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L'unificazione amministrativa del Regno d'Italia: tra autonomie locali e centralismo

La legge del 7 ottobre 1848

La pubblicazione dello Statuto Albertino trasformò la forma di Stato del Regno di Sardegna. Quella che fino ad allora era stata una monarchia amministrativa, cioè «un sistema dove un forte governo centrale controllava e disciplinava ogni organismo periferico, con la partecipazione del notabilato locale tramite assemblee parzialmente elettive, dove avrebbero trovato rappresentanza gli interessi locali», diventò una monarchia costituzionale rappresentativa, in cui fu istituito un Parlamento che controllasse il Governo, tramite un rapporto fiduciario.

Ciò, inevitabilmente, aveva determinato una frattura ideologica rispetto al periodo precedente. Ci si trovò, infatti, nella difficile situazione di far coesistere all’interno dello Stato due concezioni molto distanti tra di loro: da un lato, vi era il rispetto del tradizionale centralismo di matrice francese, che prevedeva la garanzia di esclusività del potere esecutivo nelle mani del re; dall’altro, si fecero strada le novità ideologiche importate dal parlamentarismo inglese, riguardanti l’idea di un potere rappresentativo-legislativo, da assicurare ad un governo di gabinetto, avente cioè un rapporto fiduciario con il parlamento. Riportata nel computo dell’amministrazione periferica, questa concezione parlamentarista comportava la necessità di estendere ai corpi locali il criterio elettivo.

Era dunque necessario rimettere mano, in funzione dell’ascesa di questo secondo orientamento, e della sopraggiunta natura costituzionale del Regno, alla legge comunale e provinciale del 27 novembre 1847 che, come detto, non era più applicabile.

Poco dopo la pubblicazione dello Statuto, è utile ricordare che il Regno di Sardegna fu coinvolto in quella che sarà nota come prima guerra d’indipendenza italiana, a sostegno di tutti gli altri Stati della penisola, in opposizione all’Impero austriaco. Tale condizione di eccezionalità determinò l’investitura al governo sabaudo di tutti i poteri legislativi ed esecutivi; ciò fu stabilito dalla legge del 2 agosto 1848. Fu proprio in virtù di questi pieni poteri che, su proposta del ministro dell’Interno, Pier Dionigi Pinelli, fu emanato il decreto legislativo 7 ottobre 1848. Si era allora consapevoli che l’iter di approvazione della legge mancasse del fondamentale contributo parlamentare, e ciò fece propendere per il conferimento alla stessa di un carattere provvisorio, come evidenziato anche nel titolo stesso, che riorganizzava l’ordinamento comunale e provinciale del Regno «finché sia dal parlamento definitivamente diposto a tal riguardo».

L’obiettivo principale che mosse il legislatore nella redazione della legge del 7 ottobre 1848 fu quello di potenziare ed estendere il criterio elettivo, in modo da rendere più diretto il principio rappresentativo all’interno delle amministrazioni pubbliche. Ciò fu realizzato grazie all’adozione del sistema di elezione diretta per tutti i Consigli degli enti locali; fu dunque scardinato l’impianto amministrativo istituito con la legge del 1847, che prevedeva l’elezione diretta soltanto dei consiglieri comunali: ora, i cittadini potevano eleggere i propri rappresentanti anche nei Consigli provinciali e divisionali.

Rispetto al 1847, dunque, veniva meno anche quel ruolo di tramite tra gli interessi locali e il governo centrale, che era previsto per il Consiglio di Stato, grazie alla presenza al suo interno di due consiglieri divisionali. La struttura organizzativa progettata nel 1847, inoltre, poneva l’intendente in seconda linea per quanto riguarda i ruoli politici, conferendogli in maniera prioritaria compiti amministrativi; ora, i cambiamenti imposti dalla riforma del 1848 ne richiesero un coinvolgimento più attivo, soprattutto in funzione della sua capacità di orientare l’opinione pubblica, qualità, questa, essenziale per “gestire” le fasi elettorali.

Di non secondaria rilevanza è quest’ultima affermazione, in quanto, come fa notare il De Cesare, l’obiettivo iniziale della riforma di concedere maggiori autonomie agli enti locali non fu poi confermato dalla gran parte delle «disposizioni adottate, che costituivano, per larga parte, il rafforzamento del potere centrale». Se da un lato, infatti, fu garantita ai cittadini l’estensione del criterio elettivo per tutti gli organi collegiali locali, dall’altro il governo manifestò la volontà di mantenere saldo il controllo sulle amministrazioni periferiche. Ciò, come detto, fu eseguito concedendo maggiori poteri in ambito politico agli intendenti. In tutto questo c’era un non troppo celato recupero di influenze provenienti dall’amministrazione napoleonica, che si evidenzia soprattutto in una caratteristica: data la realizzazione di organi collegiali elettivi all’interno di Divisioni, Province e Comuni – ossia i Consigli – si previde l’istituzione, al loro vertice, di organi monocratici di investitura statale, cioè gli intendenti generali per le Divisioni, gli intendenti provinciali per le Province e i sindaci per i Comuni. Queste figure permettevano al governo centrale di mantenere un ferreo controllo su organi nominati ormai per intero dalla collettività.

Si è detto della ratio della legge del 7 ottobre 1848, si è detto anche della sua applicazione non esattamente coerente con le volontà iniziali; vale a questo punto la pena di analizzare brevemente le differenze principali che intercorrono con la mai applicata legge 27 novembre 1847. Se nel 1848 l’amministrazione dei Comuni, sostanzialmente, rimase invariata, le maggiori diversità rispetto al 1847 riguardarono le Province e le Divisioni. Innanzitutto, se la legge del 1847 aveva conferito ad entrambe la qualità di corpo morale, – cioè la «facoltà di possedere un'amministrazione propria “che ne regge e rappresenta gli interessi”» – ora questa caratteristica veniva lasciata solamente alle Divisioni, retrocedendo nuovamente la Provincia ad ente dalla scarsa consistenza nel novero delle amministrazioni locali.

Altra importante differenza, del resto già anticipata in precedenza, fu il cambiamento nella composizione dei relativi Consigli, non più costituiti da membri rappresentativi del consiglio di grado inferiore, ma eletti direttamente dai cittadini. I Consigli provinciali e divisionali avevano poi la facoltà di nominare, al proprio interno, un presidente, ma i relativi intendenti godevano sempre della prerogativa di intervenire alle loro sedute in rappresentanza del governo centrale, divenendo, di fatto, dei regi commissari.
Prima di concludere l’analisi della legge del 7 ottobre 1848, è interessante evidenziare un aspetto critico, che da essa scaturisce, sul tema della compatibilità degli incarichi. [...]

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L'unificazione amministrativa del Regno d'Italia: tra autonomie locali e centralismo

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Informazioni tesi

  Autore: Fabio Cirina
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Renato Moro
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 99

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Parole chiave

risorgimento
regno d'italia
unità d'italia
cavour
centralizzazione
unificazione amministrativa
centro e periferia
amministrazione francese

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