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Potere politico e potere economico nell'era della globalizzazione: un rapporto complesso

Le alternative possibili proposte a livello ideologico e partitico

Proprio tra le ragioni di tale successo, in particolare la mancanza di uno Stato mondiale, si nasconde, tuttavia, la soluzione più logica e coerente al problema della perdita della sovranità degli Stati e al declino della politica e del potere politico rispetto all’economia e al potere economico; soluzione che si opporrebbe ad altre due prospettive: a chi non vede altra scelta che “accettare la globalizzazione e il simultaneo trasferimento di potere e di ricchezza a un’èlite capitalista internazionale che rimane fuori dalla democrazia” (Crouch, 2014, p. 137) come un fatto ineludibile e incontrastabile della storia e del progresso umano, e puntare quindi sulla “neoliberalizzazione” degli Stati e sul sogno dell’ideologia neoliberale di una pluralità di mercati in concorrenza perfetta che soddisferanno in toto l’ umanità e gli individui. “In quest’ottica, ciò che è buono per il capitale è buono per tutti. La promessa è la seguente: tutti si arricchiranno e anche i poveri finiranno per trarne profitto” (Beck, 2010, p. 8).

Questa visione accetta e prende sul serio, dunque, le sfide della globalizzazione restando però ancorata all’ottica nazionale della prima modernità; in altre parole ritiene che solo cercando di vincere la concorrenza degli altri Stati, seguendo le imposizioni dell’economia mondiale, nella competizione per attirare il “capitale” mondiale si potranno difendere gli interessi nazionali. Essa, infatti, è portata avanti, a livello partitico e programmatico, a destra dalla destra neoliberale (il Tea Party negli Stati Uniti, ad esempio, la fazione estrema del Partito Repubblicano) che propone un mix di neoliberismo e isolamento culturale (xenofobia e razzismo), mentre a sinistra dalla sinistra della “terza via”, quella inaugurata da Anthony Giddens (1999) e dal partito laburista di Tony Blair. “Quali sono, dunque, i contenuti della loro proposta politica?

In estrema sintesi questa tiene insieme elementi del neoliberismo e della socialdemocrazia, nel tentativo di coniugare crescita e coesione sociale, senza (apparentemente) subordinare l’una all’altra” (Busso, 2015). Inoltre tre sono le dimensioni costitutive di questa visione. “La prima è rappresentata dalle strategie di distanziamento dalle grandi ideologie del Novecento e dal nucleo valoriale della proposta politica del New Labour. La seconda ruota attorno al pragmatismo e all’enfasi sull’efficacia, riassunta dal celebre slogan “What matters is what works”. La terza dimensione è infine centrata sui processi di depoliticizzazione e ri-politicizzazione (Jessop, 2014) che hanno contraddistinto l’azione di governo del New Labour” (ibid.). La chiusura “nazionalistica” risiede nel fatto che, instaurando un’alleanza forte tra politica statale e capitale mondiale ignora e trascura i problemi causati dal neoliberismo “reale”, quello basato sul potere delle grandi imprese e la scarsa rappresentanza dei lavoratori (Crouch, 2014).

In secondo luogo tale soluzione, che spiegheremo tra poco, è in contrasto anche con le posizioni del “doppio protezionismo”, ovvero di chi ritiene che la miglior soluzione sia quella di ergere un muro di fronte alla globalizzazione, considerandola un male assoluto, e richiudersi per difendere ferocemente la “fede” nello Stato nazionale e nella sua unità indissolubile (e le categorie legate ad essa), tipica della prima modernità. A destra tale visione è incarnata dalla destra etnica/xenofobica, la quale associa ad un protezionismo economico (fine della moneta unica e ritorno alla moneta nazionale) uno culturale (con il tentativo di discriminare e di escludere lo “straniero” attribuendogli la colpa di svariati problemi sociali ed economici).

Non è un caso che negli ultimi 20 anni un po’ in tutta l’Europa abbiamo assistito alla nascita di nuovi partiti di tale ideologia e al successo di alcuni (Front Nacional in Francia o la Lega Nord in Italia). A sinistra, invece, questa visione si esplica nella sinistra protezionista e difensivista, la quale non punta su un protezionismo culturale ( o almeno non necessariamente) ma su un protezionismo economico, in particolare il modello politico nazional-statale dello Stato del welfare keynesiano, quello della seconda fase storica descritto nel primo capitolo; quanto più la globalizzazione, l’economia mondiale, la troika premono tanto più bisogna difendere e mantenere completamente intatto lo Stato sociale nazionale assistenziale e le conquiste sociali della prima modernità nella credenza di poter tornare alla prosperità di quegli anni nonostante vari fattori e condizioni siano cambiati.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Potere politico e potere economico nell'era della globalizzazione: un rapporto complesso

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Informazioni tesi

  Autore: Gino Andrenacci
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e sociali
  Relatore: Sandro Busso
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 69

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Parole chiave

globalizzazione
scienze politiche
capitale
potere politico
conflitto tra poteri
potere economico
supremazia
troika
welfare keynesiano
depoliticizzazione

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