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Viaggio attraverso la traduzione e sottotitolazione di quattro cortometraggi tra inglese, spagnolo e italiano

Il traduttore artigiano

Grazie ai Translation Studies, viene riconosciuto il ruolo del traduttore come mediatore culturale, il cui compito prezioso è quello di adeguare il testo di partenza alle esigenze culturali del Paese di arrivo, essendo un conoscitore delle due culture a confronto. In base al testo, si individua come procedere, che tecniche utilizzare, su quale strategia basarsi, ma anche quali elementi adattare, quali mantenere intatti perché comprensibili anche nella traduzione e perché fondamentali per il testo: egli è il collegamento tra lingue e culture diverse. Il traduttore non è più invisibile, dal momento che non può esserci una equivalenza linguistica e testuale a tutto tondo, ma comprende il pensiero, le ideologie, le concezioni politiche, letterarie e critiche della società di partenza e di arrivo; deve poter conciliare le informazioni che gli giungono dal testo che traduce con la realtà in cui vive, con il contesto socioculturale: Lefevere parlava di scene, ossia il bagaglio personale con il quale il lettore – e traduttore – affronta un testo, e frame, cioè gli elementi strutturali del testo.

Ma non sempre è stato così. Nel corso della storia, il traduttore ha per lo più avuto un ruolo subordinato a quello dello scrittore benché, se ci pensiamo, questo sia uno dei mestieri più diffusi: chiunque deve tradurre un messaggio di qualunque tipo, che sia scritto o visivo o extralinguistico, decodificando un certo sistema di segni in un altro sistema più congeniale, ma mai perfettamente identico a quello di partenza. Del resto, è così che funziona qualunque atto comunicativo. Tuttavia, il traduttore in senso stretto compie qualcosa in più, perché decodifica i segni di una lingua in un’altra diventando, in qualche modo, autore egli stesso nell’istante in cui compie quel lavoro di mediazione bilingue tra appartenenti a diverse comunità linguistiche e culturali. Questa maggiore padronanza di due codici linguistici deriva dal fatto di possedere diversi gradi di conoscenza: oltre a quella semantica, propria della lingua – ossia la conversione di idee in proposizioni -, quella sintattica – le proposizioni vengono organizzate in un testo -, pragmatica – le proposizioni vengono usate in atti comunicativi nella vita di tutti i giorni - e anche una conoscenza fattuale, poiché riconosce tutte le caratteristiche specifiche della lingua.

L’immagine che più trovo affascinante è quella del traduttore come ponte, in grado di superare le barriere non solo linguistiche, ma culturali. Per questa capacità di unire le diverse etnie e superare le barriere tra i popoli, è fondamentale che le strategie traduttive vengano scelte tenendo conto dell’intero contesto, il cosiddetto universo del discorso. Questo ha una natura linguistica, ma anche ideologica e poetica. Anche Hermans si focalizza sul ruolo del traduttore come essere sociale (“active social agent”) che forma una rete di collaborazioni con altri esseri sociali. Per cui, se tecnicamente qualunque testo potrebbe essere tradotto, in pratica ciò che assume valore preponderante è il contesto che il traduttore deve ricostruire. Oltre a tradurre i concetti, deve rispettare i valori della cultura di partenza, tenendo presente anche quelli della cultura di arrivo: non a caso Nida definiva la traduzione come distorsione del messaggio in superficie per mantenere invariato quello nascosto.

Il compito del traduttore diviene più difficile quando le lingue a confronto hanno pochi elementi in comune e, in questo caso, deve prestare molta attenzione al modo in cui agisce sul testo di partenza per far fronte alle esigenze dei fruitori dell’opera di arrivo. Un certo grado di rielaborazione degli elementi testuali vi deve essere, ma occorre evitare i rischi di un’interpretazione sbagliata. Per questo motivo bisogna analizzare il contesto extralinguistico e conoscere quello culturale non solo del testo, ma anche dell’autore, altrimenti si rischia di manipolare, seppur involontariamente, il testo di partenza, poiché il modo di decodificare e riformulare dipende dai valori della propria cultura personale e le scelte operate, che creano un’immagine, possono distorcere la realtà descritta dal testo originale. Le lingue – e tutto il contesto che portano con loro – sono permeate da pensieri e ideologie, tanto che ognuno di noi sceglie le proprie parole in base ai valori di cui si è portatori. Al tempo stesso subiamo il linguaggio utilizzato dagli altri, e lo stesso vale per un traduttore.

