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Disoccupazione Digitale: Cause, conseguenze e soluzioni

La settimana lavorativa: lavorare poco, lavorare meglio, lavorare tutti

Una delle politiche attive che sta prendendo vigore in questo periodo storico è quella sulla diminuzione dell'orario di lavoro settimanale.

In Germania grazie all'accordo sull'orario di lavoro, definito da molti storico, siglato il 6 febbraio 2018 tra il sindacato dei metalmeccanici “Ig Metall” e gli industriali, la settimana lavorativa sarà solo di 28 ore, per chi ne vorrà fare richiesta. C'è da dire che tutto questo vale per un periodo limitato da 6 a 24 mesi ma rappresenta sicuramente una sperimentazione importante.

Questa è anche una delle proposte più progressiste, che potrebbe portare notevoli benefici sulla diminuzione dei livelli di disoccupazione oltre ad avere ripercussioni positive sulla condizione del benessere sociale.

L'idea di ridurre l'orario di lavoro settimanale in realtà non è poi così innovativa, infatti è già stato fatto in passato. Il primo a rendersi conto che meno ore di lavoro avrebbero portato benefici fu Henry Ford, il magnate americano dell'industria automobilistica e fervido capitalista. In tempi nei quali il tempo libero era un concetto sconosciuto ai lavoratori, dato che si lavorava 7 giorni su 7, lui introdusse la settimana lavorativa di 5 giorni. Ford si comportò in questa maniera per ragioni economiche, aveva capito che con più tempo libero i lavoratori avrebbero consumato di più a beneficio dei capitalisti. Naturalmente, ci furono benefici economici ma anche la qualità della vita degli operai migliorò: infatti nel 1933, sull'onda del successo ottenuto da questa misura, per poco non passò una proposta di legge che prevedeva una settimana lavorativa di 30 ore negli USA, caduta dopo le pressioni degli industriali.

Tutti pensavano che in futuro la settimana lavorativa sarebbe stata sempre più corta. In realtà, a partire dagli anni 80 la diminuzione dell'orario di lavoro si è fermata e anzi abbiamo assistito ad un aumento delle ore lavorative e una conseguente diminuzione del tempo libero e in questo, la tecnologia, lo abbiamo già visto, ha influito pesantemente. Questo potrebbe essere stato causato dalla poderosa crescita economica che i paesi hanno sostenuto attraverso un consumo sempre maggiore da parte degli individui che hanno scelto di consumare piuttosto che avere più tempo libero. Seguendo questo ragionamento, se lavorassimo tutti di meno, i nostri standard di vita diminuirebbero e con loro crollerebbe tutto l'apparato sociale degli stati.

In realtà un altro “esperimento” del 1930 attuato dall'imprenditore dei corn-flakes W. K. Kellogg, ci dimostra che non è così. Kellogg introdusse, in uno dei suoi stabilimenti, delle giornate lavorative di sei ore. I risultati furono estremamente positivi soprattutto dal punto di vista della produttività che era cresciuta così tanto che, nonostante le due ore in meno di lavoro ogni giorno, i lavoratori potettero ricevere uno stipendio uguale a quello che percepivano lavorando otto ore. Questo è dovuto al fatto che i lavoratori, avendo carichi di lavoro minori, possono essere più lucidi, commettere meno errori, fare scelte migliori e di conseguenza essere più produttivi. “Ci sono forti indizi sul fatto che in una moderna economia della conoscenza persino quaranta ore alla settimana siano troppe” (Bregman, 2017, 118).

Rutger Bregman in realtà sostiene che lavorare di meno apre le porte ad una serie enorme di miglioramenti non solo economici ma anche dal punto di vista sociale. Con settimane lavorative più esigue si potrebbe combattere il problema della disoccupazione tecnologica e del precariato. È evidente che, semplificando al massimo, con meno ore di lavoro in capo ad una singola persona se ne liberano altre per molti disoccupati. Lavorare di meno inoltre incide sui livelli di stress, che abbiamo visto acuirsi nei precari 4.0. I soggetti con più tempo libero svolgono attività diverse dal produrre e consumare, divenuti gli imperativi, bensì si dedicano alla cura del partner, della famiglia e al relax. Consumo e produzione devono avere un ruolo minore nelle attività degli individui se vogliamo massimizzare il benessere e minimizzare i livelli di stress. (ivi,118-119).

Un altro dato, che non bisogna ignorare e che deve farci riflettere, è che i paesi con la settimana lavorativa più lunga sono anche quelli dove le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza sono maggiori. Appare plausibile che la profezia di Keynes, ovvero che entro il 2030 la settimana lavorativa sarà di appena quindici ore, possa avverarsi, e se non proprio nel 2030, lo farà nell'arco di questo secolo. La tecnologia potrebbe rendere possibile tutto questo attraverso il mantenimento di alti livelli di produttività a fronte di meno ore di lavoro umano. Naturalmente queste politiche non basteranno. Puntare sui settori più forti, migliorare i processi di formazione, investire nelle strutture intermediarie tra domanda è offerta di lavoro dev'essere fatto, ma questo potrà servire solo ad indebolire gli effetti della disoccupazione tecnologica. Le imprese, le aziende, il mondo del lavoro moderno, che pure domanda lavori altamente specializzati, ha bisogno di sempre meno persone ad effettuarli e per quanto i processi di formazione possano essere implementati non tutti saranno in grado di affrontarli.

La globalizzazione e la competitività internazionale metteranno sempre più a dura prova la capacità dei centri per l'impiego di dare un aiuto concreto. In sintesi, le forze in campo non possono essere arrestate, e nonostante sia doveroso cercare di limitare certi effetti, dobbiamo incominciare a pensare al mondo del lavoro, al concetto di lavoro e al reddito attraverso una diversa prospettiva. Una prospettiva che tenga conto dei cambiamenti in atto, e in cui non tutti, a prescindere dalle politiche attive intraprese dagli stati, potranno avere un lavoro così come lo intendiamo oggi. Inoltre, se quello che sosteniamo sulla settimana lavorativa avverrà concretamente, si pone un fondamentale problema: se si lavora di meno, o non si lavora, come si distribuisce la ricchezza creata? Come si distribuisce il reddito?

Questo brano è tratto dalla tesi:

Disoccupazione Digitale: Cause, conseguenze e soluzioni

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Annese
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Studi Europei
  Relatore: Sabino Di Chio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 55

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