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Gli intangibles nella comunicazione d'impresa. Il Bilancio dell'Intangibile di Mythos Arkè.

La situazione delle società italiane circa la rappresentazione e valutazione delle risorse immateriali

Da un’analisi condotta su un campione di società italiane quotate (Mancini D., Quagli A., Marchi L., Gli intangibles e la comunicazione d’impresa, Franco Angeli 2003), avente l’obiettivo di verificare quali informazioni vengono diffuse, con quali strumenti e formati e con quale omogeneità tra le diverse società coinvolte, è emerso un esito non molto positivo, in quanto si sono riscontrate una scarsa quantità di informazioni relative al capitale intangibile, nonché una totale assenza di formalizzazione sia dei dati, sia dei metodi utilizzati per la raccolta degli stessi da parte delle società.
Nella maggior parte dei casi le informazioni sono puramente descrittive, limitate a pochi elementi del capitale immateriale e del tutto parziali. Manca una qualsiasi regolarità non solo spaziale, ovvero tra i documenti delle diverse società del campione, ma anche temporale, nel senso che la stessa società diffonde informazioni diverse da un anno all’altro e inerenti risorse diverse dal capitale intellettuale, rendendole completamente incomparabili tra loro.
L’analisi si è svolta analizzando in primo luogo i bilanci e le relazioni semestrali, oltre ad altri documenti quali i comunicati stampa, le presentazioni, il sito internet nella sezione “Investor Relations”. La lettura è stata di tipo estensivo, pertanto ha riguardato la totalità dei documenti, vista la mancanza di un’informativa esplicitamente dedicata al patrimonio intangibile.
Successivamente si sono ricercate informazioni relative non solo agli intangibles di per sé, ma più in generale anche alle attività aziendali, alle scelte imprenditoriali, alle strategie che in qualche modo hanno, o possono avere, influenza sul capitale intangibile, sia quando queste relazioni sono espresse, sia quando si possono desumere dalla natura delle operazioni o delle risorse coinvolte. Infine un’attenzione particolare è stata rivolta all’analisi del formato assunto dalle informazioni di natura volontaria, con riguardo alla distinzione tra dati formalizzati e descrizioni informali.
I risultati, classificati in base ad un punteggio da 0 a 3 lungo una scala di qualità delle informazioni, come precedentemente accennato, sono stati poco incoraggianti.
I documenti esaminati hanno mostrato un utilizzo molto scarso degli strumenti non istituzionali per fornire informazioni ulteriori rispetto ai dati già presenti nel bilancio. Comunicati stampa e presentazioni sono utilizzati soprattutto per commentare i dati di bilancio e sono emessi in prossimità della pubblicazione del rendiconto annuale o delle relazioni semestrali e trimestrali. Inoltre questi due documenti assumono spesso un tono pubblicitario piuttosto che informativo, sono tesi a fornire una migliore immagine dell’impresa e non a diffondere dati davvero nuovi sulla gestione passata e soprattutto su quella futura: in questo modo la diffusione di queste informazioni non permette di ridurre l’incertezza sul futuro andamento della società.
Il sito internet, nella maggior parte dei casi, si presenta come una vetrina per l’impresa e i suoi prodotti più che uno strumento informativo dei dati sulla gestione: risulta particolarmente utile per rendere i dati istituzionali maggiormente accessibili, ma non migliora la quantità e qualità delle informazioni rilasciate. Un’eccezione è data da alcune imprese che hanno inserito nella sezione “Investor Relations” un bilancio interattivo: una presentazione navigabile del bilancio d’esercizio che facilita il reperimento e la lettura dei dati, senza però aggiungere nulla di nuovo.
Per quel che riguarda i contenuti riscontrati nella lettura dei documenti, questi possono essere esaminati sotto diversi punti di vista.
In relazione all’oggetto delle informazioni diffuse, tendenzialmente non si fa riferimento al concetto di patrimonio immateriale, capitale intellettuale o simili, bensì alle singole risorse che ne fanno parte. Queste vengono presentate seguendo la classificazione tradizionale per tipologia, così come discende dalle categorie giuridiche che costituiscono i beni immateriali tradizionali. Le risorse immateriali innovative, invece, non vengono in genere citate, almeno non di per sé, ovvero come veri e propri intangibles: per esempio molte società presentano dati e informazioni in merito alla clientela, ma non si parla di portafoglio clienti come di una risorsa immateriale vera e propria.
Sa da un lato manca un riferimento al capitale immateriale come compagine unitaria, dall’altro le singole categorie di risorse sono presentate in estrema sintesi; manca, nella maggior parte dei casi, un’analisi dettagliata dei singoli elementi che compongono un gruppo di risorse: l’analisi manca sia a livello di distinzione tra risorse di diversa natura (per esempio non sempre si distinguono le componenti nella voce marchi, licenze e diritti simili), sia a livello di disaggregazione tra risorse uguali (per esempio il portafoglio marchi non sempre viene dettagliato sugli elementi componenti e sul valore di ciascuno di essi). I dati forniti sono quindi presentati senza effettuare né un’indagine sul valore del capitale intellettuale nel suo complesso, né un’analisi dettagliata sui singoli elementi che lo compongono.
In relazione all’ambito di riferimento dei dati, questi sono presentati a livello di singola società e anche di gruppo attraverso il bilancio consolidato, informazioni che tra l’altro sono obbligatorie. Tuttavia manca un’indicazione delle eventuali sinergie di gruppo relative agli intangibles, per esempio per quanto riguarda la presenza di centri di ricerca condivisi, lo sfruttamento comune dei marchi o dell’immagine del gruppo e così via. Maggiori informazioni sono presenti, invece, per quanto riguarda l’analisi dei dati rispetto alle singole aree di business, soprattutto quando diverse attività poggiano su una diversa dotazione di risorse immateriali.
