.

Sempre dal primo numero sono comunicati la composizione del nuovo esecutivo, un’informativa al popolo sullo stato delle cose nei rapporti diplomatici col Regno di Sardegna e un telegramma dello stesso re piemontese, Carlo Alberto, risalente al 23 marzo. Vi sono spazi dedicati alle notizie dall’Italia e dall’estero, che siano confortanti e stimolanti: a Brescia il reggimento imperiale Hangowitz, composto tutto da italiani, si è ammutinato all’Impero e combatte col popolo, mentre "una certa fonte" racconta che durante i moti scoppiati a Napoli il 13 ed il 14 del mese "tra le grida, s’udiva pure una qualche voce: Viva la Repubblica!". I resoconti dall’estero arrivano da Baviera, Svizzera, Amburgo, Vienna e Berlino, sono racconti di una Rivoluzione che dilaga in tutta l’Europa. A chiudere l’esordio del quotidiano governativo sono due sezioni che ritroveremo anche nei numeri successivi, che parlano delle "Azioni generose del popolo", che il giornale permette di confrontare con le "Atrocità dei tedeschi".

Già dal secondo numero i toni riguardanti il prosieguo della Rivoluzione si fanno più decisi: in prima pagina un articolo anonimo assicura che “lo sterminio dei nemici d’Italia sarà terribile e per intero”. Poche righe più sotto, arriva direttamente da Gabrio Casati un appello ai cittadini, perché rispettino la vita dei prigionieri. Il giornale parla spesso direttamente al popolo, sempre dal secondo numero possiamo leggere l’invito ai lombardi a non discutere sull’eventuale aiuto dei piemontesi. Per il Governo, sarebbe bene che la battaglia delle parole non prendesse il sopravvento su quella delle armi (la notizia, infatti, è quella dell’arrivo a Milano del generale Passalacqua, alla testa di cinquemila soldati sabaudi). Il numero secondo del “22 marzo” è quello che ospita il primo contributo di un giornale straniero, ossia un resoconto dell’indipendenza ungherese dall’Austria. Il quotidiano che riferisce è tedesco, si chiama “Oberlander Bote”.

È inoltre pubblicato un elenco degli "oblatori per la causa" di quei giorni, parziale per il poco spazio, che verrà poi completato. Non è raro che il giornale debba pubblicare elenchi e liste di persone, morti e feriti (e delle Cinque giornate e della guerra con l’Impero Austriaco), avvocati, donatori, responsabili, nominati e altro ancora. I contributi alla prima pagina sono vari e mutano assai di numero in numero: un Cantico di Tommaso Grossi occupa, in data 30 marzo, lo spazio che nei giorni precedenti prima era stato dedicato ad un lungo articolo di Gabriele Rosa, dal titolo La fratellanza italiana, dove si lodano gli italiani per la loro capacità di respingere e cacciare invasori od occupanti nei secoli. Pur ritenendo lo spirito municipale alla base di questa predisposizione alla lotta, lo si ritiene superato: per Rosa, i semi della Rivoluzione in corso sono da cercarsi "nel cadere del secolo scorso, ed alimentati dalle fatiche del Carbonarismo e della Giovane Italia". Dello stesso giorno, il 28 marzo, sono la comparsa sul foglio del nome di Angelo Fava, che scrive in quanto Presidente del Comitato di Pubblica Sicurezza e, più importante, l’appello Il Governo Provvisorio di Milano alla Santità di papa Pio IX. I leader milanesi raccontano al pontefice di una Rivoluzione fatta in suo nome, o quantomeno anche in suo nome, che ora necessita del suo aiuto e della sua benedizione. La data è del 25 marzo, firmano Casati e gli altri dell’esecutivo.