Grazie agli studi delle differenze culturali, egli si fa consapevole del potere delle traduzioni nella divulgazione della cultura e nella formazione ideologica dei popoli: proprio per questo motivo i Translation Studies hanno sempre dato più importanza alla cultura che alla linguistica, insistendo sull’importanza del contesto e di come questo porti un confronto continuo tra il mondo personale del traduttore e la realtà esterna. Chiaramente vi sono delle capacità imprescindibili per qualunque traduttore, oltre alla conoscenza delle lingue e delle culture con cui si ritrova a lavorare, anche quella dei generi testuali e della materia oggetto del testo. Una perfetta capacità di lettura del testo di partenza e di elaborazione del testo di arrivo completano il suo identikit. In sostanza, deve possedere la competenza comunicativa che riunisce la conoscenza grammaticale, quella sociolinguistica, quella strategica e, infine, la conoscenza del discorso.
Tutte queste capacità devono permettere al traduttore di creare un testo che sia grammaticalmente corretto e culturalmente appropriato, grazie a una conoscenza ancora più ampia: quella della comunicazione interculturale. Deve, sostanzialmente, padroneggiare le funzioni individuate da Jakobson, come quella chiamata funzione emotiva, o espressiva39, cioè essere capace di esprimersi e di esprimere gli stati d’animo dell’io narrante di un testo, qualora sia la dominante del testo. Deve anche preoccuparsi del suo destinatario mediante la funzione conativa, poiché egli si rivolge a un usuario diverso da quello del testo originale. Qui entra in gioco il compito che possiede di aiutare il lettore (o fruitore tout court) con la creazione di un testo che possa compensare le perdite del contesto originale, a causa delle disparità di valore nel passaggio da una cultura a un’altra, a meno che non si tratti di una traduzione di carattere tecnico-scientifico dove la corrispondenza nel lessico è molto più elevata che in un testo letterario o poetico. È inevitabile che un lettore che possiede poca conoscenza del contesto socioculturale in cui sono ambientati testi di provenienza straniera, sia portato a interpretarli in modo sbagliato, assimilando tutti gli elementi estranei che incontra alle proprie ideologie e alle proprie abitudini. Con un buon lavoro da parte del traduttore, tutti questi elementi di una società Altra possono divenire fonte di arricchimento personale e culturale, grazie alle conoscenze che mette a disposizione del fruitore finale dell’opera. Sono poi fondamentali le funzioni metalinguistica e fàtica: la prima tratta il codice o elemento linguistico, in particolare nella traduzione interlinguistica, ma anche nel caso di codici culturali diversi in una stessa lingua; la seconda è l’insieme delle strategie comunicative che consentono di rendere comprensibile il testo, tramite gli apparati paratestuali.

Dal punto di vista strettamente testuale, lo scopo comunicativo non sempre corrisponde a quello del testo di partenza, ma dipende dalle intenzioni del traduttore – raramente – o da quelle del committente – frequentemente –. Questo viene raggiunto quando il testo di arrivo fa parte di un contesto che tiene conto delle convenzioni culturali del destinatario: per fare ciò il traduttore deve modificare la forma e, spesso, il contenuto, rispettando quel suo ruolo di mediatore culturale e ponte tra due comunità diverse. Questa mediazione opera sia da un punto di vista diacronico, poiché il testo tradotto è influenzato dall’evoluzione storica del contesto culturale, sia da un punto di vista sincronico, poiché si passa da una cultura a un’altra nello stesso momento storico. È grazie al lavoro del traduttore che il testo originale viene adattato alle esigenze culturali dei destinatari del testo di arrivo. Ha carattere sia sincronico che diacronico anche l’intertestualità del testo, ossia il rapporto con altri atti comunicativi, ricavabile proprio dalla conoscenza del contesto, in quanto fortemente legata alla cultura espressa dal testo di partenza e che il traduttore deve riprodurre nel testo di arrivo, perché costituiscono quell’implicito culturale necessario al fruitore per comprendere l’opera.