In relazione al tipo di informazioni fornite, i contenuti non presentano un elevato grado innovazione. Come già precedentemente accennato, la disposizione delle informazioni tende a seguire la classificazione delle immobilizzazioni immateriali di derivazione contabile, visto che per lo più i documenti sono presentati come commento al bilancio; proprio il carattere di commento determina anche una natura eccessivamente descrittiva delle informazioni, che si trovano soprattutto nella relazione degli amministratori.
Inoltre, i dati forniti sono per lo più di natura statica e anche quando si fa esplicito riferimento alle variazioni intervenute, queste sono scarsamente chiare e approfondite (per esempio non sempre si riesce a capire se le variazioni derivano dalla somma algebrica di movimenti di segno opposto relativi a diversi elementi che compongono una voce sintetica, così come poco o niente viene dettagliato in merito alle motivazioni sottostanti ad eventuali operazioni di svalutazione). Non viene inoltre colta l’occasione per mettere in evidenza le relazioni, statiche e dinamiche, esistenti tra una o più risorse immateriali ed i risultati conseguiti, o viceversa il modo in cui i risultati possono influenzare il valore delle risorse immateriali (per esempio anche laddove si forniscono informazioni sul marchio, come fatto da Benetton, non vi è alcun riferimento a come l’andamento delle vendite influisce sul valore del marchio e viceversa).
Non vi sono neppure informazioni relative alle relazioni esistenti tra risorse immateriali di diverso tipo.
Solo nell’ambito farmaceutico si fa più attenzione a mettere in evidenza il modo in cui gli investimenti effettuati in Ricerca e Sviluppo portano, in un secondo momento, all’acquisizione di uno o più brevetti; anche in questo caso però le informazioni sono più che altro descrittive e non fanno riferimento ai valori coinvolti.
Infine, per quel che riguarda il formato delle informazioni, si possono osservare diversi aspetti. Innanzitutto, spesso, non è presente una sezione dei vari documenti esaminati che faccia esplicito riferimento al patrimonio intangibile o alle risorse immateriali. Questo avviene nella Nota Integrativa e, talvolta, nella Relazione degli amministratori con riferimento alle Immobilizzazioni Immateriali, ma più frequentemente le informazioni sono sparse nel testo, a dimostrazione del fatto che non rappresentano l’interesse principale, ma se ne tratta in relazione ad altri aspetti della gestione: per esempio per giustificare una plusvalenza di cessione di un ramo aziendale, un risultato economico particolarmente importante, un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.
Nella maggior parte dei casi, le informazioni fornite sono prive di un formato, sono per lo più commenti alla gestione e solo in casi particolari sono presenti dati numerici; nel caso in cui questi ultimi compaiano, riguardano però altri aspetti della gestione, più o meno collegati con lo sfruttamento delle risorse intangibili.
L’analisi ha permesso, tra le altre cose, di verificare l’assoluta mancanza di un qualsiasi standard riconosciuto in ambito di informativa volontaria, soprattutto per quel che riguarda gli intangibles, ma è stata riscontrata una totale disomogeneità nei dati presentati dalle diverse imprese, sotto tutti i punti di vista: contenuti, formato, oggetto delle informazioni. Non solo, è importante sottolineare che le stesse società, libere da vincoli di natura legislativa, modificano da un esercizio all’altro la struttura ed i contenuti dei documenti non istituzionali, impedendo, in questo modo, un confronto temporale utile per trarre ulteriori notizie in merito alla dinamica degli intangibles.
Una tale informativa volontariamente diffusa dalle imprese in merito alla dotazione di intangibles non può definirsi utile per la valutazione della gestione, delle strategie aziendali, del valore delle società. I dati esposti, infatti, oltre ad essere pochi sono qualitativamente scadenti, a causa soprattutto della mancanza di un adeguato formato necessario ad una loro efficace rappresentazione; mancano metodi, consolidati e generalmente accettati, di rilevazione, valutazione e rappresentazione del patrimonio intangibile, così come indicazioni da parte di organi professionali o accademici capaci di raccogliere consensi ed iniziare a diffondere un comportamento comune a tutte le società. Prima ancora che strumenti formali, manca una vera e propria cultura della comunicazione volontaria, che vada oltre la semplice diffusione di dati a scopo “pubblicitario” al fine di migliorare l’immagine aziendale. È necessario fornire indicazioni non solo in merito alla tipologia dei dati da diffondere, ma anche alle motivazioni della comunicazione volontaria. La consapevolezza dell’utilità generale di una maggiore trasparenza della gestione aziendale e delle decisioni manageriali, anche con riscontri di tipo quantitativo affidabili e veritieri, è il primo passo per giungere ad un vero e concreto impegno delle imprese in questa direzione.
Pur essendo emersa una situazione piuttosto critica per quel che riguarda la valutazione e rappresentazione delle risorse immateriali da parte delle società italiane, non bisogna però dimenticare le poche eccezioni riscontrate. Una delle più significative è sicuramente l’esperienza di Brembo S.p.A., società leader nella produzione di impianti frenanti, che dal 1999, in collaborazione con Summit, redige un Bilancio dell’Intangibile, inizialmente per uso interno, ma successivamente (dal 2004) reso pubblico annualmente insieme con il tradizionale bilancio d’esercizio.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Gli intangibles nella comunicazione d'impresa. Il Bilancio dell'Intangibile di Mythos Arkè.

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Informazioni tesi

  Autore: Mario Mescola
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze dell'economia
  Relatore: Federico Fontana
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 231

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capitale intellettuale
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