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La dirigenza pubblica tra politica e amministrazione

La responsabilità dirigenziale e le sue conseguenze

Nell’ambito della legge di riordino della dirigenza statale (L. n. 145/2002) la materia della responsabilità dirigenziale è oggetto di interventi manipolativi, formulati nel tentativo di razionalizzare e/o semplificare le ipotesi di responsabilità e le relative sanzioni, così come già individuate nell’art. 21 del D. Lgs. n. 165/2001. Il legislatore nel varare un nuovo intervento di riordino della dirigenza pubblica, non poteva rinunciare ad una revisione anche delle norme in materia di responsabilità.

Fino al 1993 tale istituto era rimasto una mera dichiarazione di principio, tanto importante quanto concretamente irrealizzabile soprattutto per la mancata individuazione di adeguati strumenti per la verifica e la valutazione dei risultati, tutto ciò in un contesto di ritardata riorganizzazione complessiva della Pubblica Amministrazione. L’intervento riformatore del 1993 era indirizzato lungo due linee giuda fondamentali: la definizione dell’oggetto e dei contenuti della responsabilità dirigenziale in base al principio secondo cui la valutazione dell’attività deve avvenire in relazione al complessivo rendimento e non con riguardo all’esattezza e alla correttezza dei singoli adempimenti; obbligatoria istituzione, presso ogni amministrazione, di organismi tecnici di valutazione demandati ad operare valutazioni comparative di costi e di rendimenti dell’azione amministrativa e della gestione nonché a formulare le conseguenti valutazioni tecniche.

All’attività valutativa non viene attribuito solo un ruolo premiale (per l’attribuzione al dirigente del trattamento economico accessorio) o sanzionatorio (per l’applicazione delle misure previste nel caso di accertata responsabilità), ma anche l’importante compito di accertare la funzionalità dell’amministrazione per orientare l’azione futura. È in questo contesto che si inserisce la seconda legge delega nel 1997 con cui si assegna al legislatore il preciso compito di “riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”. Con la novella del 1998 erano state introdotte molteplici ed importanti novità in tema di responsabilità dirigenziale, ridefinita nella fattispecie, nella procedura e nelle misure sanzionatorie. Anche in tema di responsabilità la L. n. 145/2002 ha apportato significative modifiche alla disciplina previgente, prevista dal D. Lgs. n. 165/2001.

I presupposti di fatto della responsabilità sono stati ridotti al mancato raggiungimento degli obiettivi e all’inosservanza delle direttive. È scomparso ogni riferimento ai risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione. Il riferimento, nella precedente formulazione, agli obiettivi e ai risultati poneva a base della valutazione del comportamento dirigenziale le modalità con le quali era stato raggiunto il risultato e quindi faceva emergere a criterio discriminante anche l’equilibrato utilizzo delle risorse finanziarie ed economiche dell’azione amministrativa. Quanto all’inosservanza delle direttive, non è più richiesto l’attributo della gravità per la sua rilevanza, per cui anche il semplice scostamento dalle direttive impartite potrebbe essere sufficiente a configurare la violazione dell’obbligo di conformare l’attività dell’ufficio e la propria condotta agli indirizzi ricevuti. La dottrina ha segnalato che nella formulazione vigente il rafforzamento del giudizio fondato sull’elemento dell’inosservanza delle direttive fa leva sull’affidamento verso la persona del dirigente: ne risulta una maggiore rilevanza dell’elemento “fiduciario” della valutazione.

Così anche il rilievo attribuito al conseguimento dell’obiettivo sembra perdere ogni collegamento con i criteri oggettivi di valutazione, per essere assorbito, anch’esso, nell’area dell’osservanza delle direttive. Le due ipotesi di responsabilità sono ora equiparate ai fini della sanzione adottabile, che, nella misura più lieve, consiste nell’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico. In relazione alla gravità dei casi, l’amministrazione può procedere alla revoca dell’incarico, con collocamento a disposizione dei ruoli di cui all’art. 23 del D. Lgs. n. 165/2001, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo. Nulla si dice delle conseguenze del mancato rinnovo del contratto, mentre in caso di revoca dell’incarico, con collocamento a disposizione dei ruoli, potrà aversi la destinazione ad altra funzione, di direzione oppure ispettiva, di studio e ricerca o ad altri incarichi previsti dall’ordinamento.

L’apparato sanzionatorio risulta, nel complesso, meno gravoso ma più discrezionale rispetto alla precedente disciplina. Quanto riguarda la graduazione delle sanzioni, fatta salva la misura estrema del licenziamento, l’impossibilità del rinnovo dell’incarico è ora la sanzione minore, mentre prima questa era costituita dalla revoca, che è divenuta sanzione intermedia al posto della (scomparsa) esclusione dal conferimento di incarichi dirigenziali per almeno due anni. La maggiore discrezionalità si evidenzia nell’aver rimesso la valutazione di gravità, fatta dall’amministrazione, all’alternativa tra revoca e licenziamento. La gravità del comportamento del dirigente è, infatti, nell’attuale configurazione, ponderata su una tipologia ristretta a due parametri: mancato raggiungimento degli obiettivi; inosservanza delle direttive imputabili al dirigente. Ambedue i parametri rispondono a valutazioni ampiamente discrezionali dell’autorità di direzione politica.

Ora incentriamo la nostra attenzione sui profili sostanziali delle misure sanzionatorie. L’art. 3, comma 2 della legge n. 145/2002 incide sul detto sistema sanzionatorio, prevedendo una riduzione delle sanzioni, limitate ora a tre, in rapporto alla gravità del comportamento e dunque secondo un opportuno utilizzo del principio di proporzionalità. Scompaiono sia la sanzione della destinazione ad altro incarico del dirigente, che la sanzione media dell’esclusione del dirigente dal conferimento di incarichi corrispondenti a quello revocato per un periodo di due anni, mentre viene confermata, come sanzione minore “l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale”.

Il fatto che nulla si disponga circa l’immediata revoca, e parlandosi di “rinnovo” dell’incarico, potrebbe lasciar presupporre, sulla base di una interpretazione letterale, che la sanzione spieghi i suoi effetti solo al termine dell’incarico posseduto, il quale dunque viene conservato fino alla scadenza, con l’impossibilità, ma solo in questo momento, di procedere al rinnovo. In questi termini la sanzione sarebbe meno effettiva della precedente, la quale invece presupponeva in ogni caso la procedura di revoca. Dal punto di vista logico sembra congruo ritenere che l’impossibilità di rinnovo intervenga, presupponendola, solo a seguito di una preventiva revoca dello stesso.

Sembra cioè contraddittorio, anche in relazione al principio di buon andamento, che l’amministrazione consenta al dirigente responsabile di proseguire nell’incarico affidato, la cui scadenza potrebbe essere ancora lontana nel tempo. Per altro la nuova norma fa riferimento, in termini di identità, ad un’impossibilità di rinnovo per lo “stesso” incarico, e quindi ricorre la facoltà di conferire al dirigente, responsabili incarichi in ogni caso corrispondenti a quello precedenti nei termini e secondo le procedure previste dall’art. 19 D. Lgs. n. 165/2001, come modificato dall’art. 3, comma 1 della legge di riordino.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La dirigenza pubblica tra politica e amministrazione

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Informazioni tesi

  Autore: Antonio Damiano
  Tipo: Tesi di Dottorato
Dottorato in Scienza politica ed istituzioni in Europa
Anno: 2008
Docente/Relatore: Marcello D'Aponte
Istituito da: Università degli Studi di Napoli - Federico II
Dipartimento: Dipartimento di Scienze dello Stato
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 170

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