Una diceria da sconfessare, a quanto pare, parla di una fredda accoglienza dei milanesi ai volontari genovesi giunti in città insieme con l’esercito regolare piemontese. Il 28 del mese sul “22 marzo” compare una lettera firmata da moltissimi genovesi, che fuga ogni dubbio e parla dei "magnanimi esempi" dei lombardi, che i liguri vorrebbero imitare.
Il chiarimento dei patrioti liguri è immediatamente seguito da un’altra lettera, dal titolo I milanesi ai loro fratelli di Genova, da cui effettivamente traspare lo spirito conciliativo di cui il giornale si fregia. Il penultimo nome della lista di patrioti milanesi che sottoscrivono la lettera è quello di Carlo Tenca.
L’articolo di prima pagina è spesso anonimo e prosegue di volta in volta lodando le Cinque Giornate in modo più approfondito. Quello del 29 marzo trova nella classe degli "impiegati" la classe sociale più vessata dalla dominazione austriaca, che a fronte ad una "parola imprudente" avrebbero potuto "compromettere per sempre la loro posizione sociale", mentre a possidenti e negozianti toccava sì essere circospetti e subire la censura, ma la loro posizione sociale non ne risultava compromessa.
“Pazientare anni e anni per conseguire un posto”, secondo l’anonimo del “22 marzo”, aveva esasperato gli impiegati, specialmente quelli giovani, a tal punto da trasformarli nei rivoltosi più patriottici e determinati al momento dello scoppio delle Cinque Giornate. C’è un avvertimento, però, a coloro che invece di "subire il giogo" dei funzionari di Radetzky scelsero di collaborare con essi: "non pensino di restare al loro posto quegli impiegati che [] mostrandosi volontari e compiacenti" del vecchio regime, tarderanno ad aderire al "nuovo ordine di cose". Il Governo Provvisorio, quindi, non potendo stilare una graduatoria per merito rivoluzionario, comunica che gli impiegati ritenuti collusi col governo di Vienna saranno arbitrariamente esclusi, almeno nell’immediato. Revisioni delle carriere di ciascun escluso, per errore o per calunnia, saranno effettuate in tempi meno critici. Ad Augusto Anfossi, patriota morto trentasettenne il 21 marzo negli scontri, è dedicato l’esordio sul “22 marzo” della rubrica Martiri della Rivoluzione.

L’articolo presenta una curiosa correzione, quantomeno nella copia disponibile presso l’Emeroteca Braidense, ossia quella utilizzata come fonte: l’Anfossi si sarebbe ispirato vicendevolmente con Giuseppe Torelli, scrittore, giornalista e politico di lì a breve direttore del “22 marzo”, ma il nome stampato è stato successivamente corretto in penna con quello di Luigi Torelli, effettivamente protagonista sul campo delle Cinque Giornate. Ospite fissa delle ultime pagine del giornale è Atrocità degli austriaci. Son frequenti, invece, testi firmati dalle massime cariche degli altri stati italiani o dei comunicati diretti ad essi dal Governo Provvisorio lombardo: si è detto dell’appello a papa Pio IX pubblicato il 28 marzo, cui si aggiungono una lettera aperta di Leopoldo II, Granduca di Toscana (scritta il 22 marzo ma pubblicata solamente il 29), un proclama di Carlo Alberto di Savoia, rivolto agli ”Italiani della Lombardia, della Venezia, di Piacenza e Reggio” e due messaggi dal Governo Provvisorio della Repubblica di Venezia in meno di una settimana (il 29 di marzo il primo, il 3 aprile il secondo).

Gli ultimi giorni di marzo ed i primi di aprile vedono un alternarsi dei contenuti visti nei giorni precedenti, si segnala un’altra biografia di un martire della Rivoluzione, questa volta si parla di Carlo Porro. Più significativi, sono la comparsa tra le firme di Tullo Massarani, mazziniano, legato a Tenca e futuro primo senatore ebreo del Regno d’Italia; un messaggio ai toscani di Giovanni Berchet pubblicato il 2 aprile; due lettere, scritte a Verona il 19 ed il 20 di marzo da "uno dei figli dell’exviceré" al fratello Ernesto, intercettate e pubblicate dal giornale il 29. Si nota una maggior cura e varietà; inoltre il 31 marzo il giornale subisce una lieve ma significativa modifica: un avviso governativo in prima pagina spiega che di lì in poi il quotidiano sarà diviso in una parte officiale, dedicata a coloro che sono maggiormente interessati ai bollettini, agli spostamenti del fronte o agli approfondimenti sullo svolgimento delle operazioni militari ed una parte non officiale.

Nei primi giorni dell’aprile 1848 l’esercito regolare piemontese e i volontari provenienti dai diversi stati italiani inseguono la ritirata degli austriaci verso est. L’andamento positivo della guerra genera un certo entusiasmo, che dalle pagine traspare. Non si ferma la glorificazione dei caduti delle Cinque Giornate, elencati a più riprese e biografati in Martiri della Rivoluzione, come accade a Girolamo Borgazzi e Giuseppe Gui (rispettivamente il 7 e l’8 aprile). La rubrica ha, per forza di cose, toni solenni ed epici, ma è un’osservazione che si può fare per molti dei testi pubblicati sul “22 marzo” di questi giorni. Il secondo articolo di Tullo Massarani, ad esempio, divulgato il 7 aprile, è lungo e romanticheggiante, intensamente patriottico, tanto da definire le armate austriache "orde di barbari". Sullo stesso numero si trova un articolo, firmato "il Governo Provvisorio", dal titolo Il Governo Provvisorio alla Nazione Germanica. Si tratta di una lettera aperta al popolo austriaco, in cui a nome dei milanesi il Governo si appella agli "alemanni" perché comprendano le ragioni dei rivoltosi italiani, la legittimità della loro indipendenza dopo trentaquattro anni di regime asburgico. Regime che, come si legge nell’articolo, gli austriaci dovrebbero riconoscere a loro volta come ingiusto, violento e repressivo e disconoscerlo come proprio rappresentante. L’austriaco nemico degli italiani è l’Impero, non il popolo.

