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Voto europeo e voto nazionale: il caso dell'Italia

Natura, formato e funzionamento del sistema partitico europeo

Nei parlamenti nazionali la formazione di maggioranze è il presupposto per l’esercizio della funzione di indirizzo politico nei confronti dell’esecutivo. Ma a causa dell’assenza di responsabilità dell’esecutivo comunitario di fronte all’istituzione di rappresentanza parlamentare, l’indirizzo politico è una parte debole del ruolo istituzionale del Parlamento europeo. Ciò fa sì che la spinta verso l’integrazione partitica provenga unicamente dall’esercizio dell’attività legislativa. La formazione di maggioranze per perfezionare o bloccare gli atti comunitari non può essere affidata alla spontanea convergenza delle volontà dei singoli deputati e questo è ancor più vero per gli atti emanati con le procedure di cooperazione, codecisione, parere conforme e bilancio che necessitano dell’approvazione della maggioranza assoluta dei membri del Parlamento e non di quella dei soli presenti. Se il fine della competizione partitica nell’attuale sistema comunitario consiste solo nella formazione della volontà dell’istituzione parlamentare, attraverso schieramenti di maggioranza, e non nel controllo politico delle istituzioni che hanno il potere esecutivo o di governo dell’Unione, ne deriva che i partiti competono solo all’interno dell’arena parlamentare, poiché un’ arena governativa ancora non esiste (anche se la procedura di nomina della Commissione introdotta con il Trattato di Maastricht ha comportato una certa intrusione dei partiti nella formazione di questa istituzione). Dunque, se nelle democrazie competitive il sistema partitico è il prodotto di più arene istituzionali nelle quali i partiti competono, nell’Unione europea invece la competizione è confinata alla sola arena parlamentare. Ciò è causa a sua volta dell’incompiutezza del sistema partitico comunitario e del fatto che l’integrazione partitica si è sviluppata soprattutto a livello dei gruppi parlamentari, non riuscendo a svilupparsi al di fuori di essi un’attività incisiva.
Se è vero che non esiste un’arena competitiva a livello governativo, è anche vero che non esiste un’unica arena elettorale europea, ma tante arene elettorali quanti sono gli Stati membri, a causa soprattutto dell’esistenza di sistemi elettorali diversi per ogni Stato. Inoltre gli euro-partiti non hanno un’autonoma responsabilità per l’organizzazione delle elezioni europee, che di fatto sono gestite dai partiti nazionali. Si continua a parlare di elezioni di second’ordine poiché la caratteristiche e la dimensione dei gruppi dipendono dalle fortune elettorali dei partiti nazionali e delle loro scelte strategiche nella politica domestica. Ne deriva che un “privilegio” di natura politica è l’irresponsabilità dei Gruppi di fronte all’elettorato. Gli euro-deputati e i gruppi non rendono conto dei loro voti in Parlamento agli elettori ed è risaputo che i deputati di un’intera delegazione possono votare discostandosi dalla posizione espressa dal gruppo senza provocare al suo interno una crisi politica. Per tali motivi i gruppi non sono spinti a sviluppare un comportamento disciplinato e delle robuste strategie competitive.
Tuttavia contro tale tendenza premono le caratteristiche del processo decisionale. Dalla circostanza per la quale l’integrazione è spinta solo dalla partecipazione del Parlamento all’attività legislativa, deriva un’altra caratteristica della competizione partitica europea. Trattandosi solo di “partecipazione” all’ iter legislativo, i gruppi sono spinti a fare del Parlamento europeo un’istituzione quanto più possibile coesa al suo interno affinché questa possa effettivamente esercitare i suoi poteri e si rafforzi nei confronti delle altre istituzioni e dei governi nazionali. Il Parlamento europeo infatti può intervenire, insieme alla Commissione e al Consiglio, nella produzione legislativa solo se è capace di organizzare un’ampia maggioranza al voto. Ciò incentiva la formazione di un sistema politico moderato. Affinché infatti il Parlamento esprima un’ ampia maggioranza, i gruppi si comportano in maniera responsabile, dando vita così ad un sistema basato su una dinamica centripeta e convergente.
