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Dalla Produzione di Massa alla Produzione Flessibile

Il Post-Fordismo e la produzione snella

Il modello Fordista si diffuse anche ad altri settori industriali oltre quello automobilistico e, come abbiamo già visto, già a partire dalla Grande Depressione degli anni ’30 del ‘900 si applicò in larga scala alle imprese belliche. In Europa la catena di montaggio si diffuse più tardi, sia per via degli evidenti gap comunicativi tra gli Stati Uniti e l’Europa, sia per via del conflitto mondiale. Fu proprio l’impegno e la voglia che si ebbe nel rialzarsi in piedi nel dopoguerra che spinse la produzione di massa in una Europa ormai povera e distrutta. Agli albori del miracolo economico italiano, la F.I.A.T. fu la prima grande fabbrica in Italia ad organizzare il suo sistema produttivo con la catena di montaggio, nel 1955.

Tra gli anni ’50 e ’60, negli anni del più rapido sviluppo economico, in Italia si ebbe un forte fenomeno di emigrazione interna di famiglie e di giovani dal sud al nord per via del forte divario reddituale, prospettico e di sviluppo che si creò e per un’azione inadeguata dello Stato che tentò di industrializzare l’economia meridionale per mezzo della Cassa del Mezzogiorno con investimenti a pioggia, spesse volte inefficienti, costituendo grandi imprese pubbliche chiamate poi “cattedrali nel deserto” proprio per sottolineare l’inefficienza e l’inadeguatezza di tali monumentali investimenti che non diedero gli sperati risultati.

Nel 1963 il peso del meridione in questi flussi migratori costituì i 3/4 degli espatri e il 100% del saldo migratorio interno, ed è proprio da questi flussi migratori che la F.I.A.T. attingeva i suoi prestatori di lavoro, solitamente poco o per nulla qualificati, che la rendevano il tipico esempio di fabbrica improntata al fordismo, oltre che per la produzione in serie, anche per via della non specializzazione del singolo operaio e della presenza di gerarchie all’interno della fabbrica. Il fatto che i movimenti che il singolo operaio doveva svolgere all’interno della fabbrica fossero semplici e ripetitivi permetteva di avere costi di reclutamento e addestramento bassissimi, prossimi allo zero, e quindi permetteva di essere altamente competitivi. Negli anni del boom, sommando gli operai e gli impiegati della F.I.A.T., si arrivò ad un organico di ben 55.000 lavoratori e una produzione di 1.350.000 vetture nel 1968 che fu resa possibile grazie ai costi abbattuti della manodopera.
I trent’anni che passarono dall’immediato dopoguerra nel 1945 alla crisi energetica del 1973 sono oggi noti come “i trent’anni gloriosi” e “golden age” per via del fatto che furono anni caratterizzati da uno sviluppo economico eccezionale che fece addirittura triplicare il prodotto interno lordo (PIL) mondiale.

In un contesto quindi di ampie aspettative e miracoli economici mai visti, le periferie delle città si espandono e il bisogno di beni di consumo aumenta, la domanda è talmente alta che a mala pena si riesce a coprirla con i beni che ormai vengono prodotti ovunque in catena di montaggio. A metà del XX secolo, ferrovie elettriche e tram vennero rimpiazzati da autobus alimentati a gasolio e furono comunque ampiamente sostituti dall’automobile che negli Stati Uniti è ormai largamente diffusa.

Tuttavia, tale diffusione dell’auto è motivata, oltre che da ciò che è stato esposto nei precedenti capitoli, anche in misura rilevante dalla immensità territoriale degli Stati Uniti, che corrisponde a circa il doppio di quella dell’attuale Unione Europea, e della densità abitativa inferiore di circa il 70%. Sconfinate superfici, ridotta densità abitativa, e un bisogno crescente di potersi muovere e spostare in ampi spazi, furono parte dei motivi per cui la gente inizi a considerare l’automobile come un bene sempre più necessario, fino a divenire tra gli anni ’50 e ’60 un bene di prima necessità. Nasce la cultura dell’auto, le città si espandono in larghezza e non a caso il Governo americano nel 1956 investe venticinque miliardi di dollari per la costruzione di 66.000 km di strade con il Federal-Aid Highway Act; quindi l’automobile negli Stati Uniti è così diffusa che la gente attraversa il Paese in lungo e in largo e cambiano anche le abitudini alimentari: si diffondo così nelle Highways americane i primi ristoranti fast-food che rispondono alla esigenza dei viaggiatori di soddisfare i propri bisogni alimentari in poco tempo e ad un costo relativamente basso.

