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Italo Calvino lettore dell'Ariosto

La Luna in Ariosto e Calvino

Tra i mondi fantastici che ispirano l'immaginazione di Ariosto e di Calvino vi è senza dubbio la Luna, pianeta parallelo alla Terra sul quale spesso si spostano le vicende narrate. L'interesse per il satellite inizia dai tempi antichi, infatti il primo viaggio letterario lunare è stato scritto dallo scrittore greco Luciano di Samosata che nella sua Storia Vera descrive lo sbarco insieme ai suoi compagni greci sulla Luna per mezzo di una nave. Egli è solo il primo di una lunga serie di intellettuali che riprenderanno la Luna come un universo di avventure irreali o un luogo che consente all'uomo di allontanarsi dalla realtà terrestre.

Anche Ludovico Ariosto è annoverato tra i cosi detti "poeti lunari" tra i quali ricordiamo uomini di scienza come Galielo Galilei che con il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondoaffascinò Calvino tanto da ricordarlo nel suo saggio come il maggiore esponente tra i poeti lunari; e intellettuali come Giacomo Leopardi con il suo Canto notturno di un pastore errante dell'Asia o il canto Alla luna nei quali si rivolge al pianeta con un approccio poetico e non scientifico, sperando di trovare le giuste risposte riguardo una natura troppo distruttiva ed egoista nei confronti dell'umanità.

La Luna ispira i poeti di ogni generazione e così anche Ariosto, il quale dedica l'intero canto XXXIV dell'Orlando Furioso all'avventura del cavaliere Astolfo che con l'aiuto di San Giovanni Evangelista e l'Ippogrifo raggiunge la Luna per recuperare il senno di Orlando. Il viaggio di Astolfo ricalca il topos del viaggio ultramondano che nei poemi della tradizione aveva trovato grande fortuna, basta pensare al viaggio negli inferi di Enea nell’Eneide o a quello di Dante nella Commedia. A differenza Ariosto ribalta tale tematica, infatti il viaggio ultraterreno di Astolfo non è l'occasione per riflettere sulla vita terrestre, ma ha due obiettivi principali: da una parte il recupero del senno di Orlando, affinché egli possa tornare savio e sconfiggere i pagani nella guerra santa; e dall'altra il viaggio non è altro che un escamotage poetico dell'autore attraverso il quale parodizza il mondo terreno, grazie ad una visuale più ampia della Terra che si ha dalla Luna.

Quest'ultima diventa così teatro dell'impresa più importante del poema e Ariosto dimostra grande genialità nell'ambientarla su un altro pianeta, evidenziando ulteriormente lo straniamento comunicato dall'opera; e nel descrivere tale mondo strettamente collegato alla Terra. Infatti i vizi e le vanità umane, responsabili della perdita del senno umano, sono inspiegabilmente conservate sulla Luna in ampolle grandi o piccole a seconda della quantità:

« Le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco, i vani desideri sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, là su salendo ritrovar potrai.»

La morale conclusiva del canto sembra indicarci la Luna come un mondo simile alla Terra, con altri laghi, altri fiumi, altre campagne ma dove regna una certa stabilità; a differenza del nostro pianeta sul quale non è rimasta che follia, poiché tutta la razionalità è ormai conservata sulla Luna. Astolfo sembra essere l'unico al quale è concessa questa verità, infatti il suo personaggio è spesso giudicato metafora della figura dell'intellettuale o dello scrittore che, distaccandosi dalla realtà, comprende in modo saggio i pregi e i difetti del mondo.

Il canto di Astolfo ha una grande importanza tematica poiché ricalca il tono fantastico che distingue l'Ariosto dai suoi contemporanei. Non a caso anche Calvino riserverà una grande attenzione a tale impresa e al personaggio ariostesco che comparirà non solo ne Il castello dei destini incrociati nella Storia di Astolfo sulla luna, ma anche nel capitolo Il bosco sull’autostrada nel romanzo Marcovaldo dove l’agente di vigilanza porterà proprio il nome di Astolfo. Inoltre Calvino trarrà spunto dalla materia lunare per la composizione di molti racconti nei quali i personaggi sono spesso intenti all'osservazione della Luna o del cosmo.

