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Ernst Bloch: Musica e Ontologia del non-ancora

L’oscurità dell’attimo vissuto: lo stupore come finestra sul non-ancora

La prima parte dello Spirito dell’utopia si conclude mettendo a fuoco due concetti piuttosto complessi che nella loro interazione sono collegati dalla categoria del non-ancora: si tratta dell’oscurità dell’attimo vissuto e del sapere non-ancora-conscio (quest’ultimo unito strettamente al concetto del non-ancora-divenuto).
L’oscurità dell’attimo vissuto è uno dei punti fondamentali della speculazione blochiana e una delle chiavi di accesso più preziose per la comprensione dell’ontologia del non ancora: con tale espressione il filosofo (che già aveva esposto il problema parlando dell’autoestraneazione) vuole spiegare che nell’hic et nunc l’uomo non è mai perfettamente presente a se stesso.

Meglio di qualsiasi commento indiretto la lettura delle sue stesse parole:

“Ma non posso sperimentarmi e possedermi interiormente, neanche ora che fumo e scrivo. Anzi, voglio appunto evitare di starmi davanti troppo vicino. Solo l’istante dopo posso tranquillamente avere tutto questo sotto agli occhi e quasi farmelo girare davanti. In questo modo è presente solo il passato, che coincide con quanto si sperimenta come apparentemente esistente” (SU, 216).

La chiarezza su quanto ci scorre davanti a noi e dentro di noi emerge solo col senno di poi, come qualcosa che si è già fatto immediatamente passato: “Abbiamo un presentimento di quest’attimo solo quando è passato, oppure prima quando ancora lo attendiamo”. Delucidanti sono le metafore mediante le quali Bloch cerca di chiarire nei limiti del possibile questa tenebra: la paragona alla macula cieca dell’occhio che non è capace di rilevare i raggi di luce che la colpiscono o ad un faro che paradossalmente non ha luce in prossimità della sua base, descrivendo nella maniera più comprensibile la natura di qualcosa che ci è ignoto pur essendoci molto vicino: “l’oscurità dell’attimo vissuto è una prossimità che ci fa ciechi, è la situazioni espressa dal proverbio per il quale “nessuno è profeta in patria”.

Così l’Erlebnis, tutta l’esperienza della nostra vita, proprio perché successione ininterrotta di istanti, risulta una totalità di “attimi oscuri” che rendono impossibile un’accettabile oggettivazione del presente a causa dell’assenza di uno scarto temporale tra soggetto e attimo vissuto; ma se questa fitta nebbia da una parte ci sottrae una chiara cognizione del vissuto, dall’altra sembra celare in sé una dimensione non ancora realizzata del futuro: essa è lo spazio utopico del “sapere non ancora conscio” e del correlativo “non ancora divenuto” che, pur essendoci ignoti guiderebbero il nostro agire come una mano che regge il guanto che la nasconde

Le caratteristiche portanti dell’oscurità dell’attimo vissuto sono state precisate in diversi punti da G.L. Brena in un articolo molto interessante, del quale riportiamo per esteso il passo che ci consente quel chiarimento determinante per l’intera trattazione di questo lavoro e soprattutto per la collocazione della musica nel processo di poiesi artistica individuato dalla filosofia utopica:

"Le dimensioni di senso fondamentali che si intrecciano nell’attimo vissuto e sono di volta in volta messe in luce da Bloch si possono analizzare come segue: l’oscuro dell’attimo è:
· il puntuale - oscuro perché raccolto tutto nell’istante;
· è l’immediato - oscuro perché si cerca oltre e fuori se stesso;
· è l’intimo - oscuro perché troppo vicino per essere visibile e conoscibile;
· è l’aperto - oscuro perché non ancora determinato oggettivamente;
· è l’intensivo - oscuro perché concentrato e non ancora sviluppato;
· è l’energetico - oscuro perché pulsione e tensione di natura pratica;
· è il produttivo - oscuro perché dinamico e origine di forme sempre nuove;
· è l’unitario - oscuro perché comprende già in sé come possibilità attiva tutto l’essenziale che si svolge dall’unità potenziale e converge sull’unità dispiegata, superando ogni dispersione e scissione. L’oscurità dell’attimo vissuto è in una parola la sua eccedenza".