In questo caso, però, si può correre il rischio di tradire il senso dell’opera originale e, poiché il traduttore deve fare una valutazione delle distanze tra le culture e dei fruitori ai quali è destinato il testo, occorre che vi sia una maggiore sensibilità sia dei destinatari che dei committenti. Essi, inevitabilmente, influenzano le scelte traduttologiche compiute e quindi il risultato del lavoro: editori, produttori, redattori, ecc., decidono quali modifiche possono essere apportate al testo per adattarlo a un certo target, minando l’indipendenza del traduttore che spesse volte deve attenersi a delle convenzioni linguistiche e sociali del pubblico della cultura di arrivo, prestando particolare attenzione a diversi elementi. Come esempio valgano i realia o culture-specific items dei quali manca spesso un equivalente (allora si terrà conto delle traduzioni precedenti e della funzione che ha all’interno del testo), quelli sovratestuali, come il contesto e i vincoli di carattere storico e socioculturale; quelli intratestuali come, ad esempio, l’influenza che una certa espressione ha per poter capire
l’intero testo e la coerenza delle scelte fatte, e, infine, quelli propriamente testuali, legati al tipo di materiale da tradurre.

Con i Translation Studies, che ammettono una manipolazione del testo originale da parte dei traduttori, è come se si consentisse la creazione di un testo autonomo che renda del tutto visibile il tradurre. Anche il punto di vista quasi opposto di Lawrence Venuti giunge allo stesso risultato, denunciando questa prassi traduttiva di addomesticamento soprattutto nella cultura anglo-americana che naturalizza i testi stranieri secondo i propri valori e li fa sembrare originali, rendendo invisibile il traduttore. Poiché il testo è espressione dei pensieri e delle ideologie dell’autore, la traduzione viene vista come un testo derivato che occorre rendere “trasparente”, dando al fruitore l’illusione di trovarsi di fronte all’opera originale. Per questo motivo, Venuti ritiene siano più apprezzabili i metodi di straniamento – o “esotizzazione”- che permettono di far emergere l’alterità propria di un testo straniero, anche se riconosce che il traduttore non può sfuggire ai valori culturali della società di arrivo, pur cercando di restare fedele al testo. Ma essere fedeli non significa cercare dei meri equivalenti linguistici, perché l’equivalenza è subordinata alla funzione che ha il testo di arrivo, significa cercare di rendere comprensibile l’Altro senza tradirlo: all’interno di un testo vi sono delle informazioni date dal contesto, informazioni che sono implicite e che il traduttore deve cercare di esplicitare perché il testo sia comprensibile, comunicando tra lingue portatrici di valori propri delle loro culture e tra le quali non vi può essere un’equivalenza semantica perfetta. Compito del traduttore è quello di utilizzare le diverse strategie a sua disposizione per rendere il più efficace possibile il testo da lui proposto, come note, prefazioni, introduzioni e così via, che riescono a dare una chiave di lettura corretta.

Discorso più ampio riguarda il traduttore della traduzione audiovisiva44 perché deve avere una capacità in più: saper interpretare le connotazioni legate alla pronuncia, al tono e al timbro di voce dei personaggi di un testo per il cinema o il teatro, alle diverse componenti pragmatiche e alle varietà sociolinguistiche per poter poi procedere all’adattamento sia linguistico che culturale, al cambiamento di battute per renderle funzionali alla dominante che si vuole far emergere e, talvolta, all’aggiunta di parti inesistenti nel testo di partenza secondo la strategia dell’addomesticamento. In questo tipo di traduzione ciò che conta è l’effetto del metatesto sul pubblico di arrivo e, inoltre, vi sono delle limitazioni che si devono rispettare, proprie del mezzo di comunicazione e della proprietà multisemiotica del testo audiovisivo: il traduttore deve tener conto delle immagini, sulle quali non può intervenire, e del fatto che lo spettatore deve seguire sia il codice sonoro che iconico. Nel caso dei sottotitoli, vi sono limiti di spazio, che poi analizzeremo, e la necessità di individuare il nucleo informativo del testo di partenza, sintetizzarlo e riprodurre nello scritto anche gli elementi non verbali mentre, per quanto riguarda il doppiaggio, occorre tener presente la sincronizzazione labiale e la capacità di lavorare in team.
La traduzione ha il grande merito di aiutarci ad avere una piena consapevolezza di noi stessi, grazie al confronto con l’Altro dal quale siamo inseparabili, perché è la coscienza dell’Io e dell’Altro, appartenenti allo stesso mondo, che ci permette di dare un senso a noi stessi. Al tempo stesso, la traduzione ha bisogno della Diversità, senza la quale non esisterebbe: tradurre non significa omogeneizzare culture diverse, ma consentire un dialogo tra le stesse.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Viaggio attraverso la traduzione e sottotitolazione di quattro cortometraggi tra inglese, spagnolo e italiano

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Informazioni tesi

  Autore: Elisabetta Mascia
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Studi Umanistici
  Corso: Traduzione e Interpretazione
  Relatore: Daniela Zizi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 144

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