Tale prezzo limitato fu determinato dal fatto che molti di essi, data la forte domanda, adotteranno un sistema di organizzazione della produzione improntato a quello della catena di montaggio per cui il costo dei prodotti offerti, in modo particolare quello della carne, risulterà essere dimezzato rispetto al passato.
Negli anni successivi la catena di montaggio verrà applicata a migliaia di prodotti oltre l’automobile: in primis le industrie alimentari come McDonald's Corporation e The Coca-Cola Company che, come Ford, offrirono lo stesso prodotto uguale a tutti i potenziali clienti, senza effettuare nessun genere di segmentazione del mercato scegliendo come forma di marketing quello di massa.

La ormai diffusa produzione di massa, incentivava la produzione non specializzata creando gerarchie stratificate di qualifiche, ovvero l’operaio che svolgeva il lavoro manuale era in grado di svolgere soltanto ed unicamente quella mansione che risultava essere consequenziale a quella del lavoro di un altro operaio, ma comunque essenziale ai fini del compimento del task deciso dall’organo direttivo; nell’eventualità fosse sorto un problema nel reparto precedente, o uno sciopero, l’operaio non dedito a quel reparto avrebbe trovato la produzione bloccata. Questo fatto divenne uno dei principali svantaggi che portò poi al superamento del fordismo.

Infatti, quando gli operai capirono la loro importanza all’interno delle fabbriche, alla fine degli anni ’60 e in modo particolare nell’autunno caldo in Italia nel 1969, la produzione in catena di montaggio iniziò a singhiozzare dal momento in cui i lavoratori istituivano scioperi a turno nei singoli reparti che bloccavano l’intera filiera produttiva e generavano, quindi, un ingente danno al datore di lavoro a scapito di una piccola riduzione della loro retribuzione per quella giornata; si parla dei famosi “scioperi a scacchiera”. I motivi delle numerose lotte operaie di quegli anni furono diversi, in modo particolare: più diritti per il lavoratore e meno oppressioni da parte del datore di lavoro; queste rivendicazioni portarono poi, nel 1970, alla stesura dello Statuto dei Lavoratori che costituisce da allora lo scheletro dell’Ordinamento Giuridico italiano in termini di diritto del lavoro e rappresentanze sindacali, ed equiparazione a livello contrattuale del lavoratore subordinato (parte debole) con datore di lavoro (parte forte).
Un altro importante motivo che fece vacillare le imprese fordiste con produzione in catena di montaggio fu il fatto che ormai la domanda di beni sostitutivi stava prendendo posto di quella dei beni durevoli perché il mercato era oramai saturo di questi.

La domanda si concentra, quindi, su volumi generati dalla sostituzione del prodotto, ovvero volumi più ridotti rispetto a quelli a cui il mercato era abituato e ormai il mercato non era più costituito da consumatori di massa, quindi la possibilità di crescita senza sosta dei volumi della produzione delle imprese fordiste va, dunque, in crisi.
Ebbe anche una repentina decadenza l’ideale di base dell’economia di scala che a volumi crescenti di produzione, corrisponderanno costi di produzione e prezzi di vendita sempre decrescenti e questo genererà sempre nuova domanda.
Anche la pesante crisi energetica del 1973 e la conseguente congiuntura economica che si creò ebbe un ruolo importante nel declino dell’impresa fordista. Prima del 1973, all’epoca dei consumi di massa, il prezzo del petrolio era bassissimo in confronto a quello odierno e si attestava a quasi 3 $ al barile. Un prezzo così irrisorio del petrolio, in un’economia che non conosceva altre fonti energetiche oltre quelle dei combustibili fossili, consentiva una reperibilità continua e prevedibile degli input necessari alla produzione, vista anche la stabilità del mercato, il basso costo di reperibilità e l’idea apparente di infinita disponibilità degli input.

Successivamente però, a seguito della Guerra del Kippur, tra Israele e i Paese Arabi nel 1973, il prezzo del petrolio schizzò verso l’alto fino a quadruplicarsi, raggiungendo gli 11 $ a barile; questo creò uno scossone a livello internazionale che costrinse gran parte dei Paese dipendenti dall’importazione del petrolio, tra cui l’Italia, a investire nella ricerca di altre fonti energetiche (in modo particolare quella nucleare) e a razionalizzare i consumi. Inoltre le imprese di stampo fordista entrarono in forte crisi perché tutto il loro sistema produttivo incentrato sulla catena di montaggio, che si basava sulla inesauribilità delle risorse e sulle economie di scala, quindi più si consuma per produrre, meno costa la singola unità di consumo, risultò essere incompatibile e destinato a morire viste le nuove condizioni del mercato a cui le imprese dovevano sottostare.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Dalla Produzione di Massa alla Produzione Flessibile

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Informazioni tesi

  Autore: Lorenzo Guiso
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Scienze Economiche e Aziendali
  Corso: Economia aziendale
  Relatore: Cecilia  Ferrai
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 33

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