Questi ultimi aspetti dell’oscurità dell’attimo vissuto, danno inizio al filosofare mediante il momento iniziale dello stupore, cioè di quella meraviglia che già Platone e Aristotele indicavano come lo stimolo e il punto di partenza di ogni filosofare: ma lo stupore blochiano non si identifica del tutto con quell’ammirazione aristotelica dell’esistente che contiene in sé la contemplazione di un universo statico e indiveniente, ma “è il domandare [corsivo nostro] ancora indefinito che all’interno della filosofia e della scienza urta con un gran numero di risposte già disponibili e con un modo di rispondere scolastico e stereotipato”; in un suo racconto dal titolo Lo stupore Bloch puntualizza proprio quanto detto nell’intervista succitata:

"quasi nessun filosofo prolunga lo stupore interrogativo oltre la prima risposta, nessuno ha commisurato costantemente questo stupore a ‘problemi’ che si presentano in concreto, nessuno li ha concepiti come riflessi o modificazioni dello stupore iniziale. Appunto per questo non si è ancora riusciti a percepire nello stupore non solo la domanda ma anche il linguaggio di una risposta, il fondo sonoro di uno ‘stupore spontaneo’, questo ‘stato finale’ che fermenta nelle cose".

Ora, la domanda originaria che scaturisce dallo stupore mette in moto l’intenzionalità utopica dell’Eingedenken che, come abbiamo appreso, è in grado di “vedere” l’essere del non-ancora. Rifacendosi ad uno scritto giovanile del filosofo L. Boella scrive: “Il corrispondente affettivo del domandare è la Sehnsucht, che costituisce la base di certezza sottostante a ogni interrogare di per sé infinito: ‘la Sehnsucht verso qualcosa di non esistente è ... l’essere più certo’ ”.

Lo stupore è strettamente connaturato alla speranza ed è rivelativo di quel nonancora di cui stiamo ricercando i tasselli: esso può essere generato da banali e inaspettati episodi come le prime gocce di pioggia di un acquazzone, dal sorriso di un bambino, da una parola appena biascicata ma anche da grandi e teatrali avvenimenti come lo squillo di tromba (Trompetesignal) che nelle ultime battute del Fidelio beethoveniano annuncia ‘l’arrivano i nostri!’ e quindi la salvezza di Florestano “inaspettata e immensamente attesa”: esso “è piuttosto una scossa che toglie dai binari consueti, l’avvertimento di un massimo celato nel minimo”. L’enigma dal quale lo stupore è avvolto e dal quale allo stesso tempo emerge, non è qualcosa di trascendente, ma al contrario costituisce “immanenza più intima di ciò che è” (SU, 13); esso ci fa intuire che sia proprio l’oscurità da cui proviene a farci presentire ciò che sarà: “La stessa origine che solo utopicamente diviene, è presenzializzata nell’oscurità dell’attimo vissuto”.

Lo stupore è quindi la “figura affettiva” della domanda originaria relativa alla nostra imperfetta conoscenza di Noi stessi e del mondo, l’embrionale coscienza dell’incompiutezza di un mondo diveniente. Lo stupore non ha il sapore amaro di un’esperienza esoterica bensì la grinta democratica di una forza che permette a tutti gli uomini di scorgere il volto velato delle cose: è proprio nella sua stessa foschia che esso ci fa promessa di luce redimendo il particolare dalla sua apparente non-significanza.

Quella domanda che da esso sgorga, pur non avendo un passo fermo e deciso verso un punto dell’orizzonte, assume un movimento dato dalla risultante di forze contrastanti ma allo stesso tempo sconfinanti l’una nell’altra: da una parte incontriamo l’attrito prodotto dall’indeterminatezza del non-ancora-conscio, dall’altra la spinta propulsiva dell’Eingedenken che tramite la domanda scaturita dallo stupore, dirada la nebbia del non-ancora-conscio in direzione di un suo parziale svelamento sino alla soglia della coscienza del non-ancora-divenuto. Ma saranno soprattutto le riflessioni disseminate ovunque sull’attività del genio e dell’arte a illuminarci maggiormente, poiché, come egli stesso afferma nello Spirito dell’utopia, “è soprattutto nel lavoro creativo che viene superato chiaramente il limite impressionante del non-ancora-conscio” (SU, 221).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Ernst Bloch: Musica e Ontologia del non-ancora

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco De Santis
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1996-97
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Gianni Vattimo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 229

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Parole chiave

musica
ontologia
utopia
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