L'interesse per Ariosto e per le scienze più in generale generano le storie di Palomar il quale osserva dal terrazzo di casa la luna nel pomeriggio seguendo le sue fasi fino a raggiungere la giusta fulgidità nella notte. Il nome del personaggio non è casuale, infatti esso deriva dall'osservatorio astronomico del Monte Palomar in California scelta volta ad evidenziare il grande amore del protagonista per l'astronomia. Allo stesso modo ricordiamo anche La distanza della Luna primo capitolo de Le Cosmicomiche (1965) nel quale il satellite è descritto con fattezze enormi a causa dell'eccessiva vicinanza alla Terra, tanto che sembra schiacciarla e i personaggi possono saltare da un pianeta all'altro.

Nel racconto la Luna diventa simbolo delle forze irrazionali che esercitano la loro attrazione sui protagonisti della storia, primo fra tutti Qfwfq dalle fattezze aliene e abitante dell'interno universo. Ancora una volta la Luna torna in Marcovaldo (1963), dove nel capitolo La Luna e lo Gnac il personaggio dalla finestra della sua casa spiega ai figli la Luna e le costellazioni astronomiche, che si confondono con le luci a intermittenza della città. In questo racconto trova spazio la metafora della natura contrapposta all'artificialità del mondo industriale che inondò il Novecento, infatti le luci segnaletiche della città in particolar modo l'enorme scritta "Gnac" che Marcovaldo e i suoi figli vedevano dalla loro casa e che illuminava il vicinato, avrà la meglio sul bagliore notturno della luna e delle stelle, creando un nuovo panorama al quale l'uomo moderno andava pian piano abituandosi e che, ancora oggi, sussiste nelle grandi metropoli.

Più volte nei suoi scritti Calvino inciterà la prosa galileiana che, secondo lo scrittore, sembra rarefarsi ogni volta che parla della Luna donando al lettore una sensazione di leggerezza, la stessa che Calvino riprende nella descrizione della città di Lalage nelle Città Invisibili, città sognata dal Gran Kan nella quale vi sono guglie con pennacchi sottili fatti in modo che la Luna possa posarsi e sostare su di loro, la particolarità di questa città è proprio quella di vivere a stretto contatto col satellite che, negli anni, l’ha fatta crescere in leggerezza.

Anche nel primo capitolo delle Lezioni Americane riguardante la Leggerezza, Calvino lascia spazio ai così detti poeti lunari citando tra questi Cyrano de Bergerac ricordato non solo come il precursore della letteratura fantascientifica, ma anche come seguace dell’astronomia, tanto da inventare una serie di sistemi ingegnosi per salire sulla Luna. Questa è definita un pianeta eclettico che viene accuratamente descritto nei suoi racconti superando per immaginazione i predecessori Luciano di Samosata e Ludovico Ariosto.
La passione lunare di Calvino e l'avventura di Astolfo tornano nel romanzo breve Il castello dei destini incrociati, dove nel capitolo dedicato al cavaliere e alla sua ascesa alla luna, il satellite è descritto come un deserto:

«La Luna è un deserto, […] da questa sfera arida parte ogni discorso e ogni poema; e ogni viaggio attraverso foreste battaglie tesori banchetti alcove ci riporta qui, al centro d’un orizzonte vuoto.»

Scenario che ancora una volta ricorda l'irrequietezza dell'io moderno lontano dal sollievo di un mondo fantastico come lo era la luna in tempi passati. Probabilmente il grande interesse di Calvino per le scienze e, in particolare, per la materia lunare è stato influenzato dalle grandi scoperte scientifiche degli anni Sessanta tra le quali si annovera lo sbarco lunare di Armstrong nel 1969. Forse quelle immagini ispirarono la fantasia di Calvino più di quanto possiamo immaginare.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Italo Calvino lettore dell'Ariosto

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Informazioni tesi

  Autore: Federica Girardi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Giuseppe Leonelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 82

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