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Aspetti Psicosociali e Girudici del Mobbing nella Pubblica Amministrazione. Analisi Comparata

La responsabilità del datore di lavoro per i danni da mobbing

Nel richiamare l'art.2087 c.c., già ampiamente trattato nelle pagine precedenti, si può ricondurre ad esso la responsabilità giuridica del datore di lavoro nelle ipotesi di mobbing.

Difatti, l'ordinamento giuridico italiano, oltre al generale principio del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. la cui violazione è fonte di responsabilità extra-contrattuale, comprende ogni ipotesi di comportamento dedotto in obbligazione, in virtù del rapporto contrattuale, a carico del datore di lavoro di comportarsi secondo il generale dovere di correttezza di cui all'art. 1175 c.c.

L'obbligo di protezione dei diritti costituzionali non deve emergere solo nella fase dell'illecito contrattuale, quando ormai la lesione della sfera giuridica altrui è avvenuta, ma soprattutto nella fase di concretizzazione del rapporto poiché, da tale obbligo, discende la capacità di orientare le parti, prevenire, assicurare tutela.

La responsabilità da mobbing a carico del datore di lavoro, come responsabilità contrattuale non è in dubbio – poiché ben chiara nell'ex art. 2087 c.c. – e si esplicita nell'obbligo di non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana insieme all'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore. Si richiede pertanto al datore di lavoro un comportamento attivo.

Sulla base di quanto sopra, il datore di lavoro risponde in via contrattuale ed extracontrattuale del danno esistenziale patito dalla lavoratore vittima di un comportamento persecutorio qualificabile in termini di mobbing.

Il danno si configura ogni volta che il lavoratore viene aggredito nella sfera della dignità. Non solo, la giurisprudenza ha voluto offrire la massima tutela al danneggiato offrendo il cumulo delle responsabilità.

È, altresì, possibile scegliere la più conveniente tra l'azione ex contractu e l'azione ex delicto (Gentile, 2009) laddove, nella responsabilità extracontrattuale si ha una violazione di un dovere generico, mentre nella responsabilità contrattuale si configura la violazione di un obbligo specifico. Ne consegue che nel primo caso il risarcimento costituisce reazione primaria all'illecito, mentre nel secondo rappresenta una misura sussidiaria che interviene a seguito dell'inadempimento.

Va a questo punto considerato se il comportamento del datore di lavoro violi un obbligo di natura contrattuale (ad es. demansionamento, trasferimento privo di motivazione, esclusione dallo sviluppo di carriera, etc.) e in questo caso la tipologia di responsabilità azionabile sarà quella ex contracto oppure se il comportamento mobbizzante non ha nulla a che vedere con gli obblighi imposti contrattualmente al datore di lavoro o sia riconducibile alla condotta propria di altri dipendenti che agiscono autonomamente (come casi di isolamento, assenza di comunicazione, atteggiamento ostile dei colleghi, esclusione dalla quotidianità, etc.) e allora in questo caso va invocato l'art. 2043 c.c. In ogni caso la giurisprudenza, nel caso di responsabilità di tipo contrattuale, ove si discuta di una condotta di un altro lavoratore, non ritiene di invocare la culpa in eligendo o in vigilando scaturente dall'art.2049 c.c. Infatti già con l'art. 2087 c.c., che attiene al rispetto della personalità morale e costituisce principio di civiltà giuridica, anche quando la condotta mobbizzante non è posta in essere dal datore di lavoro o dal vertice aziendale, il datore di lavoro stesso, dovendo fornire un'adeguata tutela delle condizioni di lavoro, dovrà adoperarsi facendo tutto ciò che è in suo potere per impedire o reprimere la realizzazione di comportamenti vessatori a danno dei suoi dipendenti (Gentile, 2009).

In riferimento al raffronto tra lavoro pubblico e lavoro privato, abbiamo già visto che il datore di lavoro pubblico è tenuto ad adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e morale del prestatore di lavoro (ex art. 2087 c. c.) ed è responsabile anche per il fatto illecito dei propri dipendenti. Peraltro, è noto che, in seguito all'intervenuta privatizzazione del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (d. Lgs. n. 29/93), il lavoratore pubblico gode delle medesime prerogative ed ha le medesime tutele del lavoratore privato.

Così, ove vengono violate le disposizioni del testo unico in materia di pubblico impiego e/o del codice civile, lo Stato o l'ente pubblico datore di lavoro è responsabile dei danni causati al lavoratore al pari del datore di lavoro privato.

Non solo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 28 della Costituzione, la responsabilità dello Stato e/o dell'ente pubblico concorre con quella personale e diretta del dipendente autore del comportamento illecito: “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato ed agli enti pubblici”.

Questo significa anche che l'amministrazione può rivalersi, innanzi alla Corte dei Conti, nei confronti dell'amministratore o del dipendente pubblico che determini, in sede civile, con il suo comportamento, la condanna della stessa amministrazione al risarcimento del danno a favore del privato.

In caso di conferma del giudizio, l'eventuale accertamento di responsabilità dell'agente pubblico potrà determinare nei suoi confronti anche l'applicazione di sanzioni disciplinari e in alcuni casi addirittura la revoca dell'incarico.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Aspetti Psicosociali e Girudici del Mobbing nella Pubblica Amministrazione. Analisi Comparata

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Informazioni tesi

  Autore: Annarita Masieri
  Tipo: Tesi di Master
Master in MASTER IN RISORSE UMANE E ORGANIZZAZIONE
Anno: 2016
Docente/Relatore: Antonio Palomba
Istituito da: Università degli Studi Guglielmo Marconi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 128

FAQ

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