Le esortazioni ai popoli stranieri sono piuttosto frequenti, sul “22 marzo”: il 4 aprile, ad esempio, è il Comitato del Buon Ordine di Genova scrive dalle pagine del quotidiano governativo ai "Fratelli napolitani e siciliani", invitandoli ad imbracciare le armi per cacciare l’esercito austriaco dall’Italia. Per il Comitato firma Antonio D’Oria, mentre Vincenzo Caprara è l’autore di un breve testo, pubblicato sulla stessa pagina, in cui da napoletano rassicura i milanesi: la "deputazione armata" napoletana non arriva con l’intento di sottrarre ai lombardi gloria e bottino, essi desiderano un “carico”, una parte attiva nella lotta armata. "Vittoria o morte!", scrive Caprara. Ben più pacati, in questi giorni, sono i toni dell’opinione cattolica, monarchica e moderata. In due giorni, tra mercoledì 5 aprile e giovedì 6, compaiono il primo articolo di Angelo Fava e un proclama di Pio IX. Fava è veneto e liberale, ha studiato medicina e trasferendosi a Milano è entrato in quel circolo di intellettuali, patriottici e liberali (pur non essendo apertamente repubblicano), che diffondono il sentimento rivoluzionario con l’avvicinarsi del Quarantotto.

Collaboratore alla “Rivista Europea” di Carlo Tenca, abbandona poi la redazione per inconciliabilità di vedute con lo stesso Tenca. Durante le Cinque Giornate partecipa attivamente all’insurrezione e si avvicina molto a Gabrio Casati e ai moderati, tanto da essere scelto, a città liberata, come Presidente del Comitato di Pubblica Sicurezza. Nel suo primo articolo Fava raccomanda ai milanesi di evitare, nei confronti dei piemontesi, di cadere nel campanilismo o nel sospetto che il loro aiuto sia un’usurpazione. L’Europa intera è testimone delle azioni di Carlo Alberto e la gloria dei lombardi e della loro Rivoluzione non potrà essere offuscata dal un "aiuto fraterno". La lettera di Pio IX, invece, è pubblicata il giorno seguente. Il papa non si espone, scrive “da papa” e ammonisce: "ben usare la vittoria è più grande e più difficile cosa che il vincere".

Il 5 aprile, tra le altre cose, sul giornale ritorna anche la voce del nemico, il feldmaresciallo Josef Radetzky, che in un ultimatum intima ai veronesi di consegnare eventuali armi possedute alle autorità imperiali, pena la morte. Lo stesso giorno gli ex-membri del Consiglio di Guerra con un comunicato rivendicano le loro scelte durante le Cinque Giornate (tra cui il rifiuto della tregua proposta dagli austriaci) e annunciano l’incarico a Pompeo Litta di gestire la formazione di un esercito regolare lombardo. La data è il 31 marzo, quasi una settimana prima. Firmano Carlo Cattaneo, Enrico Cernuschi, Giulio Terzaghi e Giorgio Clerici. L’8 aprile, in prima pagina, è annunciato dal Governo Provvisorio l’intenzione di costruire un monumento ai caduti delle Cinque Giornate in Porta Tosa, di cui è comunicato anche il nuovo nome di Porta Vittoria. Quel giorno il “22 marzo” pubblica un articolo tradotto di Felicité de Lamennais, definito vicino al Ministro degli Esteri della Repubblica Francese, quell’Alphonse de Lamartine che già aveva dichiarato il suo paese alleato della nazione italiana nella rincorsa all’Unità.

Lo scritto del Lamennais è pieno di lodi e sproni: per ciò che gli italiani hanno saputo fare e d’aspettativa per un futuro che per l’autore non può avere altra conclusione che con la piena indipendenza italiana. La politica editoriale pare essere quella di concedere spazio ad entrambi gli schieramenti, se Fava si alterna Massarani e Rosa, gli scritti provenienti dalle repubbliche, francese e veneziana, fanno da contrappeso alle lettere di pontefice e sovrani. La prima fazione sembra essere leggermente preferita in redazione, oltre che risultare più coinvolta e coinvolgente nel commento della guerra e nella celebrazione, nell’incitamento e nell’invocazione di nuove, sempre più grandi libertà. L’8 aprile, intanto, i vari governi provvisori cittadini vengono disciolti, vanno a formare un nuovo ed unico Governo Provvisorio di Lombardia.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il 1848 sulle pagine del ''22 marzo''

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Informazioni tesi

  Autore: Diego Caldera
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Scienze Umanistiche
  Corso: Storia
  Relatore: Irene Maria Luisa Piazzoni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 57

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