Accanto agli incentivi istituzionali che premono per una maggiore integrazione tra i partiti, esistono tuttavia diversi ostacoli.
Attinà utilizza il termine «privilegi politico-istituzionali» nel definire quelle condizioni che mantengono la frammentazione nazionale dei partiti nel Parlamento europeo e che accrescono la discontinuità, ovvero la separazione tra i due sistemi politici, quello statale e quello europeo.
In primo luogo tra i partiti di uno stesso gruppo o famiglia politica esistono molte differenze dovute alle specifiche caratteristiche sociali e culturali e alle condizioni strutturali dei sistemi partitici statali che rendono complessa e frenano l’integrazione. La specificità di alcune fratture socio-economiche statali allontana la cooperazione tra partiti, che dal canto loro non intendono minare il proprio rapporto con i gruppi sociali di riferimento. Inoltre, la competizione partitica assume contorni diversi a seconda del livello considerato. Ciò è dovuto in particolare all’esistenza di sistemi elettorali diversi, con un grado di proporzionalità differente. Ciò può comportare ad esempio che ad un livello un partito corre da solo e ad un altro stringa delle occasionali coalizioni con altri partiti, oppure delle durature alleanze elettorali. In generale le strategie dei partiti a livello nazionale spesso costituiscono degli ostacoli alla cooperazione nel Parlamento europeo. Può verificarsi ad esempio che due partiti, che nel sistema interno si trovano l’uno nella maggioranza parlamentare e l’altro all’opposizione, nel Parlamento europeo siano costretti ad appartenere allo stesso gruppo, creando problemi di coordinamento, oppure rinuncino a ciò facendo aumentare il numero dei gruppi, nonostante l’affinità ideologica. La frammentazione dell’arena elettorale europea consente la sopravvivenza di tutte le componenti rilevanti dei sistemi politici nazionali. Il sistema partitico europeo è in tal modo fortemente condizionato dai singoli riallineamenti tra partiti che hanno luogo a livello nazionale. E l’alto grado di proporzionalità delle leggi elettorali statali amplifica tale fenomeno.
[…]
In conclusione, quello europeo è un sistema multipartitico e moderato, nel quale esiste un elevato margine di elasticità di strategia. Sono possibili diverse coalizioni di maggioranza, poiché non sono richieste maggioranze esclusive di governo. I due maggiori partiti, che da soli non raggiungono la maggioranza assoluta, possono allearsi con i partiti minori oppure allearsi tra loro, per perseguire il fine politico fondamentale e unico del Parlamento europeo, ossia approvare gli atti legislativi. I partiti possono adottare strategie flessibili e una disciplina permissiva, perché non appoggiano un governo e non devono dar conto agli elettori del loro comportamento in parlamento.
Tirando le somme, l’argomento affrontato in questa prima parte della trattazione può essere concluso con la seguente breve considerazione. Quanto più l’Unione Europea avanza lungo il continuum tra unioni tradizionali di Stati - unioni federali democratiche, tanto più il Parlamento europeo acquista funzioni sostanziali di espressione della volontà sugli atti dell’Unione e sulla sua “costituzione”. Tuttavia ciò non è sufficiente. Il Parlamento potrà realmente svolgere la funzione di rappresentanza democratica solo se la politica partitica si estende nel sistema politico nel suo complesso e non resta confinata all’interno della sola arena parlamentare. Questo obiettivo sembra tuttavia ancora alquanto lontano.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Voto europeo e voto nazionale: il caso dell'Italia

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Informazioni tesi

  Autore: Vanessa Aiosa
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze internazionali e diplomatiche
  Relatore: Francesca Longo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 164

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