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Psicologia del comportamento alimentare. Il ruolo dello psicologo nel trattamento delle problematiche alimentari

Cibo, Corpo e Femminile

I disturbi del comportamento alimentare sono “patologie della dipendenza”, caratterizzate da un’alterazione del rapporto che il soggetto ha con il cibo e con il proprio corpo.

L’alimentazione è uno dei bisogni primari che deve essere soddisfatto al fine di garantire il mantenimento di un buono stato di salute del soggetto, è anche questo il motivo per cui è difficile comprendere le problematiche connesse all’alimentazione, con le relative condotte di evacuazione, ed empatizzare con queste pazienti, comprendere i loro comportamenti, che contraddicono il buon senso comune, e la mancata consapevolezza del loro stato disfunzionale.

Il cibo è l’elemento fondamentale che garantisce la nostra sopravvivenza, ma è anche la sede delle proiezioni degli stati emotivi e il veicolo che consente di creare le prime esperienze relazionali, pertanto possiamo affermare che il cibo è si nutrimento calorico, ma anche simbolo del nutrimento emotivo.
Nel corso degli anni il cibo sarà investito di molteplici significati, in relazione all’esperienza che se n’è fatta e ai vissuti che a esso si associano: attraverso il cibo costruiamo delle relazioni, stabiliamo la nostra identità, definiamo le nostre regole di adesione a princìpi etici e religiosi.

Le ricerche sulla Teoria dell’Attaccamento e i contributi di Infant Research suggeriscono che gli aspetti emotivi, affettivi e cognitivi influiscono sull’alimentazione già a partire dai primi scambi comunicativi che avvengono nell’interazione fra il caregiver e il neonato (Ammaniti, 2001; Tronick, 2005): già a partire dalla prima infanzia, l’oggetto cibo rappresenta il primo contatto che permetterà l’instaurarsi della relazione mamma-bambino; nell’infanzia il neonato è in uno stato di dipendenza totale dalle cure materne: attraverso il pianto, e le sue diverse modulazioni, il neonato esprime, in modo automatico e involontario, i propri malesseri e il proprio stato di bisogno, di riflesso la madre, attraverso la propria capacità biologicamente determinata di differenziare i vari tipi di pianto, dovrà essere in grado di fornire risposte comportamentali adeguate a soddisfare il bisogno del bambino e di conseguenza a estinguere il pianto.

Esistono situazioni particolari in cui è possibile rilevare un comportamento alimentare patologico fin dalla prima infanzia, ciò può avvenire
• In risposta alla fase di svezzamento;
• In risposta alle condotte intrusive della madre
• In risposta al dubbio dell’amore materno.

Non è l’appetito a essere malato, ma è attraverso il rifiuto del cibo che il bambino potrà dare all’adulto dei segnali espressivi di disagio. Ci spiega H. Bruch (1973) che il disturbo alimentare appare come una disfunzione della regolazione degli affetti all’interno di un ambiente emotivamente trascurante e/o incapace di riconoscere le richieste emotive del soggetto. Williams et al. (2004) suggeriscono che il rifiuto del cibo, inteso come rifiuto di un sentimento di dipendenza, potrebbe essere collegato al fallimento di alcuni aspetti dei rapporti primari, al mancato adattamento tra madre e bambino, ossia all’incapacità di dare e ricevere in modo reciproco.

Distinguiamo alcuni comportamenti patogenetici della madre nell’interazione con il bambino:
- Strumentalizzazione dell’offerta cibo: in questi casi il cibo diviene la panacea universale per sedare qualsiasi tensione del bambino;
- Utilizzo del cibo come premio-punizione: è possibile che le madri associno al cibo l’idea di regalo o privazione conseguente a comportamenti prodotti dal bambino che possono aver disatteso o, al contrario, soddisfatto le richieste materne;
- Anticipazione della domanda infantile tramite la tempestiva soddisfazione del bisogno: attraverso l'esperienza della bocca vuota, il bambino viene allenato a un'elaborazione psichica della perdita, è qui che si costruisce il pensiero, la creatività, la consapevolezza dei propri bisogni e la bocca vuota verrà in seguito riempita dalle parole; una madre iper-accuditiva non tollera l’attesa e satura i tempi vuoti con il cibo, impedendo al bambino di formulare una richiesta attinente ai propri stati di necessità.

Sono proprio i rapporti primordiali con le figure di accudimento che fondano la base nella costruzione dell’immagine corporea. Il bambino si vede innanzitutto negli occhi dell’Altro ed è attraverso lo sguardo dell’Altro che fa esperienza di sé.
Se ci riferiamo alla “fase dello specchio” descritta da Lacan, osserviamo che il bambino, fra i sei e i diciotto mesi, comincia a rappresentare mentalmente un’identità del sé con cui identificarsi, non tanto e non solo percependo la propria immagine allo specchio, ma anche e soprattutto percependo lo sguardo materno a lui diretto.

In seguito, in fase adolescenziale, le esperienze sentimentali e sessuali, gli incontri con il gruppo dei coetanei, il riferimento alla cultura di appartenenza, con i suoi stereotipi e i suoi ideali, concorrono a modulare l’immagine del corpo e la conseguente soddisfazione o insoddisfazione per il proprio aspetto.
Ma perché possiamo affermare che le patologie alimentari sono strettamente correlate con il sesso femminile?

Se pensiamo alla questione del complesso edipico, riconosciamo che lo sviluppo della sessualità è per il maschio molto lineare: fin dalla nascita il bambino ha come oggetto d’amore privilegiato la madre e, in seguito, il padre compare come sostegno identificatorio possibile; il bambino, attraverso la madre, ha accesso all’identificazione con il padre e questo permette la risoluzione del complesso.

Per la bambina è richiesto un cambio di oggetto d’amore e sono tre le vie possibili di espressione del femminile:
1) Abbandono totale della sessualità, conseguente al rifiuto della castrazione;
2) Complesso di mascolinità, che può sfociare nella scelta di un oggetto manifestamente omosessuale;
3) Normale struttura della femminilità.

Pertanto, lo sviluppo adolescenziale, il cambiamento puberale e il complesso passaggio separazione/dis-identificazione/identificazione rispetto alle figure genitoriali che ha luogo in adolescenza, si fa più complesso per le ragazze, dal punto di vista dell’elaborazione mentale: le trasformazioni morfologiche risultano evidenti, così come l’aumento di peso e il cambiamento nel modo di essere guardati dagli altri; si associano il menarca e il rischio di gravidanza, la madre diviene colei da cui è necessario separarsi ma anche colei con la quale ci si deve identificare per assumere il ruolo di donna adulta.

La capacità di mentalizzare il corpo pubere, attribuendogli una funzione simbolica sociale, relazionale, affettiva, erotica è un passaggio necessario per la creazione della propria identità nell’adolescente (Pietropolli Charmet, 2000); questo passaggio è possibile se viene messo in atto un percorso di soggettivazione, ovvero di appropriazione del corpo sessuato e di quegli aspetti dell’Io che definiscono l’ideale di genere (Riva, 2009).
L’anoressica, rifiutando il cibo, rifiuta tutto ciò che la caratterizza come donna: i caratteri sessuali, il ciclo mestruale, la potenziale fertilità, l’identificazione con la figura materna. […]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Psicologia del comportamento alimentare. Il ruolo dello psicologo nel trattamento delle problematiche alimentari

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Informazioni tesi

  Autore: Ylenia Iorillo
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi di Pavia
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Domenico Cosenza
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 99

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Parole chiave

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ruolo dello psicologo
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